Felicità negata

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La serata era tiepida, e il vento autunnale faceva frusciare le foglie degli alberi intorno al giardino. Ero seduto su una delle sedie di legno accanto alla piscina, fissando l'acqua scura e immobile, come se stessi aspettando che qualcosa emergesse dal fondo per darmi delle risposte. La casa in cui vivevo con i miei genitori, quella in cui avevo condiviso tanti momenti con Manuel, sembrava improvvisamente troppo grande, troppo vuota. Ogni angolo del giardino mi ricordava qualcosa di noi due: i pomeriggi passati a ridere, le notti in cui ci confidavamo sotto le stelle, e quella piscina... il nostro rifugio, il posto dove tutto sembrava più facile.

Eravamo lì perché lo aveva deciso lui. Era stato Manuel a proporlo nel messaggio: "Vediamoci in giardino, vicino alla piscina." E io avevo accettato. Dentro di me, speravo che quel luogo familiare, così carico di ricordi, potesse aiutarci a ritrovare almeno un po' di ciò che avevamo perso. Avevo immaginato per giorni questo incontro, pensando a tutte le cose che avrei voluto dirgli, ma adesso che il momento era arrivato, mi sentivo completamente vuoto.

Quando Manuel arrivò, il suo passo era lento, quasi esitante. Mi sentii invadere da un misto di speranza e paura. Speranza che le sue parole potessero aggiustare qualcosa, paura che invece tutto finisse per crollare definitivamente. Mi sedetti più dritto, mentre lui si avvicinava e si sedeva accanto a me, lasciando tra noi uno spazio che sembrava un abisso.

Non parlò subito, e il silenzio divenne più opprimente. C'era un peso in quella pausa che faceva male, come se entrambi sapessimo che qualcosa stava per cambiare definitivamente.

"Ho pensato a tutto questo," iniziò, con una voce bassa, quasi insicura. "E so che non è quello che vuoi sentirti dire, Simone, ma... non posso darti quello che cerchi."

Quelle parole mi colpirono, ma dentro di me cercavo ancora di mantenere la calma. Non volevo scattare subito, non volevo lasciarmi sopraffare dalle emozioni. Volevo capire, volevo che mi spiegasse.

Manuel abbassò lo sguardo, forse per evitare il mio, forse perché trovava difficile continuare. "Non sono come te," proseguì, il tono della sua voce era pesante, come se ogni parola fosse un peso da portare. "Non sono gay. Mi piacciono le ragazze. E non posso farci niente. Ho provato, davvero. Ho cercato di capire se potevo sentire qualcosa per te, ma... non è così."

Quelle parole erano come un pugno al petto. Il nodo che avevo in gola si stringeva sempre di più, ma cercavo di non perdere il controllo. Sapevo che Manuel stava cercando di essere onesto, ma non potevo fare a meno di sentirmi tradito. Non era solo la sua dichiarazione a ferirmi, ma il fatto che per settimane aveva scelto di evitarmi, di lasciarmi annegare nell'incertezza senza dirmi nulla.

"Ma perché mi hai evitato per tutto questo tempo?" chiesi, la voce incrinata, ma ancora contenuta. "Bastava dirmelo subito. Non avrei dovuto passare settimane a chiedermi cosa stesse succedendo. Perché non me l'hai detto prima?"

Manuel si agitò sulla sedia, visibilmente a disagio. Non era facile per lui, lo vedevo, ma la mia frustrazione cresceva. Eppure, non volevo ancora lasciarmi andare completamente alla rabbia.

"Non sapevo come dirtelo," rispose, con il viso abbassato. "Non volevo ferirti, Simone. Ho cercato di capirlo io stesso, ma non è facile... non sapevo cosa provavo, e... non volevo perderti."

Quelle parole mi fecero male, ma allo stesso tempo non mi bastavano. C'era qualcosa che non mi tornava. Sentivo che stava cercando di proteggersi, di giustificarsi, ma c'era un'incongruenza, un vuoto in quello che diceva. E poi, quasi senza volerlo, mi tornò alla mente quel momento in classe, pochi giorni prima, che aveva cambiato tutto.

"E allora perché mi hai baciato in classe?" domandai, la voce tremante. La rabbia cominciava a insinuarsi tra le crepe del mio autocontrollo. "Se sapevi di non provare niente, perché l'hai fatto? Perché hai continuato a illudermi?"

oltre il confine del silenzio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora