Senza più passato

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Mi svegliai lentamente, come se stessi emergendo da un sogno profondo, ma non era affatto un risveglio rassicurante. Era come se fossi sospeso tra due mondi, senza sapere quale fosse reale. Il mio corpo era pesante, ogni movimento sembrava impossibile, quasi come se fossi intrappolato in una gabbia invisibile. Sentivo il cuore battere lentamente nel petto, un ritmo distante, come se appartenesse a qualcun altro.

Il primo suono che percepii fu un bip costante, regolare, che sembrava scandire il tempo nella stanza. Un suono meccanico, impersonale. Cercai di muovere le dita, ma ci volle uno sforzo incredibile per sentire un lieve formicolio sulla punta. Le palpebre erano pesanti, come se avessi dormito per giorni o settimane, e nonostante lo sforzo per aprirle, tutto quello che vedevo era un bagliore bianco, confuso, che mi costringeva a richiuderle.

Un odore pungente, di disinfettante e di plastica, mi invase le narici, dandomi una sensazione di disagio. Non riuscivo a capire dove fossi, né come ci fossi arrivato. Tentai di respirare profondamente, ma l'aria mi sembrava densa, come se ci fosse qualcosa che mi opprimeva il petto. La mia gola era secca, così arida che deglutire era doloroso. Provai a parlare, ma dalla bocca non uscì altro che un flebile lamento, un suono distante e quasi sconosciuto.

Lentamente, il mondo intorno a me cominciò a prendere forma. Con uno sforzo quasi insostenibile, aprii gli occhi una seconda volta, ma tutto era sfocato, nebuloso. I contorni degli oggetti erano indistinti, e la luce sopra di me era troppo forte, quasi accecante. Strizzai gli occhi, cercando di mettere a fuoco qualcosa. Vedevo solo ombre, sagome senza volto.

Improvvisamente, la porta si aprì e una figura in divisa bianca entrò. La donna si avvicinò rapidamente, e la sua espressione cambiò non appena i suoi occhi incontrarono i miei.

"Si è svegliato!" esclamò con voce concitata, quasi incredula. Il suo viso era un misto di sorpresa e sollievo. "Il paziente è cosciente!"

L'infermiera si girò immediatamente e uscì di corsa dalla stanza, il suono dei suoi passi rimbombava nel corridoio. Pochi secondi dopo, la stanza si riempì di voci e movimento. Sentivo il rumore di altri passi avvicinarsi e, prima che potessi capire cosa stesse succedendo, una squadra di medici entrò nella stanza, guidata da un uomo con un camice bianco.

Mi sentivo come se fossi incastrato in un sogno, incapace di reagire o di fare qualsiasi cosa. Cercai di parlare, di dire qualcosa, ma la mia bocca non rispondeva. Il cuore batteva sempre più forte, sentivo il panico crescere dentro di me. La confusione mi avvolgeva completamente.

"Calmati, Simone," disse il dottore avvicinandosi, la sua voce calma ma ferma. Si chinò leggermente su di me, osservandomi con attenzione, come se stesse valutando la mia condizione. "So che è difficile, ma devi cercare di non agitarti. Sei appena uscito dal coma, è normale che ti senta confuso."

Le sue parole erano rassicuranti, ma il mio corpo non sembrava rispondere ai suoi comandi. Sentivo la tensione crescere, volevo muovermi, volevo gridare, ma niente sembrava funzionare. Il dottore si voltò verso l'infermiera che si trovava accanto a lui e fece un cenno. "Prepara subito il trasferimento per una TAC cranica d'urgenza," disse, il tono professionale e risoluto. "Dobbiamo verificare la situazione neurologica."

L'infermiera annuì e iniziò a organizzare il tutto, parlando rapidamente con altri membri dello staff. Nonostante la calma del medico, la mia mente era in preda al caos. Non riuscivo a capire perché fossi lì, perché non riuscissi a muovermi o a parlare, e il pensiero che qualcosa fosse terribilmente sbagliato mi soffocava.

Il dottore continuava a monitorare le mie reazioni, mantenendo un tono di voce fermo ma pacato. "Faremo una tomografia assiale computerizzata per escludere eventuali complicazioni intracraniche. È importante capire se ci sono emorragie o danni cerebrali che potrebbero essersi sviluppati dopo l'incidente."

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