Dopo quella comunicazione, gli alunni sembravano più tranquilli. Alcune ragazze che prima neanche mi parlavano, iniziarono a parlarmi, a chiedermi come stavo, a preoccuparsi dell'accaduto. Ma pensai soltanto, a quanto le persone potevano essere ipocrite in quel momento. Non interessava a nessuno di come stavo realmente, altrimenti tutto questo non sarebbe successo, pensai sempre tra me e me. "Grazie per la "preoccupazione" grazie ma non mi va di parlare in questo momento" dissi alzandomi dalla sedia per poi uscire fuori dall'aula. Andai a prendere al distributore automatico una bottiglietta di acqua, quando sentii dietro di me che c'era qualcuno, erano di nuovo quelle due. Mi paralizzai, quasi avendo paura a girarmi, vedevo i loro riflessi attraverso il vetro di quel distributore. "Carino tuo fratello, perché non gli dici che ti accompagna anche domani?" Mi domando una di loro, mentre ridevano, prendendosi gioco di me, ancora una volta. Le spostai da davanti a me, non rispondendo a quella domanda completamente inutile. Mentre andavano via, una di loro mi prese per una spalla, facendomi indietreggiare verso di loro "facciamo cosi, fatti accompagnare da tuo fratello, e noi ti lasceremo in pace, magari ce lo fai anche conoscere" continuarono le loro minacce, la mia mente correva cercando una via di fuga. Volevo solo allontanarmi, ma la pressione della loro presenza era opprimente. Sapevo che comunque, non sarebbe cambiato niente, anche se Edo aveva parlato con la preside, e la preside appunto, aveva comunicato all'accaduto, a loro non sarebbe importato, perché non avevano niente da perdere. Di scatto portai avanti la spalla, per poter togliere la sua mano sudicia dalla mia maglia. Mi girai verso di loro, con non so quale forza, ormai erano finite anche le lacrime "non faro niente di quello che mi avete chiesto, sia chiaro" balbettai quelle parole con molta paura, sapendo a cosa andavo incontro, ma non mi importava, sapevo cosa fare in quell'esatto momento che risposi cosi. Mi lasciarono cosi libera, non dissero un'altra parola di più, fortunatamente, ero davvero stanca di tutto questo, sembrava di vivere in un tunnel, dove mai si vedeva uno spiraglio di luce.
La giornata scolastica, continuava a scorrere, ma io continuai a non calcolare più nessuno dentro quella classe, per me, erano tutti estranei e complici di tutto quello che mi era accaduto e che mi stava accadendo. Ogni cosa, che mi circondava era un peso, che non riuscivo più a gestire dentro di me. A casa, con mio padre le cose non cambiavano mai, vivevo costantemente nel terrore. Qui a scuola era semplicemente un inferno, arrivo a darmi fastidio anche solo la loro presenza, poi la situazione di quella donna, che mi ha turbato particolarmente sostenendo cose impensabili. Fu un mix di tutto a farmi scattare qualcosa dentro, come un filo che si spezza, come una miccia che sta per accendersi finalmente. La mente era sempre più pesante come se non ci fosse altra via di uscita se non quella.
Le lezioni finalmente terminarono, nessuno si avvicinò a me, nessuno mi saluto. Vidi Alex dall' altra parte della scuola che parlava con i suoi amici, e mentre mi allontanai mi guardo con la coda dell'occhio, ma non ci feci molto caso. Per tornare a casa, oggi il viaggio era molto più breve del previsto, come se il tempo si fosse accorciato intenzionalmente, la mia mente ormai era chiusa in un loop, che non riuscivo più a fermare.Appena aprii la porta di casa, non sentii la tv accesa, non c'era nessuno. Andai in cucina, e sul tavolo c'era un pezzo di carta con su scritto "- Azzurra, sono a casa di Clara tornerò per le 16. Mamma-". Non c'era nessun rumore, nessuno che mi chiamava, nulla che mi potesse distogliere da quel pensiero, che tutta la giornata mi opprimeva la mente, come se avessi trovato finalmente la mia risposta a tutte queste domande che mi tormentavano, come se avessi trovato la quiete dopo la tempesta.
Così decisi di prendere un coltello dal cassetto, dove erano posizionate le posate e andai in bagno. Il metallo freddo tra le dita, sembrava quasi darmi un senso di potere, un controllo che mi era sfuggito ormai da tempo. Mi guardai allo specchio, non c'era rabbia nei miei occhi, ma solo una strana calma apparente.
Come mi sentivo? Forse sollevata dal fatto che non avrei più sofferto, non capivo più cosa era il dolore, ne avevo ricevuto fin troppo. Così senza pensarci, alzai pian piano il polso sinistro, come se quella parte di me fosse l'unica cosa che avessi ancora sotto controllo, quando una lacrima cadde proprio su di esso. Alzai anche l'altra mano, dove il coltello era ormai diventato pensante, ma non per il suo materiale, ma per il significato, per la decisione che stavo per prendere. La lama entro senza sforzo, un piccolo solco che sembrava insignificante rispetto a tutto ciò che sentivo dentro. Ogni centimetro che la lama percorreva sulla mia pelle sembrava allontanarmi da ciò che mi circondava, immaginando il silenzio sempre più profondo. Non c'era più nulla, solo quel gesto, solo quella pressione fredda contro la mia carne. Le lacrime iniziarono a scendere imperterrite, ma non le sentivo. Non più. La mia mente era solo occupata da quello che stavo facendo, con la continua ripetizione di un'azione che sembrava liberarmi, ma che, in realtà, mi stava solo intrappolando ancora di più. Sul mio petto sentii, un oppressione mai sentita prima, una miscela tra dolore, frustrazione e la realtà di quello che stava succedendo in quel preciso istante. Proprio quando pensavo di essere arrivata al limite, qualcosa mi colpì. Un pensiero che mi fece rallentare il respiro, che mi fece guardare di nuovo il mio polso, ormai con il sangue che colava lungo la mia mano. In quel l'attimo, in quel momento di lucidità, l'unica persona, che in realtà ancora non era nata, ma che già occupava un posto speciale nel mio cuore, era proprio il mio nipotino Nicolò. Ancora non lo avevo mai visto ma la sua esistenza era come una promessa che ci legava, qualcosa di puro e inaspettato, in quel momento di buio totale, in quel mondo che sentivo sempre più lontano.
"Se continuo cosi, mi perderò tutto di lui" pensai tra le lacrime disperata, "come sono arrivata a questo punto?" Dissi scivolando a terra, buttando con forza quel coltello lontano da me, quel coltello non sembrava più una via di fuga, ma un pericolo. Mi chiesi se avrei mai potuto guardarlo negli occhi, se avrei mai potuto sorridergli. Avrei perso la possibilità di vivere e di condividere con lui anche solo un instante.
Con molta più prepotenza le lacrime continuarono a scendere, abbracciai quel pensiero come un ancora di salvezza, come l'unico legame che avevo con la speranza.
Con le braccia che cingevano le mie gambe, cercando di riprendermi da quel gesto, che mai avrei pensato di fare, pensai che Nicolò, anche se ancora non era nato, era già un motivo per guardare avanti, per prendere un respiro profondo, e ricordare, che c'era ancora qualcosa di bello che stava per arrivare. Non potevo perdere me stessa, e non potevo perdere lui.
STAI LEGGENDO
Quindi inverni sotto lo stesso cielo ( quel legame che ci unisce)
ChickLit-TRATTO DA UNA STORIA VERA- In un piccolo e tranquillo paesino, dove ormai l'aria del l era alle porte, con sé porta un evento straordinario: la nascita di Nicolò, il primo nipote di Azzurra, una ragazzina di soli 13 anni. Per Azzurra, che aveva sem...