Parte 22

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Era il crepuscolo. Impugnando il brandistocco si guardò intorno, le luci morenti coloravano di rosa e viola le nuvole. Nel silenzio riempito soltanto dal suono del vento e dai versi degli uccelli, il canto di una civetta scandiva il tempo dei suoi passi "cuccù, cuccù, cuccù". Non sapeva quale direzione prendere, non aveva ricevuto indizi come al termine della prima prova. Prese a osservare ogni dettaglio confidando nella concentrazione e nella consapevolezza. I pipistrelli orecchioni volarono fuori dalla grotta in direzione della montagna. Non avendo altri segni da seguire, si avviò sul sentiero che conduceva alla vetta.

Era già buio quando giunse a una strettoia tra due pareti rocciose. Di fronte a lei una frana sbarrava il passo. Le radici dei lecci che crescevano trasversali nella parete rocciosa dovevano aver scavato tanto nella roccia da spaccarla. Tra i massi alcune cavità lasciavano intravedere il resto del sentiero. Sopra di essi qualcuno aveva cominciato ad arrampicarsi, scavalcando pietre e tronchi d'albero caduti.

«Anzùla», riconobbe Rianna.

«La cocca dell'Oracolo ha il brandistocco, congratulazioni» rispose lei, raccogliedo il proprio da terra e proseguendo la scalata.

«Anche tu sei stata guidata qui dai pipistrelli?»

«Non so di cosa stai parlando, ho seguito la Stria dopo averla sottomessa».

«Quindi non dovevamo affrontare le stesse prove...»

«Figurati, a te avranno fatto raccogliere un mazzolino di fiori e fatto giocare con qualche pipistrello...»

«Non è vero, io...» si interruppe, esausta dei battibecchi con la ragazza, che non portavano a nulla. Non le importava di convincerla della sua buona fede. Adesso dovevano solo arrivare alla terza prova e superarla.

«Non sai cosa rispondere in difesa? Ecco brava, rimani in silenzio e lasciami concentrare».

Rianna iniziò la scalata della frana e raggiunse Anzùla che non riusciva a superare un passaggio ostico tra le rocce.

«Fai passare il brandistocco, poi prosegui tu», le consigliò Rianna.

«Nessuno ha chiesto un tuo consiglio colombella. Se al di là del passaggio troviamo un burrone e la lancia cade nel vuoto?»

«Allora posso reggerlo io, tu attraversi, poi te lo passo. Se preferisci vado io per prima.»

«Ottime idee, brava. Ti credevo più ingenua. Nel primo caso potresti non consegnarmi il brandistocco, nel secondo mi superi. Hai capito la verginella candida».

«Non sto tramando nulla, ti sto solo offrendo il mio aiuto. Non proiettare su di me la tua malignità».

«La santarellina diventa linguacciuta,» proseguì a schernirla, spostando una mano «stiamo facendo progressi. E io che...». Non riuscì a terminare la frase che scivolò lungo la frana. Avrebbe raggiunto il suolo se non avesse d'istinto infilzato una radice con la lama del brandistocco e non fosse rimasta aggrappata.

Rianna era in procinto di andare ad aiutarla, ma Anzùla con un agile movimento recuperò la sua posizione con i piedi su un masso e liberò la lama dal legno. Rianna si voltò verso il pertugio, infilò il suo brandistocco per farlo scorrere oltre la frana e lo attraversò strisciando. Giunta all'altro lato le si apriva il sentiero per la vetta illuminato dalla luna. Stava per incamminarsi, poi si voltò verso la frana.

«Passami il brandistocco». Silenzio. Anzùla non rispondeva e non succedeva nulla.

«Anzùla sei ancora lì? Tutto bene?». Ancora nulla. Dopo qualche istante vide la lama fuoriuscire dal pertugio, la sfilò via e allungò un braccio per aiutare la consorella.

«Non ti devo nulla», esordì Anzùla in ringraziamento una volta fuori. Le tolse la propria arma dalle mani, si voltò e si avviò sul sentiero.

Rianna rimase esterrefatta. Fece un sospiro e la seguì. Sentiva l'urgenza di dire qualcosa, non capiva perché in nessun modo riuscisse a intenerire il cuore della novizia e farsi benvolere da lei. L'unica cosa che riuscì a dire fu:

«Dai, siamo quasi in cima, dovremmo essere arrivate» e si sentì stupida appena pronunciò l'inutile incoraggiamento.

«Lo vedo anche io che siamo quasi arrivate, più su c'è solo il cielo».

Rianna si convinse che per il momento sarebbe stato meglio continuare a camminare in silenzio.

Giunte in cima si riunirono ad altre tre consorelle, anch'esse appena arrivate da differenti sentieri. Si trovavano su un piccolo altopiano, di fronte a loro una strana abitazione. Aveva sentito parlare della Casa Cuore, ma non sapeva di preciso dove si trovasse. Era una casa abbandonata, in cui i rampicanti lasciavano in vista soltanto la porta laterale e avevano avvolto la costruzione a forma di cuore. Alla base, come se fossero coltivati e potati, vi erano cespugli di rosmarino fiorito dalle forme bizzarre. Erano giunte alla loro terza prova. Si scambiarono tutte uno sguardo complice.

«Benevola sia la Dea con voi» attaccò Furica come in automatico.

Subito si udì un cupo muggito rimbombare da dentro la casa. Apparve sulla porticina laterale un enorme toro con due corna metalliche. Due candele accese erano infisse sulla cima delle corna. Rianna si meravigliò dei suoi pensieri nel momento stesso in cui si chiese: come è passato da quella porta minuscola? Chi ha acceso le candele?

Quando il toro partì alla carica contro Furica infilzandola con le corna e scaraventandola di sotto dal burrone capì che le sue priorità dovevano essere altre.

Le consorelle cercavano di schivare i suoi colpi e di trafiggerlo col brandistocco, ma nonostante la sua mole, il toro era agile come un cerbiatto.

Erchitu. Quel nome le balzò in testa dai racconti d'infanzia. Sapeva cosa doveva fare. Le altre stavano cercando di colpirlo, ognuna con lo scopo di essere colei che eliminava la minaccia del mostro; ma senza collaborare tra loro per fortuna non riuscivano a sottometterlo.

Vide Anzùla avvicinarsi a lui da dietro, con un colpo di zoccolo ben inflitto il bovino la fece volare in aria. Si voltò, montò sopra di lei ed era in procinto di darle il colpo fatale.

«Erchitu, no!». Il toro alzò il muso, stupito che qualcuno lo chiamasse per nome e non fece in tempo a difendersi da Rianna che era saltata verso il muso della bestia. Il brandistocco fendette l'aria e con un colpo netto recise la punta di entrambe le corna. Le fiamme si spensero, Rianna vide una lacrima scendere dall'occhio dell'animale, poi si accasciò.

Era scosso dalle convulsioni, Anzùla era sgusciata via da sotto di lui. La sagoma si rimpicciolì poi si arrestò. Le novizie si trovarono davanti una mantella nera di pelle di toro. Da sotto, impaurito, fece capolino un giovane uomo, che tentava di coprire la sua nudità con la mantella. L'uomo era schiavo di una maledizione che lo castigava per aver commesso gravi torti che non erano stati puniti dalla giustizia terrena. Le fiammelle sulle corna avevano permesso a Rianna di riconoscerlo e agire senza indugio.

«Questa volta ti devo la vita», le disse Anzùla.

In quell'istante tutte le novizie si voltarono in direzione del mare. Rianna seguì il loro sguardo. Una scia luminosa rischiarava le tenebre. Una cometa si stagliava nel cielo.

IL CIMITERO DEGLI DÈI - Il Principe PastoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora