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Prima ancora che potessi immaginare a cosa avrebbe comportato, mi iscrissi ad una scuola d'arte. Non una di quelle che ti invogliano a diventare un architetto o un designer, ma proprio la classica scuola popolata da tipi strambi che si battono per i diritti civili. Ora, non so che problemi avesse la gente là dentro, ma fatto sta che mi ci ambientai subito, nonostante non sia mai stata per niente sociale, io. Mi avevano messo in una bella classe -una ventina di ragazze e quattro o cinque maschietti- dove era facile parlare e scambiarsi opinioni e che, a differenza delle altre in cui ero stata, stranamente non tendeva a formare gruppetti. Classe molto espansiva e solidale. Per farla breve, eravamo un branco di hippie sempre sporchi di tempere e con un odore di creta bagnata impregnata nei vestiti. Non avevamo un'aula tutta nostra col nome della classe scritto su un foglio appeso alla porta, ma varie stanze in cui lavorare comodamente: l'aula di disegno, quella di pittura, scultura, e così via. Un totale di venti o trenta aule in tutto. Non era molto sicura la scuola -l'ascensore era malridotto e funzionava a malapena, ad esempio- ma nessuno sembrava darci molto peso. L'unica cosa fastidiosa era che, a volte, potevi trovarti un topo a sorpresa nell'armadietto. Nonostante tutto, rimane la miglior scuola che abbia mai frequentato.

Durante i primi giorni legai immediatamente con una ragazza. Altezza media, corporatura robusta e dei capelli che ogni settimana cambiavano colore. Tutti la chiamavano con il suo cognome, Walsh, ma a me era più naturale chiamarla Jenny. Nel giro di poco tempo, divenimmo inseparabili, tanto da cominciare a chiamarci bro e capirci con uno sguardo. Nonostante le mie continue ossessioni nel trovarle un ragazzo, quella che finì nella tormenta sentimentale fui io. Ma lo capii solo quando ormai fui intrappolata completamente nell'occhio del ciclone.

Era una giornata come tante. Io e Jenny eravamo in bagno, quando una nostra compagna ci si avvicinò. Era una delle più carine, una di quelle a cui non ti avvicini solo per non sembrare un'oscenità: alta, occhi chiari, pelle abbronzata e un caschetto biondo più lungo da un lato. - Ciao, ho sentito dire che a voi due piacciono i libri. - disse lei, mentre i suoi occhi truccati ci puntavano addosso come fari. - Già. - risposi cercando di non sembrare già presa dai miei pensieri. Leggere è una delle cose che amo più fare ed è spesso per questo motivo per cui non esco molto di casa. O forse anche perchè la pizza surgelata gustata davanti allo schermo del computer è troppo invitante per lasciarmela portare via.

- Mi piacerebbe stare un po' con voi allora. E' da molto tempo che non leggo un bel libro e...beh, chi meglio di voi può consigliarmi! - Natalie Becket sembrava entusiasta già solo per aver scambiato due parole con noi. Nemmeno fossimo le più popolari della classe (niente gruppetti certo, ma le popolari esistono sempre) o delle bombe nel far ridere la gente.

- Uh, okay! Se ci dai il tuo numero formiamo un gruppo su whatsapp e già da oggi possiamo scrivere, che dici? - Jenny ha delle idee migliori delle mie. Già io stavo a pensare cose catastrofiche come "oggi non possiamo vederci perchè i miei genitori sono dei dittatori e non mi fanno uscire", mentre lei aveva già metabolizzato la soluzione migliore. Whatsapp, semplice. Prendemmo i cellulari e ci scambiammo i contatti. Poi con un saluto gentile si allontanò e scomparve dalla mia visuale.

- Che amore, eh? Ci vede come dei maestri in libri. Aww... - sembrava che a momenti Jenny si sciogliesse tanto la trovava piccola e adorabile. Io mi limitai a scrollare le spalle e ad accennare un sorriso contento.

Il giorno stesso, Jenny aprì il gruppo intitolandolo "Jenny e Hel senpai" mettendo subito in risalto come entrambe fossimo più grandi di lei di un anno. Beh, non è che io fossi stata bocciata, avevo solo cambiato indirizzo scolastico. Il primo anno, mia madre mi aveva cordialmente costretta a frequentare un liceo scientifico. Il risultato? Rimandata di tre materie e boicottato l'esame di riparazione. Io in quell'istituto -razzista e omofobo tra l'altro- non ci avrei mai dovuto mettere piede. Una delle esperienze più brutte della mia vita. Comunque, Natalia sembrava non dare troppa importanza al fatto di essere più piccola. Anzi, le piaceva anche sentirsi fra il gruppetto delle grandi. Non potevo non trovare adorabile quell'essere vivace e sempre disponibile a parlare. Così disponibile che cominciammo a passare ore ed ore a scriverci quel giorno. E il giorno seguente. E quello dopo ancora. Mi sembrava che parlare con lei fosse la cosa più liberatoria e bella del mondo. E da lì cominciò a divenire una vera e propria dipendenza.

- Helen, che ne dici di andare alla fiera del miele la settimana prossima? – mi chiese mia madre, qualche settimana più tardi. – Helen? Ehi, mi stai ascoltando? – alzai lo sguardo, masticando un grissino per metà in bocca, e per metà che penzolava fra le labbra.

- Cosa? – chiesi, appoggiando il cellulare sul tavolo. Lei sospirò e versò un po' d'acqua nel suo bicchiere.

- Ho detto, che ne pensi se la prossima settimana andiamo alla fiera del miele? Sarà divertente, no? Ci saranno anche tutti i tuoi amici, ex compagni delle medie, Jenny... - la guardai un attimo, per poi rispondere di fretta a Natalie. Stavamo parlando appunto della fiera, ma non sembrava entusiasmarla tanto.

- Non lo so, non vado pazza per quella melma dolciastra, lo sai. E' così...bleah, troppo, troppo dolce. – Mia madre mi guardò male, come se melma dolciastra non fosse esattamente la risposta che si aspettava alla sua domanda. Ma insomma, che altro dovevo dire? Che bello mamma, andiamo ad una fiera in cui probabilmente vomiterei! Decisamente no. E poi Natalie non ci andava, mi sembrava di farle un torto.

- Con chi sei al telefono? – mi chiese la spiona.

- Nata, parliamo di scuola, niente di che.

- Certo, parlate sempre di scuola, che brave...E intanto vai malissimo comunque. – sospirai. Eccola, di nuovo a criticarmi sul mio andamento scolastico, pur sapendo che non è affatto vero che vado male. Sono solo i professori che si tengono bassi...

- Io ho finito di mangiare, Christine e Frank tornano fra poco, gli metto la cena in frigo.

Mi alzai e andai a fare ciò che dissi. Dovete sapere che io ho due fratelli: Frank, il più grande, compone musica ed è il classico figlio perfetto e studente modello; Christine, più piccola di me di tre anni, ha lo stesso talento musicale di mio fratello, tanto che ad undici anni era già bravissima a suonare il pianoforte. Loro due si assomigliano parecchio, esteticamente: carnagione da surfisti californiani, occhi azzurri, capelli mossi e biondi, fisico asciutto e slanciato e un bel sorriso. Mentre io sono bassa, mora, con un aspetto quasi cadaverico e poco curata. Beh, questo è ciò che dice la mia famiglia su di me. Non che io mi piaccia molto o che abbia un'alta autostima, ma non credo di essere poi così orrenda. Ammetto che il mio taglio non è fra i più femminili –corti e con un ciuffo riccio da un lato, che cade sull'occhio destro, solcato da una profonda occhiaia come il suo gemello- ma non credo che la mia vista causi vomito e vertigini.

Comunque quella fu una sera come tante altre, con mio padre che rincasava tardi per colpa del lavoro e i miei fratelli che, a differenza di me, si godevano la loro vita sociale. Io l'unica cosa che mi godevo, era il gruppo di whatsapp con Jenny e Natalie.


HelenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora