04.

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Non pensai più a quello strano sogno per un po' di tempo.

Balle.

In realtà era diventato un chiodo fisso ormai. Thomas, Thomas, Thomas. Ma che significava quel nome, chi era questo dannato Thomas? E perché lo sentivo così vicino a me, come se fosse nascosto in una remota parte del mio cervello? E quel quasi-bacio che stavo per strappare a Natalie poi? Che cavolo mi stava frullando per la testa?

Ogni minuto in più che passava, mi facevo sempre più domande. Un'ossessione ormai era divenuto quel sogno. Un stupido ed irreale pensiero creato da me stessa. Ecco cosa mi dicevo. Ma perché? Perché Natalie? Perché...una ragazza.

- Bro, la prof ti chiama. - Perché, perché. Non ne potevo più ormai di quella fissazione irremovibile dalla mia mente. Mi veniva quasi da strapparmi le meningi.

- Helen, porca vacca! -

- AH! Oi, ma che cavolo ti prend... - alzai lo sguardo, accorgendomi di avere la professoressa che mi guardava con un viso per nulla di buon umore e Jenny con il mio diario in mano. Mi toccai la guancia, arrossata, per un colpo. Colpo? Lanciai un'occhiata alla mia migliore amica, che mi guardava con un'espressione che avrebbe sicuramente detto 'ho dovuto'. Mi aveva dato una diariata in faccia, insomma.

- Helen, cara, vuoi spiegarci questa definizione, per cortesia? Oppure i tuoi futili sogni da adolescente sono più importanti della mia spiegazione? Perché se così fosse, puoi benissimo dirlo e non recuperare mai più la tua insufficienza. -

- Insuff...eh? Ma di che parla, io non ho nessuna insufficienza in storia... - sentii una lieve risata di sottofondo e Jenny che si portava una mano sulla fronte, scuotendo la testa.

- Infatti questa non è storia, citrulla. Questa è SCIENZE. Materia in cui attualmente come media hai quattro stracciato. - disse la prof divenendo paonazza e, giuro, vidi le sue vene gonfiarsi dalla rabbia.

Oddio, mi ero completamente scordata che quel giorno mi sarei dovuta offrire volontaria per venire interrogata e recuperare quel maledetto voto. Abbassai lo sguardo, ma poco dopo lo posai su Natalie. O meglio, sul suo banco vuoto, dove sarebbe dovuta essere. Era assente già da un paio di giorni, e la sua mancanza mi faceva stare male.

- Quindi, cos'hai intenzione di fare? Passare oggi o aspettare un'ulteriore settimana? - sottolineò.

- Io...non sono preparata così bene da poter recuperare... - sibilai. Che figuraccia, che schifo, mi fissano tutti, pensai. Volevo solamente sparire. Come sempre.

Quel demonio nascosto dietro le lenti degli occhiali rise sotto i baffi, bisbigliando un 'che novità', prima di tornare a sedersi alla cattedra. Diedi una veloce occhiata allo schermo del cellulare, per vedere che ore fossero. 12:47. Tredici minuti e sarebbe finita quella tremenda agonia. Sospirai, accertandomi che nessuno mi stesse vedendo, e controllai i messaggi. Nulla ricevuto. Sospirai nuovamente, ritirando il mio amatissimo cucciolo in tasca.

Poco dopo, mi accorsi che Jenny stava tamburellando le dita sul banco, indicando una scritta. Allungai il collo e lessi.

Oi, tutto ok?

La guardai, annuendo, non molto convinta, ma presi la matita e decisi di scrivere qualcosa pure io.

Più o meno, podo devo dirti una cosa assurda

LO SAPEVO ok me lo dici podo 

Ritirai i miei utensili scolastici poco prima che suonasse la campanella, e per qualche strano motivo pensai alla prima volta che sentii la parola podo. Ero in terza media, seduta sulla cattedra a guardare fuori dalla finestra, quando Jenny mi lanciò una barchetta di carta addosso. Mi sorrise dicendo che doveva chiedermi un favore e la seguii fuori dall'aula. Lì mi confessò di essere dislessica e che era per questo motivo che dalla prima media, i professori, le semplificavano le verifiche. Non lo aveva mai detto pubblicamente, per non passare per la ragazza problematica (già era sua abitudine definirsi strana e sentirsi abbattuta per qualsiasi cosa, per cui la trovava un'ulteriore aggravante alla sua situazione). Subito non capii perché me lo stesse dicendo, ma poi quando mi mostrò i messaggi che scriveva nel gruppo di classe o in qualsiasi altra chat, mi accorsi che faceva molti errori grammaticali; non accenti, apostrofi, virgole...scambiava semplicemente le lettere fra di loro. Mattino, diventava tammino, autobus diveniva autosbu e dopo, podo. Sorrisi, trovando la cosa un po' buffa e, in qualche modo, tenera. Così decisi di adottare il termine podo, da utilizzare al posto dell'originale parola. E fu così che mi dimenticai che durante i compiti in classe di italiano, dovevo scrivere correttamente quel termine.

Uscite da scuola, ci dirigemmo con una certa lentezza verso la fermata dell'autobus. Jenny mi guardava, fremeva dalla voglia di sapere cosa avevo da dirle, ma la verità era che non trovavo le parole giuste per spiegarle quell'assurdità.

Ad un tratto, ruppi il silenzio, fermandomi di colpo, e raccontando tutto d'un fiato cos'avevo sognato due settimane prima. Lei mi seguiva, seguiva ogni cosa dicessi, con una curiosità mai letta nei suoi occhi bruni. Quando finii, riprendemmo a camminare. Guardavo dritto verso l'asfalto del marciapiede, mentre lei si accarezzava il mento, come se avesse la barba di un saggio. Poi mi guardò, dandomi una pacca sulla spalla.

- Sei un fottuto trans, Tommy. - la guardai. Tutta rossa. Poi si mise a ridere e si sedette sulla panchina della fermata. - Scherzo, ma potrebbe darsi che fooorse, e dico forse, non è certo, che tu abbia una sorta di...cotta per Natalie. - concluse lei, mentre si apprestava a prendere le cuffiette.

Rimasi a fissarla, sbigottita, più per non averci pensato, che al fatto stesso.

- Io. Una cotta. Per una ragazza. Impossibile. ­- borbottai, sperando di auto convincermi che non fosse vero. - Insomma, a me piace la spranga, la mazza, il pesce... non una fottuta fessura! - dissi arrossendo. Solitamente non usavo quei generi termini per riferirmi a quello. - Mi sono sempre piaciuti i ragazzi. Mi piace tutt'ora un ragazzo, diamine! Io...io non posso accettarlo. Non è nemmeno detto che sia così, poi. -

- Senti, è vero che ti sono sempre piaciuti i ragazzi, ma ti devo ricordare come ti comporti quando sei con lei? Ti appiccichi peggio della colla e scleri quando non ti risponde subito ai messaggi. -

- Quello si chiama affetto e quell'altro preoccupazione! -

- Vogliamo parlare del tuo sfondo? Della cartella nel tuo computer con tutte le sue foto, fatte a sgamo, tra l'altro? -

- T-Tu come..! - mi senti rossa fino alle orecchie. - Quelle sono solo foto...foto divertenti, per prenderla in giro, che vai a pensare! - lei mi squadrò, alzando le sopracciglia. Era evidente che non credeva ad una sola parola che stessi dicendo.

- Senti, non lo so. Forse mi piace. Ma non te lo so comunque dire, in ogni caso, per cui facciamo morire il discorso qui. Tu non sai niente di questa conversazione, né tanto meno del sogno, okay? -

- Yes, Sir. - roteò gli occhi e salimmo sull'autobus. Sospirai, anche se sapevo benissimo che, probabilmente, aveva ragione.

Mia madre faceva il turno pomeridiano, per cui decisi di andare a trovare Natalie. Mio padre sarebbe arrivato a casa di sera, intorno alle sette, quindi avevo tutto il tempo di fermarmi a fare quattro chiacchiere con la biondina.

Scesi dall'autobus e suonai. Fu felice di sentirmi e mi fece subito salire. Mi aprì con addosso un caldo pigiama celeste con un fiocco al centro del petto. Distolsi lo sguardo, notando che mi sembrava piuttosto...libero. Probabilmente non indossava il reggiseno, da malata.

- Hey... - sorrise cordialmente - Che aspetti ad entrare, un invito? - risi leggermente e mi tolsi le scarpe. Un attimo dopo, già lanciavo occhiate dappertutto. Ero stata pochissime volte a casa sua, e per la maggior parte, di nascosto. Per cui non mi ero mai presa la briga di guardarla attentamente.

Le chiesi come stava, se aveva bisogno di qualcosa, le diedi i compiti e i minuti cominciarono a passare. Mi accorsi che sembrava un po' irrequieta. Strano, avrei dovuto esserlo io, ma forse era solo la febbre a farle questo effetto.

- Devo dirti una cosa. - disse, ad un tratto. Posai lo sguardo sui suoi occhi verde brillante, cercando di non perdere la concentrazione.

- Cosa? - chiesi.

- Beh, è da un po' che vorrei dirtelo, ma non trovavo le giuste parole per farlo. - fece una pausa, passandosi una mano fra i capelli sciolti e mossi. Le stavano crescendo in fretta, considerando che a settembre portava un caschetto, già il fatto che le arrivavano alle spalle era un bel traguardo. Io mi limitai semplicemente a guardarla e sperare nell'impossibile.

- Lo sai solo tu ed una mia amica eh, per cui tienitelo stretto e chiudi la bocca, mi raccomando. Se mia madre venisse a saperlo, mi sbatterebbe fuori di casa. E mio padre...non so, non vorrei deluderlo. - ipotesi di una possibile dichiarazione bruciata.

- Non ti preoccupare, non sono una che parla. - la guardai, impaziente. Lei fece un lungo respiro e alzò gli occhi, putandoli sui miei.

- Sono bisessuale.


HelenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora