Capitolo 3

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San Felice Circeo, 31 agosto 1939

Il sole faceva capolino tra le case di San Felice Circeo, dalla più umile alla più sfarzosa, come ogni mattina in quella fine di agosto non particolarmente calda: una fortuna che poteva godere soltanto chi viveva affacciato sul mare, con le correnti che mitigavano l'aria ed evitavano qualsiasi tentativo di calura troppo opprimente.
Una piacevole corrente di grecale soffiava leggera tra i vicoli del paese, muovendo le tende da sole e generando piccole onde nel mare: erano le giornate preferite dai pescatori, che tornavano con un pescato piuttosto ricco da rivendere poi al mercato.
Quella mattina così luminosa sembrava aver contagiato anche un animo tenebroso come quello di Rinaldo Marini: come preso da una felicità segreta, nota solo a lui, si svegliò canticchiando Just one more change di Bing Crosby.
Si lavò la faccia, si vestì e corse in cucina a fare colazione, salutando calorosamente i suoi genitori.
«Stai bene, tesoro?» chiese Gisella mentre imburrava le fette biscottate, stupita di vedere suo figlio così solare.
«Benissimo, perché?» fece il ragazzo, già con una fetta biscottata in bocca, mentre si versava del caffè nella tazza.
«Di solito sei gioioso quanto uno dei nostri macchinari, giù in tipografia. Cosa succede?» intervenne Francesco, il tipografo del paese, in modo decisamente più diretto, prima di bere il suo caffellatte.
Questo atteggiamento disturbò leggermente sua moglie.
«So che è strano vedere nostro figlio così allegro, ma non è il caso di essere inquisitorio!» lo rimproverò.
«Non sono inquisitorio, mica sono un gerarca! Faccio solo il padre...» ribatté l'uomo, difendendo i suoi intenti.
«Certo che tra tutti e due siete più inquisitori dei Menotti... Che c'è, uno non si può svegliare in buona?» sbuffò il ragazzo, ficcandosi in bocca un'altra fetta biscottata.
«Ora è tornato come al solito.» constatò ironico Francesco.
«Chi lo sa, magari è innamorato e non ce lo vuole dire...» ipotizzò maliziosa Gisella.
«Conosciamo tutte le ragazze del paese, le abbiamo viste crescere e mi viene difficile pensare che sia una di loro. Elsa Filomusi ne dubito, è fidanzata con Cesare Belmonte. Sua sorella Marta è innamorata di Enrico Belmonte da quando ha imparato a parlare. Iris Cataldo sarebbe il colmo.» elencò lui.
«Magari è una delle ragazze Belmonte. Annalisa ed Elena sono così carine e a modo. Luciana non so, parla solo di metalli e formule chimiche, non si confà ad una donna...» continuò lei.
«Già, se è una Belmonte magari ricuci lo strappo che hai causato rinunciando a Pietro. Anche se da quando l'hai lasciato sull'altare avete piuttosto migliorato i vostri rapporti...» la punzecchiò il tipografo, facendo riferimento al fatto che Pietro Belmonte fosse sempre gentile e premuroso con lei, in nome del fatto che in gioventù fossero stati fidanzati e promessi sposi.
«Farò finta di non aver sentito le tue ultime parole...» rispose la signora Marini tra il serio e il divertito.
Rinaldo ascoltò quasi con tenerezza le baruffe tra i genitori: quei rinfacci comici era il loro modo di volersi bene.
Ma la verità era che qualcosa si muoveva nella testa e soprattutto nel cuore del giovane, qualcosa che non gli faceva vedere l'ora di raggiungere gli altri in spiaggia, quel pomeriggio.

                                   ***

Se l'aria fuori era piacevole, dentro il forno di San Felice Circeo non si poteva dire certo la stessa cosa: i vapori che provenivano dalla cottura del pane dalla mattina presto alla sera tardi rendevano l'aria più rovente delle temperature estive, e dal punto di vista dei dipendenti faceva caldo come all'inferno.
Le uniche a ricevere un po' di sollievo erano le commesse: il banco era di fronte all'entrata, perennemente aperta per permettere ai clienti di accedere, e un po' d'aria esterna si insinuava all'interno per smorzare il calore insopportabile proveniente dalle cucine.
Iris Cataldo ci aveva fatto l'abitudine, come aveva fatto l'abitudine all'allegro e continuo chiacchiericcio delle sue colleghe, Laura Tagliaferri e Maddalena Iorio.
Laura era la figlia di Tommaso Tagliaferri, carpentiere ai Cantieri Navali Belmonte: aveva vent'anni, i capelli lunghi e castano chiaro, gli occhi nocciola e la capacità di individuare il suo principe azzurro in qualsiasi uomo incontrasse, non importava se ricco o povero.
Maddalena invece era figlia di Renato Iorio, giardiniere di Villa Meridiani e appartenente alla comunità di siciliani trapiantati a San Felice Circeo di cui facevano parte anche i Filomusi e i Romano; aveva capelli corti neri e occhi marroni, e le idee molto più chiare dell'amica in fatto di pretendenti: il suo avrebbe dovuto avere dovuto avere un portafoglio bello pesante, in maniera tale da farla smettere di lavorare lì dentro dopo il matrimonio.
Quando erano insieme parlavano spesso dei ragazzi del paese, facendo delle vere e proprie classifiche su chi fosse il più appetibile.
«Enrico Belmonte rimane il più bello del paese...» sospirò affascinata Laura, mentre incartava dei filoncini per una signora.
«Ed è anche il più ricco. È quello che, tra i tre maschi della famiglia, erediterà i Cantieri Navali Belmonte!» le ricordò Maddalena, mentre prendeva delle rosette per un'altra signora.
«Per quanto anche Rinaldo Marini, o Claudio e Maurizio Filomusi, non sono male...» ribatté la Tagliaferro. «E tu, Iris? Chi è il migliore per te in paese?» chiese poi, rivolta alla Cataldo, impegnata a dare il resto ad una terza signora.
«Macché migliore e migliore, Laura! Lei ha direttamente il nostro podestà a corteggiarla, che fortunata!» la delucidò la Iorio.
«Per me potrei anche barattarla con voi, questa fortuna. Potrebbe farmi la corte anche il re d'Inghilterra, ma io sposerei solo un uomo che amo.» ribatté Iris, per evitare che la considerassero la povera disgraziata miracolata dal fatto che l'uomo più potente del paese fosse pazzo di lei.
Ma quel briciolo di sicurezza che aveva assunto le mancò quando vide entrare Ernesto Menotti con la sua camicia nera e il manganello in vita, e il suo stupore fu ancora più grande quando vide che al suo fianco c'era Claudio Filomusi.
«Buongiorno, belle signorine!» fece Menotti, con quel modo di fare da sbruffone ancora peggiore di suo fratello Gianfranco.
«Buongiorno, signor Menotti!» lo salutarono Laura e Maddalena, subito sull'attenti.
«Volete acquistare del pane?» fece Iris, stizzita dalla sua presenza.
«Qualche rosetta e un filoncino, e portarvi i saluti di mio fratello, che oggi è decisamente impegnato per venirvi a trovare.» rispose Ernesto, come se stesse impartendo un ordine più che comprando del pane.
Lo sguardo della ragazza si spostò sull'amico d'infanzia.
«Che cosa ci fai con lui?» gli chiese subito.
«Sto solo accompagnando un amico a fare delle commissioni.» si difese Claudio, come se fosse stato pizzicato a rubare.
«La verità è che vuole apparire bello agli occhi di voi fanciulle e vuole farsi vedere con me. Allora, questo pane?» prese la parola Menotti, incalzando Iris a fare presto come se non fosse un cliente qualsiasi.
«Ecco a voi» rispose la Cataldo. Avrebbe voluto augurargli di strozzarcisi, con quel pane, ma non era il caso, l'avrebbe fucilata o fatta mandare al confino.
«Tenete il resto. E a presto, signorina Cataldo! Arrivederci, signorine!» pagò Ernesto, lanciando gli spicci sul bancone come se stesse facendo l'elemosina, poi uscì con Claudio che era l'immagine della vergogna e del pentimento.
Iris non seppe come reagire, ma la sua testa le imponeva di avvertire i Filomusi: Elsa era la sua migliore amica, Marta una sorta di sorella minore, il signor Oreste uno dei pochi a volere bene a lei e a sua madre Irene, e poi Maurizio, così così comunista che con un fratello allineato col regime ci avrebbe litigato tutti i giorni.
Doveva parlare ai suoi amici, quel pomeriggio quando si sarebbero visti.

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