San Felice Circeo, 25 febbraio 1939
Da quando in Italia era stato instaurato il regime, il sabato era un giorno particolare: quello dedicato alle sfilate della Gioventù Fascista.
A San Felice Circeo, tutti i nati tra la fine degli Anni Dieci e l'inizio degli Anni Venti erano stati Balilla i ragazzi e Piccole Italiane le ragazze: crescendo, c'era chi quell'ostentazione l'aveva fatta sua e chi cominciava a percepirla come stretta, a tratti soffocante.
Ma quel sabato era ancora più particolare del solito: proprio il giorno prima, venerdì 24 febbraio, Alessandro Guattari, uno dei proprietari terrieri più ricchi del paese, aveva ordinato lo spostamento di alcune pietre che bloccavano l'accesso ad una delle grotte che sorgevano sui suoi terreni, sul fianco orientale del Promontorio del Circeo: in fondo alla grotta aveva casualmente trovato un cranio e due mandibole, immediatamente prese in carico dal professor Carlo Alberto Blanc, archeologo di origini francesi e dal suo collega Luigi Cardini, che avevano attribuito i reperti ad un uomo di Neanderthal.
Sebbene i tre si fossero letteralmente immersi in quelle ricerche, Viola Belmonte e le sue cognate Livia e Cristina avevano insistito per invitarlo, nel pomeriggio, ad un aperitivo a Villa Belmonte, dove ci sarebbero state le famiglie più importanti di San Felice Circeo, come i Menotti, i Meridiani, i Coralli di Vallombrosa: furono i ragazzi di casa ad estendere l'invito anche a gente non ricca o blasonata, come i Filomusi, i Marini, le Cataldo.
Blanc e Cardini avevano inizialmente avuto delle remore, ma Guattari, consapevole del prestigio che sarebbe derivato dalla loro scoperta, accettò per tutti e tre quell'evento mondano, che in particolar modo di sabato non potevano assolutamente declinare.***
L'eccitazione per quell'evento arieggiava per le stanze di Villa Belmonte a partire dalla mattina: Viola già dava ordini alla servitù per il pomeriggio, aiutata dalle cognate.
«Melissa, mi raccomando l'argenteria. I nostri ospiti ci si devono specchiare dentro!» esclamava, esortando una ragazza con corti capelli mossi e occhi nocciola, somigliante a Sara Ricciardi, una delle ragazze che lavoravano alla Taverna Filomusi. Era infatti sua sorella minore, e a Villa Belmonte faceva la cameriera.
Era molto legata alla famiglia Belmonte anche perché Ruggiero Lojacono, uno degli operai dei Cantieri Navali Belmonte, era il suo fidanzato, e uno dei più ferventi fascisti del paese, grande emulatore dei fratelli Menotti.
Avrebbe voluto dire alla sua datrice di lavoro che gli ospiti a tutto avrebbero pensato meno che all'argenteria, con tre ospiti illustri dentro casa, ma la signora Belmonte non andava contraddetta in momenti così importanti: aveva fatto tanto per entrare in quella famiglia.
Figlia di Filippo e Laura Santini, rispettivamente ragioniere e segretaria dei Cantieri Navali Belmonte di quando era vivo la buonanima di Arnaldo, il capostipite, aveva conquistato il cuore di Corrado, l'erede, nel periodo in cui era già lei stessa segretaria al posto di sua madre, la quale aveva favorito quell'unione con tutte le sue forze, vivendo attraverso la figlia quelle ambizioni che non aveva potuto vivere lei.
Non era stato facile farsi accettare in famiglia: sua suocera Rosa la guardava come una parvenu, suo cognato Alessandro aveva cercato di sedurla in seguito ad una scommessa fatta con Livia e Cristina al Circolo, quand'erano ragazzi.
Poi era rimasta incinta di Enrico, e quella gravidanza le aveva dato un'immunità improvvisa, come se aspettare il futuro proprietario dei Cantieri Navali Belmonte le avesse dato all'improvviso la possibilità di mettersi l'intera famiglia acquisita in tasca.
E c'era riuscita: negli anni era diventata la padrona di casa perfetta e le cognate, che ne disprezzavano i natali, cominciarono a trattarla prima come una pari, poi come un vero e proprio esempio.
«Raimondo, mi fido del tuo savoir faire per l'accoglienza degli ospiti.» disse invece Livia Belmonte a Raimondo Balzani, il fedele maggiordomo di casa Belmonte.
Apparteneva ad una delle famiglie più ricche di San Felice Circeo, proprietarie di terreni affacciati sul mare e di immobili affittati a vari commercianti del paese, nonché della Banca Meridiani: affascinata dall'aura di mistero del mite Pietro Belmonte, aveva approfittato del gran rifiuto di Gisella Stanzi per farsi portare lei all'altare dal ragazzo, pochi mesi dopo che lui era stato abbandonato a un passo dal sì dalla madre di Rinaldo Marini.
Gli aveva dato due figli, Cesare e Luciana, ma mentre del primo e della sua futura carriera in Polizia andava orgogliosa, la seconda era la sua disperazione: avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per evitare che intraprendesse una carriera così poco congegnale ad una donna quale poteva essere lo studio dell'Ingegneria Metallurgica.
«Sarà fatto, signora Belmonte» ubbidì il maggiordomo, abituato ai capricci delle mogli dei fratelli Belmonte.
Era stato assunto dalla signora Rosa quand'era ancora ragazzo, e rimpiangeva i suoi modi da innata signora, sebbene fosse figlia e nipote di pescatori.
«Camilla, ricordati di mettere i rustici in bella vista rispetto alle ostriche: gli ospiti fanno tanto i sofisticati ma i loro peccati di gola sono sempre i piatti più semplici...» faceva invece Cristina Belmonte alla cuoca Camilla Bassi, di origini veronesi, assunta poco dopo che venne con la sua famiglia nel 1928, a seguito delle bonifiche.
Cristina Coralli di Vallombrosa aveva nobili origini: suo padre Tancredi vantava parentele con i Frangipane, famiglia sanfeliciana blasonata di origini medievali, e suo nonno Germano era uno dei soci fondatori del Circolo del Tennis.
Da sempre innamorata di Alessandro Belmonte, aveva accettato di essere la sua compagna di scorribande da giovinastri ricchi e annoiati, finché non si era deciso a guardarla con occhi diversi, anche spinto da sua madre Rosa: la nascita dei figli era stata il suggellamento della coppia perfetta.
I mariti le guardavano serafici mentre facevano colazione.
«Secondo voi le nostre donne ci lasceranno lavorare?» domandò Corrado ai fratelli, mentre apriva un tubo dal quale fece uscire una pastiglia bianca, che si mise in bocca facilitandone la deglutizione con un bicchiere d'acqua: gli serviva per tenere sotto controllo la cardiopatia di cui soffriva da quando era nato.
Era il maggiore dei fratelli Belmonte, il proprietario dell'impero di famiglia e non poteva mostrarsi debole in pubblico, specialmente nell'epoca in cui viveva.
«Conteranno le ore fino a che non saremo qui nel pomeriggio.» commentò suo fratello Pietro, di due anni più giovane, ma già con una grossa ferita alle spalle: quella di essere stato lasciato sull'altare dall'ex commessa del forno Gisella Stanzi, ormai signora Marini; i due erano rimasti tuttavia molto uniti, e la loro vicinanza era spesso oggetto di maldicenze in paese, che infastidivano non poco Livia, sua moglie.
Era un uomo mite e riflessivo, l'ago della bilancia tra l'idealista Corrado e il disilluso Alessandro.
«La verità è che non daranno tregua né a noi, né ai ragazzi. Oh, eccoli che arrivano...» intervenne Alessandro, il terzogenito.
Nonostante fosse ormai un uomo serio, preso dalle dinamiche aziendali, in gioventù era stato superficiale e scanzonato, più buono a fare scommesse amorose che a pensare seriamente al futuro: i matrimoni dei fratelli gli avevano fatto dare una bella svegliata, e si era rivelato un elemento fondamentale all'interno dei Cantieri Navali Belmonte, soprattutto un abile diplomatico.
Le voci allegre dei ragazzi interruppero quelle elucubrazioni: la venuta di Guattari, Blanc e Cardini li entusiasmava molto più dei loro genitori e zii.
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Storia d'amore e di guerra - L'inizio [IN REVISIONE]
Fiction HistoriqueSan Felice Circeo, 1939. Un gruppo di ragazze e ragazzi nel pieno dell'adolescenza scoprono l'amicizia e l'amore in una provincia italiana ancora al riparo dalla "guerra lampo" scatenatasi in Europa a causa del Corridoio di Danzica. Ma quando, nel 1...