Capitolo 4

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San Felice Circeo, 1° settembre 1939

Il primo mattino del mese di settembre si preannunciava coperto, ma senza importanti formazioni nuvolose: una di quelle giornate né carne né pesce, in cui il grigio era il colore predominante, e in cui nessuno, forse nemmeno i metereologi dell'EIAR, sarebbe riuscito a indovinare se fosse uscito il sole o si fosse abbattuto un temporale.
Irene Cataldo era già sveglia e, dopo aver preparato la colazione, si stava dedicando al pranzo: sia lei che la figlia non sarebbero state in casa fino a sera, mangiando dunque entrambe fuori.
Iris entrò in cucina canticchiando allegramente Quel mazzolin di fiori, un motivo che aveva imparato con l'arrivo delle genti del Nord-Est con le bonifiche: avevano portato molte loro abitudini, tra cui il loro accento simile allo spagnolo, la polenta in tutte le salse e i canti degli alpini.
«Buongiorno, mamma!» esclamò abbracciando la madre da dietro e stampandole un bacio sulla guancia, prima di incamminarsi verso la tavola.
«Con questa canzone avrei scommesso di sentirti parlare con l'accento veneto...» la prese in giro bonariamente sua madre, mentre la ragazza si sedeva per fare colazione.
«Forse chiederò lezioni al postino Visentin, così faccio vedere a Rinaldo come so parlare in veneto.» scherzò Iris, prendendo le fette biscottate per imburrarle.
Irene lasciò la sua postazione ai fornelli e si sedette vicino a lei.
«Sei felice con Rinaldo?» le chiese con apprensione.
«Ti dispiace che abbia scelto lui e non Gianfranco Menotti?» domandò allora Iris, pensando che sua madre fosse contraria a quel nuovo amore molto romantico ma poco conveniente per le loro finanze: dopotutto Gianfranco era il podestà di San Felice Circeo, mentre Rinaldo un semplice tipografo.
«Ma no, anzi. I fratelli Menotti sono due arroganti, per non parlare della loro madre che mi odia, quindi meglio non averla come consuocera. Ma Gianfranco non è uno che si arrende, e se ne fregherà del fatto che adesso sei fidanzata.» l'ammonì Irene.
«Può anche diventare pazzo dietro me, ma io non cederò mai. E poi ci sono i miei amici a difendermi: finché siamo tutti insieme, non può succederci nulla di male.» le ricordò l'una.
«Speriamo...» sospirò l'altra.
«Mamma, dovresti innamorarti anche tu, sai? Ti farebbe bene. C'è il signor Filomusi che è molto affezionato a te, perché non ci fai un pensiero?» propose allegramente la ragazza, beccandosi una spintarella sul braccio da parte della madre.
«Impertinente che sei...» rispose ridendo.
Anche lei era affezionata a Oreste Filomusi, e conosceva il desiderio di Iris di avere un padre, ma il cuore dell'uomo era ancora concentrato sulla sua defunta moglie Caterina, e quello di lei sul ragazzo a cui aveva donato tutta sé stessa, fino a perdere la dignità per sempre.

                                    ***

A casa Filomusi Maurizio aveva portato il giornale e lo stava leggendo a colazione: suo padre e sua sorella Elsa gli avevano detto mille volte che non si doveva leggere a tavola, ma il giovane operaio era allergico a qualsiasi tipo di autorità.
La notizia poi lo interessava particolarmente: due giorni prima infatti, il 30 agosto, c'era stata una chiamata alle armi in Polonia di ben ventitré classi, a seguito del pericoloso interesse che il dittatore tedesco Adolf Hitler aveva per i monti Sudeti come collegamento perfetto attraverso la città di Danzica.
«Ma vi rendete conto che in Polonia hanno chiamato ventitré classi alle armi? Hitler è proprio un pazzo, in Europa e in Unione Sovietica l'hanno sempre detto...» commentò preoccupato.
«Ma che avrà di tanto interessante questa Polonia per la Germania Nazista?» domandò Marta, non comprendendo la concitazione del fratello.
«Per il corridoio di Danzica, Marta. Porta direttamente in Germania, non li leggi i giornali?» sbuffò Maurizio, che pensava di essere l'unico informato sul mondo all'interno della sua famiglia.
«Sempre che non sia la tua cara Santa Madre Russia a vendere la Polonia ad Hitler...» ipotizzò Claudio, beccandosi un'occhiata torva da parte di suo fratello.
«Non ti azzardare a chiamare l'Unione Sovietica col vecchio nome che aveva sotto gli zar, che mangiavano e bevevano a sbafo degli operai e dei contadini.» ribatté quest'ultimo.
«Io ho sentito che i contadini sono rimasti affezionati allo zar e alla zarina, che continuavano a chiamarli Papà e Mamma mentre gli operai erano già profondamente sovietici...» puntualizzò Elsa, cercando di evitare una lite.
«Quella era tutta gente ignorante che stava male e non se ne rendeva neanche conto. Lenin ha aperto loro gli occhi, e Stalin sta continuando nell'intento del suo predecessore.» replicò il ragazzo.
«Difendili pure quanto vuoi, ma non credo che saranno così magnanimi con la Polonia.» insistette Claudio.
«E chi te l'ha detto, i tuoi nuovi amici Menotti?» lo sfidò allora Maurizio.
Il fratello maggiore stava per ribattere ma Oreste prese prontamente la parola.
«Non vi azzardate a parlare mai più a parlare di politica a tavola! Sciarriate proprio come due carusi...» li riprese, riportando tutti al silenzio.
Claudio e Maurizio si lanciarono occhiate cariche di risentimento, Elsa e Marta sguardi preoccupati: se davvero fosse successo qualcosa in Europa Orientale, la pace avrebbe finito di esistere all'interno della loro famiglia.

Storia d'amore e di guerra - L'inizio [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora