Maniche Arrotolate

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I shot for the sky
I'm stuck on the ground
So why do I try?
I know I'm gonna fall down
I thought I could fly
So why did I drown?
You never know why
It's coming down, down, down
Down, Jason Walker (ft. Molly Reed)

È da quando sono piccola che penso che chi porti le maniche arrotolate sia un gran figo.
Insomma, trasmette sicurezza di sé, ribellione, forza. Del tipo: guardami le braccia, che muscoli che ho; quanto sono sfrontato!
Appena ho "scoperto" come si faceva, ho iniziato ad assumerlo anche io come atteggiamento. Come uno stile di vita.
Faceva tanto "maschio". E tanto femmina non mi ci sono mai sentito. Volevo essere super macho senza pensare che non era quello il ruolo che gli altri si aspettavano da me. Ho tante piccole fissazioni che sono dei paletti che mi sono autoimposto da piccola, come il fatto che la borsetta la portano le femmine. Odiavo il rosa, il colore femminile per eccellenza, secondo la società. Perché io non facevo parte di loro. Ero quella che alle feste veniva scambiata per un ragazzino. Quanto era imbarazzante dover spiegare...

Con le maniche arrotolate facevo di tutto: ci giravo per le strade della mia città d'estate, mi ci allenavo in qualunque stagione, ci cucinavo, ci studiavo. Le rigiravo quando sentivo che dovevo impegnarmi, e che dovevo dimostrare di star facendo qualcosa. E poi, così almeno non mi rimaneva quel fastidioso segno più chiaro della manica, quando mi abbronzavo. Però ormai non mi importa più.

Ho iniziato a pensare seriamente di essere trans alle medie. Giravo per la scuola (in realtà neanche troppo) con i pantaloni da ginnastica che non stavano più a mio fratello il più in basso possibile, ma non volgarmente, in felpone l'inverno e in t-shirt d'estate. Sempre con le maniche rigirate fin sulle spalle, così anche da nascondere i miei evidenti difetti di postura. In quel periodo ci sono state un sacco di persone che hanno deciso che approfittarsi della mia fiducia per poi prendermi in giro fosse una buona idea. Questo ha diminuito sempre più la mia autostima, che ad oggi è ancora sotto lo zero. Però cresce, piano piano.
A forza di camminare a testa bassa, oltre alle scapole alate mi sono beccato pure il cosiddetto collo da cigno, che più antiestetico di così, si muore.
I primi anni delle superiori mi ero ricreduta, pensavo che fosse tutto una gran cazzata e mi sentivo molto più femminile. Non che mi mostrassi al mondo in chissà quale modo, però non ci ho più pensato così tanto. Non era più rilevante.
Ora penso che gender fluid sia l'etichetta che mi rappresenta meglio. Infatti anche qui, rileggo questo testo che è pieno di pronomi mischiati e penso che ogni volta che leggerò un femminile o un maschile che in quel momento non mi torna, starà bene lì.
Conosco un sacco di persone che si chiedono se questo abbia senso. Io non so come esattamente me ne sia reso conto, e non so neanche onestamente come faccia a cambiare genere in continuazione, però ci sono dei momenti in cui sento sia più giusto riferirmi al maschile o al femminile.

Ormai non arrotolo più le maniche alle mie magliette, anche se vorrei tanto poterlo fare.
Però non mi è più concesso questo lusso.
Se prima dovevo nascondere le scapole alate, ora oltre a quelle devo evitare in ogni modo che la gente veda le mie cicatrici.
Più cresci, più gli ideali della società ti colpiscono. E, a me, hanno colpito così forte che mi hanno distrutto. Se avessero mai inventato un nome che significa "sconfitta", penso che avrebbero dovuto darmelo. Vittoria è molto antifrastico. Cos'è che ho vinto? Proprio niente.
Sono entrato in quel tunnel maledetto a maggio del terzo superiore, quando le prese in giro erano diventate decisamente troppe, piangevo tutte le notti, in famiglia non si faceva altro che litigare per cazzate, a scuola continuavano a mettermi pressione e nessuno si preoccupava di come stessi.
Mi sono seriamente chiesta perché i miei avessero deciso di fare un secondo figlio, e non facevo altro che paragonarmi a un sacco di immondizia che stava sempre in mezzo, e che per levarselo di torno bisognava prenderlo a calci.
Quando ho preso la lametta in mano per la prima volta, ho avuto tanta paura. Mi sono sentita colpevole di essere così sbagliata, e mi sono illusa del fatto che me lo meritassi. Una volta, una persona che era venuta a parlarci della sua associazione, a scuola, aveva detto: “Se non hai mai fatto una cazzata nella tua vita, prima o poi la farai”; questa frase mi è risuonata nella mente per tanto tempo, e mi sono sentito ancora peggio.
E così, giorno dopo giorno, i tagli erano sempre di più.
L'ultimo giorno di scuola, in particolare, delle ragazze della mia classe, insieme a delle loro amiche, hanno cominciato a prendermi in giro per il mio aspetto e per la mia postura. Quel giorno non mi sono proprio regolata, e avevo pure iniziato a farmi un codice idiota per quanti tagli farmi al giorno. Le ferite facevano un male cane, poi iniziavano a prudere quando la cicatrizzazione era quasi finita, e o aspettavo, o levavo le croste prima, facendo uscire di nuovo il sangue.
A volte ho anche pensato che, se fossi rimasto solo in casa, avrei potuto provare a buttarmi giù dal balcone, o tagliarmi le vene. Ringrazio la mia pigrizia, sennò non sarei qui.
Ho passato un anno senza farlo, se non occasionalmente, poi in quinto ho avuto un altro dei miei momenti e ci ho dato seriamente dentro. Se prima mi faceva paura l'idea di farmi male, in quel momento invece non me ne importava nulla. Mi tagliavo prima di farmi la doccia, così da non essere beccato in flagrante. I miei genitori dubito lo sapessero, ma io fossi stato in loro mi sarei fatto due domande, se tua figlia di punto in bianco non mette più le canottiere l'estate e se al mare rimane con la maglietta addosso pure se ha caldo. Ma, probabilmente, avranno pensato fosse perché avevo paura di mostrare agli altri il mio corpo, che non era poi così sbagliato.
Ho finito le superiori con un attacco di panico e senza amici. Ho sciolto i contatti con chiunque, e mi sono concentrato nel trovarmi un lavoro. Di fidanzati/e nemmeno l'ombra, ma non me n'è mai importato nulla. Non penso di aver bisogno dell'amore per poter dire di essere felice. Anche perché diventerei solo un peso per il palpabile partner. E non potrei dargli/le nulla.
La maggior parte delle persone alla mia età pensa a metter su famiglia, ma io non ne ho la minima intenzione, anche perché sarei un genitore di merda e non potrei insegnare nulla a un mio probabile figlio. Non sono un esempio da seguire.
Tutt'ora mi vergogno così tanto da aver quasi trasformato questa situazione in una mania, quella di portare più in basso la manica sinistra. Adesso potrei solo arrotolare la manica destra, ma non avrebbe senso.
Non sono più lo stesso, e non potrò mai tornare ad esserlo.
Magari in un futuro riuscirò ad accettarmi per quello che sono, e sfoggiare quelle cicatrici, ma per ora non ce la faccio, e non penso ce la farò mai. È un percorso ancora lungo.
Le cicatrici bruciano ancora, anche se sono passati anni dall'ultima volta e non ci siano più croste da levare. Solo linee di pelle più chiara.
Non posso far altro che guardare gli altri e la loro felicità. Per ora rimango indietro, e con le maniche giù.

Take these broken wings
And learn to fly again
And learn to live so free
Broken Wings, Mr. Mister

———

NdA: Questa storia (così come le altre one-shots che trattano temi un po' più "maturi") è frutto della fantasia del suo autore. Non vuole assolutamente e in alcun modo essere intesa come una pubblicità all'autolesionismo. Proprio come dice la canzone dei Mr. Mister (anche se, in realtà non parla proprio di questo), c'è sempre speranza, e torneremo a volare e a vivere con una consapevolezza in più.
Se siete entrati anche voi nel brutto giro, sentitevi liberi di parlarne con qualcuno. Anche il solo ammetterlo è sinonimo di grande coraggio. Anche se vi sentite uno schifo, non siete le azioni che fate. Non è questo che vi definisce.
Se pensate di aver raggiunto il limite, e le possibilità che vogliate porre fine alla vostra vita, chiamate il Telefono Amico al 02 2327 2327. Non aspettate. E cercate aiuto, in qualunque modo.
C'è sempre una vita d'uscita.

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