Prologo

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PROLOGO

Bianco pallido. Ovunque si guardasse c'era questo bianco accecante. La luce che filtrava dalle vetrate batteva sulla sua pelle nuda e marcia. Piccoli sprizzi di calore lo avvolsero e gli parve di essere in paradiso.

Eppure non riusciva a smettere di tremare.

Non era il freddo, l'aveva dimenticato. Così come il dolore; quello fisico, duro, che spezza l'anima e soffoca il respiro. Gli rimaneva il caldo, una misera scintilla che lo riportò alla realtà, a quella stanza bianca.

Immobile. Mani e piedi legati. In bocca il sapore ferreo del sangue e non solo. Cercò di sputare come meglio poteva pezzi di carne putrida provenienti dall'interno del suo corpo, ma la posizione in cui si trovava lo costringeva a stare con la testa all'insù e quasi non rischiò di soffocare.

In passato succedeva spesso. Da allora aveva imparato a formare piccoli sputi direzionandoli con la lingua da un lato della bocca. Era meno disgustoso e permetteva a "loro" di lavorare egregiamente.

Dopotutto era un bravo paziente.

Con il passare del tempo la forza gli veniva meno e il più delle volte anche il solo muovere la lingua lo portava allo stremo. Non era neanche più capace di tenere perfettamente gli occhi aperti. Si era abituato a camminare, mangiare, e a fare le cose quotidiane quasi sempre con le palpebre chiuse. Lo faceva stare meglio e non doveva sforzarsi più di tanto.

Scappare era impossibile perciò l'angusto luogo in cui aveva passato gli ultimi anni della sua vita erano ormai impressi nella mente tanto da non aver più bisogno della vista stessa; tranne che per quelle particolari circostanze. Agli incontri doveva essere sempre vigile e reattivo.

Non poteva far altro se non esprimere parole e sentimento di gratitudine. Una simile attenzione e attaccamento al proprio essere non lo aveva mai avuto da quando era nato.

Fin dai primi anni i suoi genitori non gli fecero mancare nulla; entrambi ricchi avvocati lo crebbero nel vizio e nelle comodità di chi poteva permettersi molte più cose rispetto ad altri. Circoli vari, feste, conoscenze strette che lo avrebbero portato ad essere sempre in risalto in una società dove non c'era posto per i deboli e gli umili. Ne era consapevole ed era il primo a puntare il dito contro costoro facendosene beffe.

Crescendo raffinò i suoi interessi misti a vizi per scappare da quella noia che lo pervadeva nella totalità delle giornate. Ma i desideri che bramava in fondo al suo cuore erano ben altro. Con il tempo trovò estremamente difficile gioire di fronte al sentimento di fierezza, amore, lealtà e rispetto. Il trascorrere così passivamente l'esistenza lo porto a concepire il tutto come una cacofonia della vita intera, priva di veri e propri valori e piena di vuoti incolmabili. In tutto quel possedere con avidità vide solo polvere e ne era così omologato da risultare ormai, anche in piena giovinezza, vecchio.

Il problema di chi cresce, a suo parere, in quel mondo è il rimanere in un limbo di finte cordialità, riverenze, affari, champagne costosi e sesso. Lo sguazzare e l'ubriacarsi in mezzo a tali guazzabugli di scempiaggini lo portarono inevitabilmente alla malattia.

La considerava così e mai lo negò, nemmeno ai vari processi a cui fu sottoposto.

Bastò una sera, ad un evento particolare a cui era solito partecipare; uno sfogo dove sbilanciare la solita equazione di un percorso interamente piatto.

Le caste più alte, a cui appartenevano vecchi porci e i loro giovani figli e nipoti, piaceva radunare in un'unica stanza le donne più belle del mondo. Il che non era una novità, avendoci fatto il callo ad andare a letto con le escort. Quello che proponevano quelle forme di spettacolo era la giovinezza impeccabile dei soggetti, il che ne fece scaturire un senso di perversione sempre più estremo. Nella sua routine anch'essa non era cosa nuova; gli bastava addentrarsi in un qualche locale per trovare ragazzine disinibite che all'impatto con il suo fascino e al portafoglio iniziavano a sfarfallare pietosamente tutta la loro volubilità.

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