Primo e Unico capitolo

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Era preparata il giusto, Antonietta, quel giorno di settembre in cui avrebbe incontrato gli studenti di un liceo classico di provincia. Avrebbe dovuto esporre le sue teorie, i suoi studi, spiegare il perché del suo arrivo e spiegare, soprattutto, quanto fosse importante ricordare il passato.
Non erano i numeri, la cosa importante. E nemmeno le vittime importavano più come prima, nessuno era disposto a capire con le belle parole, con le frasi trasparenti e le grida silenziose.
Era il 2010, Antonietta avrebbe compiuto 95 anni qualche giorno dopo l'incontro. E lo ricordava bene: era quello il dettaglio che avrebbe completato la sua vita. Sosteneva che la morte dovesse servire come liberazione, una nuova vita in un mondo dove non esiste male e che quindi lei, doveva liberarsi. Oltre qualsiasi limite di orientamento religioso, aveva deciso che le cose sarebbero andate in modo diverso dal solito. La storia la sapevano tutti ormai, ma non quella storia.
Erano in macchina, lei e il suo accompagnatore. Guardando fuori dal finestrino, pensava alle parole giuste, parole che dovevano arrivare dritte al punto. Ripensava ai suoi anni migliori e a come li avesse sprecati invano, aspettando che qualcosa, o qualcuno, la salvasse. Ma niente, nemmeno il matrimonio con suo marito era riuscito a darle tutto quello di cui aveva bisogno.
-Mamma...vuoi che venga con te?
-Devo essere sola, non ti riguarda questa storia.
La macchina si fermò di fronte ad un edificio imponente, dove la aspettava un uomo che, agghindato com'era, aveva tutta l'aria di essere il dirigente scolastico.
-Buongiorno, dottoressa Sirianni.
-Buongiorno a Voi. Spero non vi abbia fatto attendere troppo.
-Nessun problema. Le classi sono sempre in ritardo, non capiscono mai l'importanza degli incontri didattici.
-Chissà che non abbiano ragione.
Lo prese a braccetto, rassegnandosi alla sua età anagrafica. Percorsero un breve tratto e lei chiese che gli fosse indicata la toilette.
C'erano delle ragazze che, al suo arrivo, nascosero la sigaretta che prima avevano fra le labbra. Lei le guardò, sorrise con aria disinteressata e si posizionò davanti allo specchio, ignorandole. Si sistemò i capelli dolcemente e prese dalla tasca un rossetto, ma rinunciò subito ad una sistemazione artificiale.
-Potete indicarmi la strada, fanciulle?
Sapeva che avrebbero riso di lei, una volta andata via. Ma ad una certa età non ti importa più che la gente ti prenda sul serio. Tu fai le cose come credi siano giuste: se loro non ringraziano o non apprezzano, il problema è con loro, non con te.
La fecero salire su di un palco, davanti a centinaia di sedie, in una sala di almeno 50 metri quadri.
-Le sembro una cantante, una showgirl o altro? Voglio stare in mezzo al pubblico. Vorrei posizionaste la mia sedia sotto questo palco, davanti a tutte le altre: non è uno spettacolo, è un discorso informale.
-Come desidera, dottoressa.
Sotto sotto era contenta che le persone, lì dentro, aspettassero solo una sua parola, un suo comando. Non era mai stato così, nemmeno a casa: considerando che non aveva mai imposto nulla ai suoi figli. Aveva vissuto nell'era fascista, era cresciuta in una famiglia che adorava Mussolini e, a quei tempi, da una cosa del genere, non ti liberavi. Il massimo che aveva potuto fare era stato lasciare casa per andare a vivere con il marito.
Arrivarono presto una dozzina di ragazzi alti e seri. Erano loro, quelli del quarto e quinto anno.
Si sedettero tutti e fu avvisata che il tempo a sua disposizione, per prepararsi mentalmente e fisicamente, stava per scadere. Si sedette anche lei, cercando di nascondere l'aria confusa evidente sul suo viso. Prese in mano il microfono. Sperava tanto che loro continuassero a parlare, così da dover ripetere all'infinito di fare silenzio e potersi preparare al discorso. Ma niente, c'era un silenzio di tomba.
-Buongiorno, ragazzi.
Respirò profondamente.
-Spero sappiate bene il motivo di questa conferenza, se così si può chiamare. Ho ricevuto molti altri inviti, da università prestigiose o meno. Perché ho passato la mia vita a studiare su queste cose e tutti vogliono sapere, perché credono io ricordi. Rischiano molto, potrei sbagliare. Vi state chiedendo il perché di questo prologo incessante. Semplicemente non riesco a non fare premesse e anticipazioni. Una di queste è il fatto che oggi, per la prima volta e forse con le persone sbagliate, ho scelto di non raccontare quello che potete tranquillamente trovare nei libri. Oggi voglio raccontarvi una storia, la mia storia, la storia di quello che è realmente accaduto. Nulla di fantascientifico.- si guardò intorno, i visi inteneriti dei ragazzi. Attese trenta secondi esatti, poi iniziò a parlare. –Si chiamava Giacomo, l'avevo conosciuto a teatro. Per una volta, le costrizioni dei miei genitori ad assistere a spettacoli noiosi e interminabili, erano servite a distrarmi. Eravamo nella stessa fila, uno accanto all'altra. Si avvicinò a me e disse "il protagonista è un grassone, il palco potrebbe rompersi sotto i suoi piedi". Cercai di trattenere la risata, ma non potevo. Aveva proprio ragione.- Le prime file la fissavano, incredule. –Iniziammo a commentare lo spettacolo con battute ridicole e sicuramente troppo poco fasciste. Mi chiese di rivederci, ma stava troppo lontano da Roma. Così gli riferii che, in estate, avrei alloggiato con delle mie compagne di istituto, nella sua zona, così vicina al mare. Passarono i mesi, e si fece estate. Non dimenticai la promessa. Per mia fortuna, o sfortuna, le mie compagne rifiutarono. Erano tutte troppo occupate a completare la tesi, che io avevo già finito di scrivere settimane prima. Così andai da sola, assicurando ai miei genitori che sarei stata con lo zio, al quale non dissi nemmeno che ero al mare.- si bloccò, guardando per aria, con un sorriso triste. –Non è importante questo, adesso.-
Dal pubblico si alzò una mano. Una ragazza: -Perché proprio l'era fascista? Perché non semplicemente una donna figlia di un uomo estremamente conservatore? Perché dobbiamo ascoltare questa storia, adesso?-
Antonietta sorrise, non fu affatto abbattuta da quella scortese domanda. Niente avrebbe rovinato i suoi "piani": -Lui era più grande di me, non doveva giustificarsi con i genitori, per le sue assenze. Venne a stare da me, alla casa al mare. Da subito, mi confessò che era attratto solo ed esclusivamente da uomini. Non capii subito questo suo mettere le mani avanti, ma accettai, pur sapendo che mi stavo mettendo nei guai. Ogni mattino andavamo al mare, prestissimo, quando non c'era nessuno. Il vento era gelido, l'estate non ancora matura. Io stavo stesa sulla mia asciugamani leggendo libri e riviste, mentre lui si sedeva a terra e fissava il vuoto. Mi sono sempre chiesta cosa ci trovasse di bello o comunque, cosa facesse durante quelle ore di silenzio. Rispondeva sempre che "il silenzio è d'oro, e non solo quando qualcuno deve usare questa frase come scusa per non risponderti". Si faceva l'ora in cui la gente iniziava a scendere in spiaggia. E, magicamente il suo lamentoso "Antoniè, quando andiamo a casa?" si trasformava in "Antoniè, stiamo ancora 'n poco". Sapevo allora che aveva avvistato qualche omaccione di suo gradimento e insistevo per tornare a casa. Tornavamo a casa e non c'era veramente niente da fare. Fino all'ora di pranzo, stavamo stesi a terra, io con la testa sul suo petto, tutti e due a fissare il vuoto nel silenzio d'oro. E di pomeriggio si ripeteva il tutto, fino alla fine dell'estate, quando poi ci salutavamo e ognuno tornava in città. La seconda estate fu più breve, io dovetti tornare prima, a casa. Trovai i miei genitori seduti al tavolo della cucina insieme ad un uomo rozzo, scomposto. "Salvatore sarà il tuo fidanzato", dissero, "non sei contenta?" dissero. Contenta. Ooh! Certo che ero contenta. Ero contentissima.- si bloccò di nuovo, questa volta con espressione più seria. –Tanto contenta che, piangendo, scappai, presi il treno e corsi a casa di Giacomo. Suonai incessantemente e lui non aprì. Sapevo dove teneva la chiave e irruppi. Salii le scale che sembravano non finire mai. La musica che di solito lui ascoltava, quando era solo, era spenta. Tutto taceva. Era fermo, davanti alla finestra e non si voltò nemmeno per guardarmi. Corsi ad abbracciarlo, non si mosse nemmeno allora. "I miei genitori vogliono farmi sposare con uno zotico. Io sono ancora giovane!" gridai, singhiozzando. Con aria spaventosamente seria, piangeva, lasciava che le lacrime solcassero il suo viso. Gli chiesi cosa non andava. E lui rispose, eccome se rispose. "Hanno ragione, non devi restare zitella tutta la vita. Non è così che devono andare le cose", disse. Lo guardai sorpresa. "Un frocio non merita di vivere, per questo esistono le malattie. Io morirò, Antonietta, molto presto. Devi starmi lontana. Non voglio più vederti vicino a me", aggiunse.- lasciò cadere una lacrima –Ci volle tempo. Le cose non si dimenticano, nemmeno da morti. Quello stesso anno, mi invitarono ad andare negli Stati Uniti. La guerra era finita e non avevamo avuto occasione per celebrare meglio la nostra maturità. Così accettai. A lui non pensavo più, non ogni giorno. Arrivammo a Washington, stanche, sfinite. Ebbi il tempo di sedermi sul letto della mia stanza d'albergo, quando squillò il telefono. Risposi, era mia sorella. Non chiamava mai, figuriamoci quando ero in gita. Così fui subito felice e chiesi se tutto andava bene. Restò in silenzio e aggiunse "Giacomo riposa nel regno dei cieli". Staccai la telefonata. Non riuscii a piangere. Il dolore accumulato era troppo, insostenibile. Non mangiai quei quattro giorni, senza dare giustificazione. Cosa avrei dovuto dire?- tirò su con il naso –adesso sono sposata con Salvatore, ho due figli maschi e sto per morire. Finalmente, dopo aver aspettato questi anni interminabili, salirò al regno dei cieli, dove lui mi aspetta. E vi chiedo solo una cosa, dopo avervi raccontato una storia che domani dimenticherete: vi prego, amate tanto, tante persone, tutte diverse, amate per ogni giorno della vostra vita. E ricordate l'amore, tutto l'amore. Non morite nel silenzio, il silenzio non è d'oro. Parlate sempre di come vi sentite, parlatene anche a chi non importa. E non lasciate mai che qualcuno vi impedisca di fare la vostra storia. Ricordatevi, ricordate voi e le vostre gesta.-
Un ragazzo, che piangeva ormai dalla seconda metà del racconto, si alzò in piedi: -Lei è mai riuscita ad amare di nuovo qualcuno come aveva amato Giacomo?-
Antonietta rispose: -Io non ho più amato dopo che Giacomo è scomparso. Non si tratta di amare qualcuno come ho amato lui. Si tratta di riuscire ad amare di nuovo. E io non ci sono riuscita.-

Antonietta rinnova il suo amore, adesso, ancora e ancora. E libera, si guarda allo specchio, sistemandosi i suoi amati capelli. Non si è mai sentita così. Quanto può essere strano, il destino: dobbiamo provare la morte, per arrivare alla vita. Lei l'ha fatto, fiduciosa di trovarlo. Sa che lì, lui non avrà più rabbia.

Ricordi di una vita perdutaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora