Capitolo 1

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Il sole stava sorgendo velocemente quella mattina. Doveva sbrigarsi, erano giá le cinque e quaranta.
"Ecco qua, miss Charlotte, le ho fatto preparare delle focaccine e del latte per la colazione".
"Ti ringrazio Emma, torneró prima delle otto e mezza".
"Fate attenzione, il padrone si preoccuperà se non vi vedrá".
"Non preoccuparti, verrá Argo con me".
Il suo fidato pastore tedesco di un anno l'affiancó scodinzolando.
Aveva indossato abiti dismessi e sporchi che le aveva dato Emma e si avviava scalza verso l'esterno della Oak House, chiamata cosí per i grandi boschi di querce che la circondano.

Esattamente il posto in cui stava andando. Il posto piú bello di quella casa estiva che lei e la sorella erano obbligate a frequentare per due mesi all'anno.

Il padre, Christofer Davis, un uomo importante della borsa inglese e interessato nell'industria, le portava nel Kent ogni estate, per 'far loro respirare aria buona' come diceva lui. L'aria buona c'era anche a Cambridge, pensava la ragazza.
Sua sorella Emily, di sedici anni, non diceva nulla, lei voleva solo accontentare papá.

Dopotutto era la sua preferita, con i suoi capelli biondi e gli occhi chiari e il portamento regale, mai nessun dubbio, rispettosa ed educata. Esattamente come lui.
Charlotte, invece, sapeva di essere come la madre: la bellissima Jennifer, morta dopo averla data alla luce; gli stessi capelli scuri, gli occhi azzurri e la pelle candida.

Tutti la ricordano per la sua straordinaria eleganza. Ma la loro somiglianza si fermava a quella fisica.
La sua sbadataggine non la avrebbe mai aiutata a guadagnare l'appellativo di 'elegante', al massimo sarebbe stata definita 'Charlotte, la goffa'.
Cosí si trova la mattina del 10 giugno 1837, a quindici anni. Vagava per il bosco, sola con i suoi pensieri. Prendeva un bastone e lo lanciava ad Argo, che non lo portava mai indietro.

Arrivó al suo solito posto, dove una quercia piú grande delle altre faceva ombra su un ruscello che scorreva lento.
Immerse i piedi nudi e si rinfrescó.

Si stava godendo quella piacevole brezza, quando sentì un rumore provenire dal bosco di fronte a lei. Vide che anche Argo aveva rizzato le orecchie. Si alzò e lo trascinò dietro una macchia di cespugli.

Davanti a loro le fronde si muovevano e sentì il nitrito di un cavallo. Poi le foglie si aprirono e uscí un ragazzo che tirava un cavallo per le redini.

Il ragazzo aveva i capelli corti marroni, un paio di grandi occhi verdi e stava visibilmente zoppicando.

Si sedette sulla riva del ruscello e si levó lo stivale. Aveva un grosso livido violaceo sulla caviglia.

Charlotte uscì subito dal suo nascondiglio per chiedergli se aveva bisogno di aiuto.

Lui saltó sul posto e portó la mano al pugnale che teneva sul fianco.

"Che vuoi, contadina? Non ho soldi per te" disse lui con voce sgarbata.
"Io non...". Non doveva svelare a nessuno la sua identitá o avrebbe potuto correre dei rischi. Emma aveva insistito molto su questo.

"Io non voglio i vostri soldi, voglio solo aiutarvi con la vostra caviglia".
La guardó attentamente, come se volesse capire le sue intenzioni.

"D'accordo. Ma stai attenta, ho bisogno delle mie caviglie" disse con voce piuttosto presuntuosa.

Ferita nell'orgoglio da un tono così maleducato, si affrettó a rispondere con un po'di stizza: "Ma certo, signore".

Si avvicinò a lui e prese due pezzi di corteccia abbastanza robusti perché gli tenessero ferma la caviglia perlomeno nel tragitto fino alla sua dimora. Poi strappò una fascia dal suo vestito ormai logoro e cominciò a lavorare.

~~~

Il giovane Aaron si era imbattuto in questa splendida fanciulla mentre cercava di tornare a casa.

Quell'idiota di Sean, ancora non lo aveva trovato dopo che, alle otto circa, si erano persi di vista.
Il suo scarsissimo senso dell'orientamento era compensato da quella specie di bussola umana color ebano proveniente dalla Nigeria.
Il suo migliore amico, senza dubbio.

Tornò a guardare quello splendore. Sembrava difficile che fosse una semplice contadina.
Era piú pulita e ordinata, i suoi modi semplici ma delicati.

Non percepiva nemmeno piú il dolore alla caviglia.

Doveva avere una quindicina d'anni. Perché non era nei campi ad aiutare i genitori, e invece se ne stava qui ad oziare?

Provò a percepire meglio il suo profumo: vaniglia. Il suo preferito.

E i suoi occhi, buon Dio, sembravano fatti per nuotarci dentro...

Discorsi del genere erano completamente nuovi per Aaron Evans, che mai si era fermato in quel modo a osservare una ragazza.

In diciasette anni non si era mai lasciato trasportare cosí da nessuna ragazza e di certo pensava che non avrebbe iniziato adesso per colpa di una semplice contadina.

Eppure sembrava piú di questo...

La fanciulla strinse l'ultimo nodo sulla benda improvvisata e lo aiutó a rimettersi lo stivale.
"Posso sapere come vi chiamate, signore?" chiese quasi spaventata.

Stava per rispondere, ma poi il giovane cambiò idea.
"No, non sono affari tuoi" le disse. "Non dovresti essere a zappare i tuoi campi, contadina?"

Come se si fosse ricordata qualcosa, guardó il sole e si batté la mano sulla fronte.
"Perdonatemi signore, devo scappare" disse mentre raccoglieva le sue cose e richiamava un meraviglioso esemplare di pastore tedesco.

A questo punto era certo che non fosse una contadina. Solo la borghesia e la nobiltá potevano permettersi certe razze. Che lo avesse rubato? In ogni caso non poteva saperne di più.

Era scomparsa nel bosco, senza lasciare traccia.

Pochi istanti dopo sentii finalmente Sean che chiamava il suo nome.
"Ehi, amico, tutto bene?"
"Certo, Sean. Mi sono solo storto una caviglia ma una vecchia contadina che passava di qua me l'ha sistemata".

Non voleva raccontargli di quella bella ragazza, voleva che rimanesse solo nei suoi ricordi.
"Dubito che fosse una contadina, a quest'ora stanno tutti lavorando nei campi. Magari era una strega, che ti ha fatto un sortilegio visto che continui a fissare quell'albero. Su andiamo, o sir Peter Evans il Terribile, altrimenti detto tuo padre, mi ucciderá".
Sí, forse era solo una strega.

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