3.Messaggi

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Aprii gli occhi di scatto, per la quarta volta. Guardai la sveglia e vidi che erano le 6:42.
Non mi aspettavo di certo una nottata tranquilla di sonno profondo e senza incubi, ma di certo non mi aspettavo neanche di svegliarmi più stanca della sera precedente.
Era inutile provare a riaddormentarmi: il volto di mio padre mi tormentava. Non importava se erano incubi o ricordi felici, alla fine facevano comunque male.
Scesi dal letto ed andai in bagno, dopodiché mi diressi in camera di Andrea, che ancora dormiva. Lo osservai per qualche minuto sperando che lui stesse sognando solo cose belle e che si sarebbe risvegliato con un bellissimo sorriso.
La porta della camera di mia madre era ancora chiusa, così la aprii piano e mi affacciai: la trovai seduta per terra, con le spalle poggiate al letto che abbracciava il cuscino di mio padre. Aveva le guance bagnate, lo sguardo vago che fissava un punto indefinito davanti a sé.
Non credo che dimenticherò mai quella immagine dalla mia mente. Mia madre era sempre stata uno dei miei punti di forza, insieme a mio padre ovviamente. Ogni volta che stavo male, ogni volta che avevo bisogno di lei, e di loro, c'era sempre stata; mi abbracciava, mi consolava, mi aiutava e mi dava la forza. In quel momento era come vedere il mio porto sicuro spazzato via da uno tsunami improvviso: erano rimasti solo macerie e detriti di quel luogo in cui credevo che avrei sempre trovato forza e protezione e questa cosa mi fece sentire peggio di quanto già non mi sentivo. Non riuscivo a vederla così e mi arrabbiai con lei: doveva reagire.
Andai verso la finestra e, dopo aver spalancato le tende e alzato la serranda, la aprii.
"Mamma alzati!", dissi a voce alta, ma non troppo per non svegliare Andrea.
Lei non rispose, non mi guardò, non si mosse. Era come se non ci fossi, mi ignorava.
Il suo comportamento non faceva altro che aumentare il mio senso di impotenza e la mia rabbia verso di lei.
"Alzati!", ripetei per altre tre volte con lo stesso tono. Lei non reagiva.
"Cazzo mamma!", la strattonai e la presi sotto le braccia tirandola con forza verso l'alto, per cercare di farla stare in piedi.
Quando la lasciai riuscì a reggersi sulle sue gambe, ma non parlava e continuava ad avere lo sguardo perso nel vuoto. "Mamma!" le urlai davanti il viso. Ancora niente.
Non sapevo cosa fare e il senso di disperazione saliva sempre di più dentro di me, così, non so come mi venne in mente quella pazza idea, presi con forza mia madre per un polso e me la trascinai dietro fino in bagno. La spinsi nella doccia e, senza pensarci, aprii l'acqua ghiacciata.
Ero arrabbiata. Non era giusto che mi lasciasse sola in quella situazione. Lei avrebbe dovuto essere quella forte. Lei avrebbe dovuto preparare la cioccolata calda a me e ad Andrea e dirci che sarebbe andato tutto bene, che insieme ce l'avremmo fatta, che papà sarebbe stato con noi per sempre. E invece no.
Dovevo cavarmela da sola e questo era ingiusto.
Sentivo di non aver perso solo un padre: avevo perso anche una madre.
Non avevo potuto salvare lui, ma avrei fatto di tutto per riavere con me lei. Avrei provato in tutti i modi a ricostruire il mio porto sicuro, partendo da quelle macerie. Sapevo che non sarebbe più tornato come un tempo, ma avrei potuto aggiustare le cose, riportarla da noi.
Appena l'acqua la colpì, lei gridò scansandosi da sotto il getto freddo della doccia. Aveva ancora in mano il cuscino, che si era ormai completamente bagnato.
Mi guardò come se avessi appena tento di ucciderla, con uno sguardo ferito, deluso e arrabbiato.
"Gioia sei impazzita? Come cazzo ti è saltato in mente di fare una cosa del genere?", urlò lei chiudendo l'acqua. Era davvero raro che dicesse parolacce, ma non ci feci caso. Era molto arrabbiata e anche io lo ero.
"Era l'unico modo per farti tornare nel mondo dei vivi, perché se non te ne sei accorta non sei morta con papà! Sei qui e, anche se fa schifo, devi restarci per noi, o almeno per Andrea", non sembrava neanche la mia voce. Era un misto di rabbia, dolore, frustrazione. Lei mi guardò come se fossi impazzita, stringendo al suo petto il cuscino di mio padre. Io lottavo contro me stessa per non piangere, ma quando mia madre abbassò lo sguardo e si accasciò a terra singhiozzando, non riuscii più a trattenermi. Lei neanche se ne accorse.
Restai in piedi per qualche minuto a piangere con mia madre, poi asciugai le mie guance e parlai: "Mamma smettila di piangere", sussurrai.
I suoi singhiozzi aumentarono e con voce rotta biascicò delle parole: "Sono una madre orribile". Quella frase mi sorprese. Mi inginocchiai subito al suo fianco, bagnandomi i pantaloni e la abbracciai. Il cuscino era tra di noi e anche la maglia mi si inzuppò. Lei avvolse le sue braccia attorno al mio corpo aggrappandosi a me.
"Non dire queste cose mamma", sussurrai tentando di consolarla.
"Lo sai che non c'è madre migliore di te, al mondo", mi sentii in colpa per averle fatto pensare quelle cose.
"Ti sto solo chiedendo di non chiuderti in camera tutto il giorno a piangere, ma di reagire. Di essere forte per Andrea, di fargli vedere che possiamo farcela, che possiamo andare avanti noi tre insieme", cercavo di farle capire di cosa aveva bisogno Andrea, di cosa avevo bisogno io.
Lei mi guardò con gli occhi pieni di lacrime: "Come fai ad essere così forte?", mi chiese.
Non sapevo assolutamente come rispondere a quella domanda. Io non ero forte, facevo solo finta.
"Perché so che papà vorrebbe che fossimo felici", dissi. Era una frase scontata, ma non sapevo cos'altro inventarmi.
"Già", rispose lei semplicemente.
"Non so se ci riuscirò", continuò dopo qualche minuti di silenzio. "Era lui la mia forza", singhiozzò affondando la faccia nel cuscino bagnato.
La abbracciai di nuovo: "Lo so, ma dobbiamo imparare a farcela da sole. Possiamo farlo, mamma".
Non funzionò, in fondo neanche io ero pienamente convinta delle mie parole.
"Vorrei restare da sola", disse lei staccandosi da me. Si alzò piano e tornò in camera chiudendosi la porta alle spalle, chiudendomi fuori.
Tornai in camera mia e mi buttai sul letto. Mi sentivo così frustrata. Il primo pensiero che mi venne in mente era rivolto a mio padre. Parlavo con lui di ciò che mi preoccupava e mi resi conto che forse avrei potuto scriverglielo in una lettera.
Mi alzai e andai verso la scrivania prendendo carta e penna.
"Caro papà,
la prima cosa che voglio dirti è che mi manchi. Mi è venuto in mente di scriverti questa lettera perché avevo bisogno di raccontarti quello che sta succedendo qui.
Non so come fare papà. Mamma sembra impazzita. Non esce da quella camera da ieri sera, sembra quasi in trance, sembra un'altra donna ed io non so come fare per riportarla da me, da noi. Dice che tu eri la sua forza e adesso che non ci sei più non sa dove trovarla. Possibile che io e Andrea non siamo due motivi validi per cercare in tutti i modi di reagire?
Io lo so cosa sta facendo: si sta isolando da tutto e da tutti per vivere con te nei suoi ricordi. È ciò che vorrei fare anche io, ma so che non posso. Se mi lasciassi andare, come lei, cosa ne sarebbe di Andrea?
Sai, anche a lui manchi molto. Cerca sempre di parlare di te, è come se non volesse lasciarti andare e ti tiene stretto a lui attraverso i miei racconti.
Sono distrutta papà. Sono una roccia di cartapesta, una roccia finta.
Vorrei che fossi qui per aiutarmi a risolvere la situazione, come hai sempre fatto.

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