6.Ricordi

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Uscii di casa ritrovandomi per strada con la mente annebbiata dalla paura. Mi giravo a destra e a sinistra non riconoscendo le strade su cui ero cresciuta e che fino a pochi minuti prima sentivo facevano parte di me.
Non sapevo cosa fare.
Sentii il mio cellulare vibrare e guardai lo schermo: avevo una chiamata persa da uno strano numero. Mi venne in mente Zayn e capii che quello era il suo cellulare.
Avrei voluto chiamarlo, ma lui non avrebbe potuto aiutarmi, non poteva farsi vedere in giro. Lo avrei soltanto fatto preoccupare inutilmente.
Aprii la rubrica e chiamai il primo nome che trovai familiare e confortante.
"Gioia?", quella voce abbatté il mio muro di forza e coraggio.
"Non trovo più mia madre!", sentivo la mia voce impanicata.
"Gioia calmati! Cosa è successo?".
"Non so cosa fare! Dove cercarla", le lacrime mi salirono agli occhi. Sentivo di aver fallito come figlia, sapevo perfettamente che mia madre era un'adulta, ma in quel periodo avrei dovuto tenerla d'occhio, starle vicino, invece l'unica cosa che avevo fatto era attaccarla e essere arrabbiata, scaricando le mie frustrazioni su di lei.
Avevo sbagliato tutto e non sapevo come rimediare.
"Dove sei?", chiese la voce dall'altra parte del telefono.
"Perché mi chiedi dove sono io, invece di pensare a dove si trova lei? Sono sotto casa mia!", attaccai arrabbiata. Sentivo il cuore rimbombare nelle mie orecchie.
I pensieri peggiori affollarono la mia mente. La immaginavo chissà dove e soprattutto, nella mia testa paralizzata dalla paura, la vedevo morta.
Cercai di allontanare quei pensieri il più possibile, ma più ci provavo e più erano vividi. Le lacrime bagnarono il mio viso e, inevitabilmente, pensai a mio padre.
Si sarebbe sicuramente vergognato del mio comportamento verso la mamma in questi giorni. Io non ero come lui. Lui non avrebbe mai lasciato che la mamma si cacciasse in questo guaio. Lui le sarebbe stato vicino cercando di aiutarla, come faceva sempre.
Mi piaceva pensare che ero come lui, ma in realtà ero soltanto una stronza egoista.
Mi accasciai a terra e piansi. In un momento in cui mia madre aveva bisogno di me, io ero a terra a piangere, incapace di reagire. Mi sentii ancora peggio; mi sentii in colpa per non avere la forza di alzarmi e andare a cercarla.
Dopo circa cinque minuti sentii due braccia avvolgermi.
"Ehi", una voce dolce sussurrò al mio orecchio. Alzai lo sguardo e finalmente vidi due occhi azzurri che in quel momento erano la mia unica speranza.
Dan era lì, con me e questo mi fece sentire più forte.
"Calmati, Gioia. Ti prometto che adesso la troviamo", la sua voce era salda, sicura, forte.
Mi asciugai il viso e parlai: "È stata tutta colpa mia", iniziai a singhiozzare di nuovo.
"No, non è stata colpa tua e lo sai bene", disse accarezzandomi il viso.
"Sì invece! Io avrei dovuto starle vicino, invece sono stata orribile con lei!", urlai tra le lacrime.
"Non è colpa tua se è uscita di casa senza avvertire. Non ti preoccupare, starà bene. Adesso però andiamo a cercarla".
Mi prese sotto braccio e mi spinse verso l'alto per aiutarmi a stare in piedi.
Appena mi alzai sentii una nuova energia impossessarsi di me: non potevo essere debole. Non ora.
Mi asciugai il viso e con decisione scacciai tutti i pensieri negativi per concentrarmi su dove potesse essere andata.
"Da dove iniziamo?", chiesi a Dan, come se lui conoscesse mia madre meglio di me.
"Non saprei", era pensieroso.
"Potremmo iniziare a vedere qui intorno? Magari è uscita da poco", disse lui.
Io feci un cenno con la testa e iniziammo a camminare per quelle stradine vuote.
Girammo per circa mezz'ora, ci infilammo in tutte le viuzze tra le case vecchie e abbandonate e in tutti i vicoli ciechi presenti, ma non la trovammo.
Provai a chiamarla ad alta voce, ma niente.
"Potremmo andare a vedere al cimitero?", propose Dan, vedendomi preoccupata.
Certo! Ma che stupida ero stata. Si trovava sicuramente lì.
"Andiamo!", dissi con tono deciso.
Lui mi prese per mano e, insieme, ci dirigemmo verso il cimitero.
Si trovava un po' fuori il paesino e per arrivarci a piedi ci voleva circa un quarto d'ora, ma una volta arrivati davanti al bar sentii la voce di Dan: "Vieni, prendiamo la mia auto".
Avremmo fatto sicuramente prima, così non obiettai.
Entrai nella sua auto e un profumo familiare mi invase, facendomi sentire ancora più al sicuro.
Mise in moto e partimmo.
"Mi spieghi perché sei così in ansia che sia uscita di casa?", chiese Dan.
In quel momento realizzai che lui non sapeva niente del comportamento di mia madre, così glielo spiegai, come avevo fatto con la nonna quella stessa mattina. A pensarci in quel momento mi sembrava passata un'eternità.
Lui ascoltò in silenzio e quando finii disse semplicemente: "Sta tranquilla, la troveremo e con il tempo starà meglio anche lei". Sapeva che ciò di cui avevo più bisogno in quel momento erano quelle parole di conforto, parole a cui mi aggrappai con tutta me stessa per non tornare a sprofondare nella negatività.
Continuavo a ripetermi nella testa che l'avremmo trovata, che stava bene e che avrei potuto rimediare al mio comportamento di quei giorni.
Quando arrivammo davanti il cancello del cimitero, Dan non parcheggiò. Lasciò l'auto lì davanti, come se non gli importasse di beccarsi una multa.
Entrammo nel cimitero e ci dirigemmo verso la lapide di mio padre. La vedevo già da lontano, ma davanti ad essa non c'era nessuna sagoma. Speravo che mia madre fosse rannicchiata dietro la pietra di marmo, ma quando arrivai lì era vuota. Era pieno di fiori e letterine di bambini tutt'intorno la tomba, ma di mia madre nessuna traccia.
Guardai Dan come se lui conoscesse le risposte a tutti i pensieri e i dubbi che mi attraversarono la mente in quel momento.
Sembrava preoccupato e questo non mi aiutò.
Stava crescendo dentro di me, di nuovo quell'orribile sensazione di panico.
Feci dei respiri profondi e provai a ragionare.
Mia mamma in quel periodo si era isolata nei momenti che aveva avuto con papà. Il cimitero non era un luogo dove lei avrebbe potuto essere felice con lui nei suoi ricordi e mi sentii stupida per non averci pensato subito.
"Vieni, credo di sapere dove si trovi", questa volta fui io a prenderlo per mano e lo trascinai fuori dal cimitero.
Salimmo in macchina e quando mise in moto dissi: "Andiamo da Giorgio".
Giorgio era l'hotel, ristorante che si trovava sul lago. Non aveva un significato particolare per mia madre, ma dovevo far capire a Dan la zona in cui dovevamo andare.
Guardavo fuori dal finestrino mentre nella mia mente si materializzavano immagini in cui avrei potuto trovarla. Mi sforzavo di vederla seduta con tranquillità al lago, ma poi quell'immagine si trasformava sempre in un corpo disteso a terra, o in un corpo galleggiante in acqua. Magari erano pensieri irrazionali, pensieri che non avrei associato a mia madre Sara, ma la donna che avevo conosciuto dopo il funerale di mio padre poteva fare di tutto. Non la conoscevo e sapevo che l'unica cosa che voleva era stare con suo marito. Iniziai a fare nervosamente su e giù con la gamba. Volevo arrivare il prima possibile.
Ad un tratto sentii un tocco leggero sul ginocchio che muovevo freneticamente e mi voltai verso Dan. Aveva gli occhi fissi sulla strada.
Osservai il suo profilo e istintivamente sorrisi. Sentii le lacrime salire agli occhi, ancora una volta.
Mi faceva sentire così al sicuro, era così dolce e buono con me che avrei voluto dargli tutto ciò di cui aveva bisogno, ma non potevo.
Una lacrima scivolò silenziosa sulla mia guancia e lui se ne accorse. Mi guardò per un secondo, prima di riportare gli occhi sulla strada. Tolse la mano dalla mia gamba, che ormai era ferma, e la portò al mio viso per catturare la lacrima con il suo pollice.
"Stai tranquilla, Gioia. Dovessimo anche cercare tutta la notte la troveremo e starà bene", continuava a ripetere le stesse cose, ma mi aiutava. Forse non meritavo il suo aiuto dopo le cose che gli avevo detto il giorno in cui lo lasciai. Ero stata così cattiva, presa dalla rabbia e lui mi guardò come se fossi impazzita.
Lo ferii davvero quel giorno, ma era l'unico modo per fargli capire che non potevamo stare insieme.
Quando arrivammo tornai al presente.
Scesi dalla macchina, seguita da Dan, e mi diressi verso la riva del lago, più precisamente verso un masso di pietra che si trovava nascosto dietro una piccola rimessa per le barche. Mia madre in quel luogo aveva tanti ricordi di mio padre ed io lo sapevo bene: quando ero piccola andavamo sempre a fare dei picnic lì, la domenica, e la mamma mi raccontava sempre di come lei e papà si erano conosciuti grazie a quel masso.
"Un giorno decisi di andare a leggere nel mio posto preferito", iniziava sempre il suo racconto così e ogni volta usava sempre le stesse parole, eppure io la ascoltavo, rapita da quella storia.
Appena superai la rimessa per le barche la trovai lì, con la schiena poggiata al masso, mentre si abbracciava le ginocchia e fissava il lago.
Dan era dietro di me, ma quando la vide si fermò. Mi voltai a guardarlo e lui chiese: "Vi aspetto in macchina o tornate a piedi?".
"Non preoccuparti Dan, torna a casa", dissi. Non sapevo quanto tempo ci avremmo messo.
"Va bene", si girò per andarsene, ma lo bloccai afferrandogli la spalla.
Lui si voltò a guardarmi ed io lo abbracciai forte. Lo sentii sorridere sulla mia testa e mi avvolse con le sue braccia.
"Non so cos'avrei fatto senza di te. Grazie", sussurrai contro il suo petto.
"Lo sai, ci sarò sempre per te", sciolse l'abbraccio e mi accarezzò la guancia, poi se ne andò.
Mi voltai nuovamente verso mia madre e appena poggiai gli occhi sul suo volto fui invasa da una sensazione di sollievo.
Mentre mi avvicinavo a lei, però, sentivo crescere la rabbia dentro di me e quando la raggiunsi non riuscii a trattenermi: "Sei impazzita? Sparire così senza avvertire? Cosa cazzo ti è saltato in mente?", mi rendevo conto che non stavo facendo altro che continuare ad attaccarla, quando invece sapevo che l'unica cosa che avrei dovuto fare era starle vicino. Il mio essere arrabbiata con lei mi faceva solo essere ancora più arrabbiata con me stessa. Avrei voluto essere all'altezza della situazione, invece ero lì, incapace di reprimere la mia collera e di aiutarla.
Mia madre mi ignorò e in quel momento avrei voluto urlare ancora più forte per attirare la sua attenzione, ma decisi di provare a calmarmi.
Feci dei respiri profondi e mi sedetti vicino a lei.
Non sapevo cosa dire, ero ancora innervosita dal suo comportamento, così presi ad osservare il lago.
Pensai a mio padre e improvvisamente mi calmai. Pensai a come lui avrebbe reagito in quel momento: avrebbe abbracciato mia madre sussurrandole le sue solite, efficaci, parole di conforto e le avrebbe fatto sentire la sua presenza promettendo che non l'avrebbe mai lasciata.
Avrebbe mantenuto quella promessa per sempre, se solo avesse potuto, e lo sapevo bene.
"Mamma lo so come ti senti", dissi per iniziare un discorso.
Fu solo allora che lei si girò verso di me e parlò: "Un giorno decisi di andare a leggere nel mio posto preferito", iniziò.
Non volevo sentire quella storia. Non ero sicura di farcela, eppure dovevo ascoltarla. Dovevo farlo per lei, così strinsi i denti e le feci un leggero cenno con la testa come per incoraggiarla a continuare.
Lei fece un lieve sorriso e parlò: "Presi il libro che ci fu assegnato dalla professoressa di italiano per le vacanze estive, I Malavoglia, ed uscii di casa dirigendomi verso questo masso. Mi piaceva sedermi qui e leggere. Ogni tanto mi fermavo per osservare il lago e sentivo una sensazione di serenità dentro di me", la sua voce tremava, ma i suoi occhi brillavano.
"Quando arrivai quel giorno il mio masso era occupato da un ragazzo. Vivevo a San Feliciano da quando ero nata, in diciassette anni non lo avevo mai visto e non mi sembrava giusto che lui prendesse il mio posto preferito. Mi avvicinai e con tono duro gli dissi: -Sei seduto al mio posto-, ero stata acida con lui, ma quando si voltò per guardarmi i suoi occhi azzurri mi trafissero e mi sciolsi completamente. Abbassai lo sguardo imbarazzata e pentita di come lo avevo trattato, ma lui rise ed io mi arrabbiai di nuovo. Ero incredula e così gli dissi: -Stai ridendo di me?-. Lui fece un cenno con la testa e io tutta infastidita dissi: -Beh, ridi quanto vuoi ma vattene-".
Mentre raccontava la sua storia, sorrideva guardando il lago. Ogni volta che mi raccontava quella scena, quando ero piccola, mi rotolavo dalle risate. Pensavo a quanto doveva essere buffa mia mamma.
In quel momento però non riuscivo a ridere. Immaginavo un giovane e forte studente universitario che rideva spensierato, quello studente che poi sarebbe diventato mio padre e che se ne sarebbe troppo presto.
"Lui rise più forte e mi disse con la sua voce calda: -Io non vado da nessuna parte, sono arrivato per primo, il posto è mio-".
Mia madre si fermò. Arrivati a questo punto della storia interveniva sempre mio padre, dicendo che era vero e che non era giusto che dovesse andarsene. In quel momento però fummo avvolte dal silenzio. Nessuna voce familiare parlò.
Mia madre continuò: "Non era giusto, così mi sedetti vicino a lui e iniziai a leggere il mio libro senza però capire neanche una frase. Ero troppo presa ad osservare di sottecchi ciò che era scritto sui quaderni di quel ragazzo, ma non riuscivo a decifrare la sua scrittura. Alla fine decisi di andarmene, ma per tutta la notte non feci altro che pensare a quegl'occhi. Il giorno dopo lui non c'era e ci rimasi davvero male, ma dopo qualche ora arrivò. Quando mi vide mi sorrise, mi salutò e mi disse: -Ok, sei arrivata prima tu questa volta-. Stava per andarsene ma io non volevo e la mia voce uscì da sola. Gli dissi: -Se vuoi possiamo dividerlo-. Lui si voltò e mi sorrise. In quel momento, in quel preciso momento, ho capito che mi sarei innamorata di lui, o forse un po' già lo ero. Si avvicinò e si presentò: Alessandro. Quel nome non era mai stato così bello", questa volta vidi le sue guance rigarsi.
Poi iniziò a singhiozzare e le sue parole erano un tormento per le mie orecchie: "Da quel giorno ci incontrammo tutti i pomeriggi lì. Erano come degli appuntamenti a cui nessuno dei due poteva mancare. Parlavamo, ridevamo, scherzavamo e, inevitabilmente, ci innamorammo", sentivo la sua voce spezzarsi ad ogni parola. "È qui che mi diede il primo bacio".
Soffocò i singhiozzi nascondendo il viso tra le sue braccia che ancora avvolgevano le ginocchia. Non sapevo cosa dire e in quel momento il mio cellulare vibrò.
Lo presi dalla tasca e vidi il numero di mia nonna sul display.
"Nonna scusami!". Con la sparizione di mia madre mi ero dimentica sia di lei che di Andrea. Ero un disastro.
"Gioia stai bene?! Siamo passati a casa vostra, ma non c'è nessuno! Dove siete? State bene?", la sua voce era preoccupata e mi sentii in colpa.
"Sì, stiamo bene. Non preoccuparti. Passo a prendere Andrea tra poco, poi ti spiego", mia madre continuava a singhiozzare vicino a me.
"C'è tua madre lì?", chiese. Io risposi semplicemente di si e lei mi disse che mi avrebbero aspettata a casa sua. Poi attaccammo.
Guardai mia madre e, di nuovo, mi sentii in colpa per tutto ciò che le avevo detto.
"Mamma, per favore ascoltami". Lei pianse ancora per un po', alla fine alzò gli occhi su di me.
"Io so che tu amavi e ami papà, anche io e Andrea lo amiamo, ma dobbiamo andare avanti". Questa volta ero più sicura delle mie parole.
"Ma come?", mi chiese lei con gli occhi di una bambina sperduta.
"Insieme", le presi la mano e lei spostò lo sguardo sulle nostre dita.
"Non voglio lasciarlo andare", disse.
"Non devi lasciarlo andare, mamma. Non ti sto chiedendo di lasciare indietro lui, solo di andare avanti, portandolo con noi", non so come mi uscirono quelle parole, ma le sentivo così vere che mi vennero naturali.
Lei mi guardò come se non capisse, così mi spiegai meglio: "Io e Andrea parliamo sempre di lui; quando sentiamo che ci manca molto lo riportiamo qui da noi, parlandone, come hai appena fatto tu. Alcune volte si ride, altre si piange, ma alla fine lui è qui", dissi.
Lei fece un cenno con la testa, ma non parlò.
"Noi siamo i vostri figli, a noi puoi raccontare tutto quello che vuoi di papà. Magari senza entrare nel dettaglio del giorno in cui siamo stati concepiti", provai a scherzare e finalmente lei fece una piccola risatina.
"Allora le storie più interessanti non posso raccontarvele", scherzò con me.
Non so descrivere la sensazione che provai in quel momento. Sara era lì, con me. Mia madre, la donna con cui potevo parlare e scherzare, era lì.
Quella sensazione durò un attimo, perché vidi il suo viso rabbuiarsi.
"Mamma?", richiamai la sua attenzione e lei mi guardò.
"Ti voglio bene", sussurrai. Lei sorrise e mi abbracciò.
Mi tenne stretta per qualche minuto, poi parlò. "Anche io ti voglio bene, tesoro".
Dopo un po' ci alzammo: "Andrea è dalla nonna, sarebbe felicissimo di vederti con me", provai a farmi accompagnare.
Lei ci pensò su: "Non lo so", disse.
"Se non te la senti fa niente", mi sforzai ad essere comprensiva.
"Non è per Andrea", sembrava imbarazzata.
"Allora cosa c'è?", usai un tono dolce.
"Non so se riuscirò a vedere quella casa, a vedere Teresa".
Teresa era mia nonna.
"Allora non preoccuparti, ti accompagno a casa e poi lo vado a prendere".
"Non c'è bisogno che mi accompagni, non sono una bambina", disse un po' offesa.
"Certo che non sei una bambina, è che volevo fare il giro lungo per passare da Dan e ringraziarlo. Sai mi ha aiutata a cercarti", inventai su due piedi.
"Ah, allora va bene".
Sulla via di ritorno parlammo un po' di papà e quando arrivammo a casa salutai mia madre.
Mentre andavo dalla nonna mi invase una sensazione di inquietudine. Ero in pensiero, temevo che sarebbe uscita di nuovo. Magari rientrando in casa avrebbe visto una foto di papà e sarebbe stata di nuovo male.
'Ma perché devi sempre pensare queste cose del cazzo?', pensai arrabbiandomi con me stessa.
Passai davanti al bar di Dan, ma era chiuso e la sua macchina non c'era.
Immaginai fosse andato a Perugia, da Eleonora. In fondo era giusto così.
Pensai a loro fin quando raggiunsi casa di mia nonna. Appena arrivai mi abbracciò forte e poi mi fece entrare. Le raccontai velocemente cos'era successo e infine la salutai, non vedevo l'ora di tornare a casa, con tutto quello che era successo si erano fatte le sette e mezza e Andrea aveva fame.
Arrivati a casa mia madre era in camera sua, di nuovo.
Bussai piano alla sua porta e questa volta rispose: "Avanti", disse.
La trovai in piedi davanti la finestra. Guardava di fuori e quando entrai si voltò e mi sorrise.
Aveva ancora un comportamento strano, ma almeno non mi respingeva come aveva fatto nei giorni precedenti.
"Sto preparando la cena, ti va di aiutarmi?", chiesi.
"Scusa, ma non ho fame. Se vedo il cibo mi viene il voltastomaco", rispose.
"Va bene. Se dopo ti va di stare con noi saremo in sala a vedere Spongebob", le sorrisi. Mi stavo sforzando di capirla, ci stavo provando.
"Grazie tesoro". Si voltò di nuovo verso la finestra e io me ne andai.
Preparai petto di pollo e patate al forno e dopo cena ci buttammo sul divano a vedere il film d'animazione di Spongebob. Adoravo quel cartone, fin da quando avevo dieci anni. Avevo persino la cover per il cellulare di quella buffa, adorabile spugna gialla.
Mentre vedevo il film il mio cellulare vibrò e trovai una notifica su Whatsapp.
0044 7931 8769564: "Ehi, ti sei già stufata di me?", riconobbi subito il numero. Zayn.
Mi ero dimenticata di lui. Salvai il contatto ma nel momento in cui stavo per scrivere il suo nome mi bloccai. Non potevo rischiare che Chiara lo vedesse quindi, ormai che avevo scritto la lettera "Z", mi venne un soprannome in mente: Zorro.
Risi tra me e me, e lo salvai così.
Poi risposi al suo messaggio.
Io: "Scusami, è stata una giornataccia", fui sincera.
Zorro: "Cosa è successo? È tutto ok adesso?".
Gli raccontai un po' gli eventi del pomeriggio, ero indecisa sul fatto di parlargli di Dan o meno, ma alla fine decisi che non c'era niente di male. Gli parlai di un amico che mi aveva aiutata.
Messaggiammo un po' fin quando non ci demmo la buonanotte.
Mi piaceva parlare con lui. Non era assolutamente come lo avevo immaginato. Pensavo fosse tipo: "Ehi io sono Zayn Malik, non mi avrai mai perché sono superiore a tutti gli esseri umani della terra".
Chissà come mi era venuta in mente quell'idea. Non che mi stesse antipatico, solo non credevo avrebbe mai prestato attenzione a qualcuno come me.
Quando il film finì Andrea si era già addormentato, così lo presi in braccio e lo portai nella sua cameretta.
Appena lo poggiai sul letto sentii che diceva qualcosa, stava parlando nel sonno: "Sì papà... Gioia". Poi sorrise e di riflesso lo feci anche io.
Chissà cosa stava sognando. Quanto avrei voluto poterlo vedere.
Andai in camera mia e appena mi buttai sul letto mi sentii schiacciata dalla stanchezza di quella giornata che arrivò tutta insieme.
Sentivo la mente così affollata di pensieri, che decisi di liberarmi scrivendoli su un foglio bianco.
"Caro papà,
oggi è stata una giornata assurda. Non so neanche da dove cominciare. Ho così tante cose tutte insieme nella testa che mi sembra di scoppiare.
Oggi ho visto la nonna. Le manchi tantissimo, ma è una donna forte ed ha saputo aiutarmi, consigliandomi su come comportarmi con la mamma. Volevo aspettare ancora un po' prima di parlare della sua situazione, ma questa mattina è stata così fredda con me e con Andrea che non l'ho riconosciuta, mi sembrava di avere davanti un'estranea. Poi questo pomeriggio è uscita senza dire niente e mi sono spaventata da morire.
Credevo avesse fatto qualche pazzia. Mi sono sentita così in colpa.
Penso di aver fallito come figlia. In fondo credo che in questo periodo debba prendermi cura di lei, come avete fatto voi quando io non ero in grado di prendermi cura di me stessa. Certo, voi eravate i miei genitori ed io ero piccola, ma non credo cambi molto. Lei non è in grado di badare a se stessa in questo momento e io non ho fatto altro che renderle le cose più difficili.
È meglio che tu non sia qui a vedere il mio atteggiamento, ti saresti vergognato di me"
, ero davvero convinta delle mie parole.
Sentii le lacrime salire agli occhi.
"Se fossi qui mi diresti che non è così, ma saresti deluso dal mio comportamento.
Ho chiamato Dan per aiutarmi a cercarla. Lo so cosa pensi e so anche di aver sbagliato a chiamarlo. Lui è corso subito da me, anche se non lo meritavo. Ricordo le tue parole quando ti dissi che ci eravamo lasciati. Ricordo tutto papà, ma in quel momento avevo bisogno di lui e anche se sapevo che sarebbe stato meglio di no, appena ho visto il suo nome in rubrica, l'ho chiamato.
Adesso lui sta con una ragazza di Perugia che si chiama Eleonora, forse per questo ho sbagliato ancora di più a chiamarlo.
Comunque se non fosse arrivato lui, probabilmente sarei restata sotto casa a piangere finché non sarebbero arrivati la nonna e Andrea, quindi credo di aver fatto la scelta giusta. Egoistica, ma giusta.
L'abbiamo cercata qui nei dintorni e poi al cimitero, ma quando non l'ho vista neanche lì ho capito dove si era cacciata. Era andata dal vostro masso. Mi ha raccontato di nuovo la storia di come vi siete conosciuti.
Ti immaginavo seduto lì, proprio dove mi trovavo io, con il sole che ti illuminava il volto e gli occhi che brillavano pieni di vita. Avrei voluto poterti vedere in quei giorni, quando eri appena arrivato a San Feliciano e hai iniziato a studiare medicina, quando eri ancora un ragazzo spensierato, libero dalle responsabilità che ti dà una famiglia.
Dopo che abbiamo parlato io e la mamma siamo tornate a casa e sembra un po' migliorata. Non mangia, come prima, ma almeno adesso mi risponde quando le pongo una domanda. So che devo darle tempo e mi sto davvero impegnando. Spero davvero di riuscire ad aiutarla.
Oggi ho visto anche Zayn. Ci siamo incontrati al salice e siamo stati insieme per circa un'oretta e mezza. Abbiamo chiacchierato e ci siamo conosciuti meglio. È un ragazzo diverso da come lo avevo immaginato: pensavo fosse uno di quei ragazzi famosi che se la tirano solo perché ricchi (tipo Justin Bieber), invece abbiamo parlato come se fossimo già amici e mi ha raccontato quanto la vita che agli occhi di tutti sembra perfetta, in realtà è una vita con i problemi come quelli degli altri.
Non so se riuscirei mai a sopportare tutta la pressione mediatica che hanno loro (intendo tutti i personaggi famosi). Ovunque vanno, sono sempre seguiti, spiati, minacciati, giudicati. Non deve essere facile, anche se mi piacerebbe avere tutti quei soldi per girarmi il mondo, ma questo già lo sai.
Mi manca romperti le scatole per comprarmi un biglietto aereo. Ti ricordi quella volta che volevo andare a tutti i costi a Barcellona? Non te l'ho mai detto, ma scusa. Mi rendo conto di essere stata davvero insopportabile!",
risi ripensando a quella volta.
Avevo sedici anni e siccome le classi quinte della mia scuola andavano in gita a Barcellona ero entrata in fissa che volevo andarci anche io, così, già da Gennaio, iniziai a chiedere a mio padre di comprarmi il biglietto aereo. Lui continuava a ripetermi che ero troppo piccola per andare da sola a Barcellona, e aveva perfettamente ragione, ma io lo assillavo da mattina a sera.
Un giorno gli feci trovare il tavolo della cucina pieno di bigliettini con scritto Barcellona e lui si arrabbiò tantissimo perché gli avevo terminato tutti i post-it, sprecando tutta quella carta inutilmente. Era molto legato alle questioni ambientali e anche io lo sono, adesso.
Mi disse che dopo tutta la carta che avevo consumato non aveva intenzione di utilizzarne altra per farmi due biglietti aerei. Io ci rimasi malissimo e gli urlai che lo odiavo.
Non gli parlai per giorni. Poi non ce la feci più.
Dopo tre mesi mi regalò i biglietti per il mio compleanno, il 29 Agosto e partimmo tutti insieme per una vacanza di famiglia in giro per Barcellona.
"E non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi accontentata anche in quell'occasione.
Piansi tanto quando litigammo. Non sono mai riuscita ad essere arrabbiata con te troppo a lungo.
Mi manchi, ma questa non è una novità. Mi sembra stupido anche solo dirlo, eppure lo urlerei al mondo intero.
Mi manchi. Vorrei scriverlo infinite volte!
TI voglio un mondo di bene.
Tua, Gioia".
Ripiegai il foglio e lo misi in una cartella insieme alla lettera che avevo scritto la sera prima. Decisi di datare entrambi i fogli, così aggiunsi il giorno, il mese e l'anno; infine chiusi tutto dentro il cassetto della mia scrivania.
Mi infilai il pigiama e mi buttai sul letto. Mandai la buonanotte a Chiara e misi il cellulare sottocarica. Poi chiusi gli occhi e, in pochi minuti, mi addormentai.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 17, 2015 ⏰

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