Deve esserci qualcosa di strano in me, qualcosa come un gene particolare che attira la sfiga o uno spirito maligno che mi perseguita.
Era questa la conclusione a cui Nico era giunto dopo l'entusiasmante giornata appena trascorsa e, più ci pensava, più si convinceva che la sua diagnosi fosse esatta. Era impossibile un'altra motivazione che giustificasse tutto l'accaduto.
Per l'ennesima volta ripercorse mentalmente ogni singola azione che aveva compiuto quel giorno, alla ricerca dei suoi sbagli: si era svegliato in ritardo a causa delle batterie della sveglia che, proprio quel bel dì di ottobre, avevano deciso di scaricarsi, facendolo arrivare a scuola con ben mezz'ora di ritardo. Una volta giunto in classe, aveva scoperto che il suo migliore – e unico... se non si contava Leo Valdez che, negli ultimi tempi, aveva sviluppato una sindrome da crocerossina nei suoi confronti – amico Jason era rimasto a casa, e quindi si era seduto da solo all'ultimo banco.
Nico si fermò un attimo: ecco, quello era stato il primo errore della sua giornata. Il Grande Manuale di Sopravvivenza della Greek High School (datato 2010, Di Angelo editore) era chiaro su questo punto: se non vuoi essere preso di mira, mai stare da solo.
Dopo essersi annotato questa grave mancanza da parte sua, ricominciò ad analizzare la sua giornata: si era seduto all'ultimo banco e, tirando fuori dalla cartella tutti i libri, aveva fatto per sbaglio cadere il foglio con la versione di greco per terra; questa, come se ci fosse stata chissà quale corrente d'aria in classe, era volata via, lontano dalla sua portata, e si era fermata sotto il banco di Will Solace. Quello, classificato dal G.M.S.G.H.S. (Nico si prese un altro appunto mentale: cercare una sigla più semplice per il suo Manuale) come "rinomato burlone dal sorriso facile" e con accanto ben quattro stelle su cinque in fastidiosità, aveva pensato bene di ripassarglielo non chiedendo gentilmente alle tre persone che li separavano di riconsegnarglielo, ma piuttosto piegando i suoi poveri compiti fino a trasformarli in un aeroplanino di carta – con tanto di alettoni aerodinamici – che poi, molto intelligentemente, aveva lanciato nella sua direzione.
Il mezzo scelto da quel genio di Solace era quindi atterrato sul suo banco, ma non senza danni visto che aveva colpito la testa di Clarisse prima di giungere a destinazione. E Clarisse era la più terribile, insopportabile e sadica bulla della scuola, con dieci stelline su cinque nella valutazione del G.M.S... sì, insomma, nel Manuale. E ovviamente non se l'era presa con Will, perché Will è Mister Sorriso Tutto il Giorno ed aveva molti amici, molti dei quali più grandi di lui, ma con Nico, perché Nico era... beh, Nico.
Quindi Clarisse si era voltata verso di lui, l'aveva guardato con rabbia e si era passata la mano lungo la gola; il significato era palese: nell'intervallo morirai. Il problema era che, invece che deglutire e prepararsi mentalmente ad atroci dolori, Nico aveva ricambiato lo sguardo con uno dei suoi – quelli alla "prova a toccarmi e ti maledico con una bambola woo-doo" che gli riuscivano sempre benissimo –, e aveva ripreso a seguire la lezione.
Nico si fermò di nuovo: ecco il suo secondo errore. Non avrebbe dovuto rispondere alla provocazione di Clarisse, proprio no.
Nell'intervallo era rimasto in classe, nella speranza che almeno la presenza del professore fermasse Clarisse da spiaccicarlo per terra a suon di calci, ma, poco prima che suonasse la campanella, si era accorto di non avere niente da mangiare. Sarebbe riuscito a resistere se si fosse trattato dello spuntino mattutino, ma quel giorno sarebbe dovuto restare fino a tardi a scuola a causa di un corso di approfondimento di storia, quindi avrebbe dovuto saltare pranzo se non si fosse subito fiondato nel corridoio, visto che il banco dei panini se ne sarebbe andato appena concluso il primo intervallo.
Si era di conseguenza alzato cautamente dal banco ed era uscito, dirigendosi quasi correndo al banco dei panini. Aveva comprato un sandwich al tonno e maionese – l'ultimo rimasto – e, già con la nausea al pensiero di doversi cibare di quella poltiglia poco invitante, aveva incontrato Percy Jackson. Chi era Percy Jackson? Semplice: la cotta colossale di Nico, che in realtà si trattava più che altro in un amore platonico a senso unico, probabilmente una di quelle accoppiate di cui Afrodite non andava molto fiera, visto che erano le due persone più incompatibili dell'intero Universo. Senza contare che Percy era... beh, etero, e con tanto di bellissima e intelligentissima ragazza bionda come fidanzata.
Comunque, continuando l'analisi, Nico aveva incontrato gli occhi mozzafiato di Percy e, tanto per cambiare, era fuggito via. E cos'era successo, poi? Ovviamente aveva incontrato Clarisse e il suo branco.
Nico si segnò mentalmente un altro promemoria diretto a se stesso: se vuoi che Percy ti noti, forse è meglio che non scappi ogni volta che lo vedi. Ma forse, eh.
Comunque, Clarisse l'aveva visto e Nico si era sentito come un topo in trappola. Ma, topo in trappola o no, si era fermato e l'aveva affrontata a testa alta, con una delle sue occhiate spettrali che tanto gli venivano bene. Sapeva perché tutti quelli della scuola lo evitavano/lo ritenevano spaventoso/avevano paura di lui: la sua pelle era bianchissima, in netto contrasto con i grandi occhi neri come la pece e i capelli, sempre scarmigliati. Inoltre il suo colore preferito era il nero, ed era sempre quello che vestiva, ad eccezione del suo giubbotto d'aviatore (ma quello era un regalo di sua sorella Bianca, non contava) e della maglietta bianca... che però aveva un enorme teschio blu notte disegnato sopra.
Quindi si era fermato e aveva detto, come se fosse la cosa più normale del mondo: «Se vi avvicinate, mi metto a urlare».
Stop. Nico si fermò nuovamente e si rese conto che la sua battuta d'entrata era stata davvero pessima. Avrebbe potuto usare qualcosa di più terrificante, tipo "lasciate ogni speranza, o voi che v'avvicinate" (liberamente tratto dal cartello di benvenuto dell'Inferno di Dante) o di più "macho", come "siete sicuri di voler fare la conoscenza di Fulmine e Saetta? Ecco, questo è Fulmine, questo Saetta".
Stop parte seconda. No, forse sarebbe stato meglio darsela a gambe, non usare battute alla Leo Valdez.
Clarisse era scoppiata a ridere e, ovviamente, i suoi scagnozzi l'avevano seguita a ruota. Poi la ragazza aveva alzato una mano ed era calato il silenzio. Proprio quando, però, Clarisse si stava avvicinando con l'evidente intento di iniziare a riempirlo di botte (cosa che, di per sé, non l'avrebbe spaventato molto, visto che lui era un ragazzo e, bene o male, si sapeva difendere, ma si dava il caso che fosse accompagnata da mezza squadra di football... e loro non erano ragazze sadiche, ma enormi bruti che si eccitavano come squali all'odore del sangue), una mano l'aveva afferrato e l'aveva spinto dentro il bagno dei ragazzi. Nico si era girato di scatto e si era ritrovato Will Solace e le sue cinque dita piantate sulla sua spalla magra. Quindi si era divincolato e allontanato, aveva sibilato il consueto "Non mi toccare" che tutti puntualmente ignoravano e l'aveva guardato storto. Beh, forse "storto" era un po' un eufemismo... l'aveva più che altro guardato come si guarda una persona che ti ha appena lanciato un chewing gum nei capelli, come si guarda chi ha appena rivelato alla persona che ti piace che sei innamorato di lei, come si guarda chi ha attirato su di te le ire di Clarisse La Rue per colpa di uno stupido aeroplanino di carta. Inoltre Will non si era limitato a toccarlo – cosa che gli dava sempre parecchio fastidio – ma aveva avuto pure il coraggio di aggiungere: «In questi casi si dice grazie» e aveva sorriso.
«Perché dovrei? È colpa tua se Clarisse mi sta perseguitando, di te e del tuo stupido aeroplanino fatto con la mia versione di greco» aveva risposto Nico, ancora più inviperito.
«Ed è perché so che è colpa mia che ti sto aiutando» aveva detto quindi l'altro.
«Bene, non c'è bisogno di "grazie", allora: siamo pari».
Will aveva alzato le spalle, quindi aveva messo la testa bionda un poco fuori dalla porta per controllare la situazione, cosa che aveva attirato la cara Clarisse, che fino a pochi secondi prima stava facendo la ronda nel corridoio, proprio nel bagno. Will allora, ignorando le lamentele di Nico che aveva guardato schifato la mano che di nuovo gli aveva afferrato la spalla, l'aveva trascinato con lui in una delle cabine. Nico si era quindi ritrovato in uno spazio decisamente angusto, decisamente maleodorante e con un insopportabile Will Solace decisamente troppo vicino.
Ecco, Nico in quel momento si era ritrovato a pensare parecchie cose: la prima, quella che sovrastava tutte le altre, era una sorta di urlo interiore che ripeteva ossessivamente "Non toccarmi, non toccarmi, non devi toccarmi, Solace" – e non perché avesse la lebbra, sia chiaro, ma solamente perché... beh, a Nico dava davvero fastidio che lo toccassero, ne aveva quasi paura; la seconda cosa a cui aveva pensato era stata che Will aveva un odore che pareva quello del Sole (per quanto le persone potessero profumare come i raggi del Sole), mentre la terza era stata che i suoi occhi, sebbene non avessero quella capacità di attirare Nico anche se si fosse trovato a cento metri di distanza come quelli di Percy, avevano un colore accettabilmente bello.
Questo non aveva significato, però, che avrebbe ignorato il fatto che quel capellone biondo l'avesse trascinato dentro una delle cabine più sporche dell'intero bagno maschile, e nemmeno che avrebbe chiuso un occhio davanti a quelle mani lunghe e affusolate che si stavano allungando verso le sue spalle. Quindi, questa volta con il preciso intento di farsi sentire, aveva sibilato a denti stretti: «Non toccarmi, Solace».
L'altro quindi aveva fermato l'avanzare delle sue dita e gli aveva chiesto, curioso: «Che c'è di male se ti tocco le spalle?», ma l'altro si era rifiutato di rispondere.
Nel frattempo, Clarisse aveva fatto un cenno ai suoi footballer e li aveva spediti senza troppe cerimonie all'interno del bagno. Will quindi era salito sopra la tazza del water e, ignorando di nuovo la richiesta di Nico, l'aveva tirato su di peso. Gli scagnozzi di Clarisse quindi non li avevano trovati e la loro vita era stata risparmiata, almeno per il momento.
Purtroppo per Nico, però, la parte brutta della giornata non si era ancora conclusa: una volta tornato in classe insieme a Will, si era beccato una lavata di testa – con tanto di shampoo e balsamo – da parte del professore di letteratura e un'interrogazione a sorpresa. Normalmente avrebbe saputo tutte le risposte (era uno studente diligente, e la letteratura era una delle sue materie preferite), ma quella volta aveva fatto scena muta. Il motivo? Beh, il giorno prima non aveva letto il brano assegnatogli perché Leo l'aveva obbligato a uscire tutto il pomeriggio, dal momento che "non esistono adolescenti che amano la solitudine, esistono solo adolescenti troppo orgogliosi da ammettere che vorrebbero spassarsela come tutti gli altri". E, sebbene Nico non fosse totalmente d'accordo con la suddetta affermazione, le mani di Leo che si avvicinavano per afferrarlo e trascinarlo di forza fuori di casa l'avevano costretto a sospirare e a seguirlo in centro.
Nico non voleva ammetterlo, ma quel pomeriggio si era pure divertito, e anche molto ma, quando il professore l'aveva interrogato a sorpresa, si era pentito di ogni secondo trascorso nella sala giochi a smanettare con "La notte dei Morti Viventi – The game".
Comunque, alla fine, si era beccato un bel due in letteratura e un'ennesima sgridata colossale da parte di quello che si era trasformato nel suo aguzzino.
Ora invece si trovava a casa, chiuso a chiave nella sua stanza come al solito, con il cellulare fra le mani e l'aria stranita: c'erano tre messaggi da due conversazioni, e una di queste non era con Leo.
«Nico, scusami se oggi non sono venuto, ieri sono stato male! Che hai combinato senza di me?» e «Dai, rispondimi che mi annoio» da parte di Jason. Ma, questa volta, Nico non aveva per nulla voglia di rispondergli o, per lo meno, non era la sua prima preoccupazione, soprattutto perché l'altro messaggio recitava: «Ehi, Nico. Come va? :)» e il mittente era niente meno che Will Solace. Quel Will Solace che l'aveva ignorato per cinque anni, che poi un bel giorno gli aveva passato la versione di greco sotto forma di aeroplanino, che aveva attirato le ire di Clarisse e che, per salvare se stesso e Nico, si era chiuso insieme a lui in una cabina del bagno dei ragazzi e l'aveva costretto a salire sulla tazza del water.
Cos'altro accidenti vuole da me, questo qui?
«Bene».
«Senti, scusa per oggi (ancora :D). Non volevo che i tuoi compiti arrivassero in testa a La Rue, lo giuro».
«Scuse accettate. Ciao» aveva quindi scritto Nico, infastidito. Che poi, come aveva ottenuto il suo numero?
«Che fai oggi pomeriggio? ^_^»
Lo stava realmente invitando a uscire? E perché? No, non avrebbe accettato se mai gliel'avesse chiesto. E poi per quale motivo continuava a inserire emoticons in ogni singolo messaggio? E perché erano tutte dei sorrisi?
«Sono occupato, oggi pomeriggio».
«Anche io sono occupato! :) Ti va se lasciamo perdere i nostri impegni e andiamo a mangiare un gelato? C'è un sole che spacca le pietre ^_^».
«Perché dovrei?» aveva risposto l'altro, sempre più infastidito dai continui sorrisi di Will, anche se si trattavano di semplici faccine in degli stupidi messaggi.
«Perché è una bella giornata, e io mi sto annoiando qui da solo. Allora, vieni? :D»
«Non avevi detto che eri occupato?»
«E va bene, ho mentito. Su, un po' di sole non farà male alla tua pelle bianca! ;)»
Nico sospirò: in realtà anche lui si stava annoiando, e non poco. Però non aveva tutta questa voglia di uscire, soprattutto se si trattava di Will Solace. Per dire, se fosse stato Percy Jackson a scrivergli per chiedergli di uscire, non avrebbe nemmeno esitato.
«Va bene».
«Sì, evviva! Ti vengo a prendere sotto casa, a dopo! :D»
Come accidenti sa dove abito? Cos'è, uno stalker?
Nico scosse la testa, scacciando quel pensiero. Probabilmente aveva implorato Leo di dargli il suo numero, l'indirizzo e magari pure una cartina che gli spiegasse come arrivare a casa sua o qualcosa del genere: tutto considerato quei due andavano in classe insieme ed erano anime compatibili. Decisamente compatibili.
Nico iniziò lentamente a cercare qualcosa con cui vestirsi: non che volesse presentarsi alla porta in giacca e cravatta, ma la maglia che indossava in quel momento non era esattamente della sua taglia (era una L, e lui portava a malapena la S) e i suoi boxer neri, per quanto almeno fossero della sua misura, non erano proprio l'abbigliamento giusto per uscire con qualcuno. Quindi incominciò a rovistare nel suo armadio per trovare qualcosa di indossabile, quando qualcuno suonò al campanello.
Ci mise un attimo a rendersi conto che non c'era nessuno in casa e che quindi sarebbe dovuto scendere lui ad aprire. Quando era bambino lo faceva sempre sua sorella Bianca, ma poi lei era morta ed era toccato a sua madre, ma sua madre era andata qualche settimana alle terme con delle sue amiche per rilassarsi (e Nico non poteva di certo fargliene una colpa) e staccare un po' dal lavoro, quindi ora era solo. Guardò un attimo le ciabatte abbandonate a bordo letto, quindi scosse la testa e, fregandosene delle buone maniere, andò ad aprire a piedi scalzi.
Spalancò la porta e, nello stesso istante, spalancò la bocca: davanti a lui non c'era un venditore ambulante, il postino o un serial killer – e sarebbe stato meglio –, ma un ragazzo alto dai capelli biondo grano e gli occhi chiari e brillanti come il Sole d'estate. E il ragazzo sorrideva, e lo faceva in un modo inconfondibile: alla Will Solace.
Nico gli chiuse la porta in faccia.
«Nico, dai! Aprimi, cosa ti ho fatto?» urlò quello da fuori, bussando rumorosamente. Poi, non ricevendo risposta, aggiunse: «Ti prego, altrimenti non andremo mai più in gelateria, se fai queste scene».
«Non sto facendo scene... semplicemente non sono ancora pronto, se non te ne fossi accorto! E poi che ci fai già qui?» urlò l'altro, di rimando.
Una risata si fece sentire, anche da dietro la porta: «Come non accorgersi dei tuoi boxer e della scritta "Senza t-shirt sono ancora meglio" stampata sulla tua maglietta? E poi, semplicemente abito a due minuti a piedi da qui».
Nico arrossì fino alla radice dei capelli: non era colpa sua se Leo aveva una strana concezione di "frase a effetto", e non era colpa sua se era talmente imbranato che non riusciva a caricare una lavatrice da solo e quindi si era dovuto ridurre a indossare quella cosa al posto della tuta da casa!
«Va bene, giuro che non faccio più battute. Ora mi fai entrare?» urlò di nuovo Will, da dietro la porta.
Nico ci pensò un attimo, poi aprì e sibilò, con il capo ancora chinato per nascondere il rossore che imporporava le sue guance: «Entra».
Will si dovette contorcere per passare attraverso la minuscola apertura lasciata da Nico, ma non se ne lamentò. Quindi, appena entrato, non poté fare a meno di esclamare: «Oddio, Nico, ma la tua casa è bellissima!» e di iniziare a ficcare il naso ovunque. Più o meno era stata la stessa reazione che aveva avuto Leo la prima volta che era passato a prenderlo; quei due avevano molte più cose in comune di quanto si credesse, ma Will era più composto, saltellava meno, non pareva una macchia di carbone ventiquattro ore su ventiquattro a causa delle esplosioni continue che provocava in stile "Piccolo chimico", le sue dita non erano sempre sporche di grasso per motori, aveva gli occhi più chiari e più belli, il suo corpo pareva molto più atletico, il suo sorriso non era poi così irritante e forse era pure carino... No, Will Solace non è carino.
Intanto l'altro si era seduto sul divano e, con il naso in su, continuava a fissare con aria ossessivo-compulsiva i quadri appesi alle pareti, e li stava osservando in modo tale che Nico avrebbe giurato che stesse tentando di impararne ogni pennellata a memoria.
«Sono i dipinti di mia sorella, quelli» disse a un certo punto Nico.
Will, a quelle parole, sembrò risvegliarsi da un sogno. Quindi disse: «Sono molto belli. Tua sorella è davvero brava».
«Già» rispose l'altro. Non perse tempo a correggere il tempo verbale di Will, non ci teneva proprio a vedere anche nel suo viso quell'espressione di compassione che mostravano tutti ogni volta che parlava di Bianca. Anche Jason, che pure era il suo migliore amico, evitava sistematicamente di pronunciare le parole "morte", "incidente", "bianco" e "sorella", quasi fossero termini messi all'Indice. E, tra le tante precauzioni che prendeva, c'era anche quella di non guardare mai i quadri appesi alla parete: apprezzava i gesti dell'amico, ma vedere che qualcun altro rimaneva incantato davanti alle precise e ispirate pennellate di sua sorella su quelle tele lo rendeva stranamente felice. Nico aveva questa convinzione che, se nessuno avesse più soffermato lo sguardo su quei dipinti, il ricordo di Bianca sarebbe andato svanendo, fino a che nessuno, tranne lui, si sarebbe ricordato di lei. Invece ora, inaspettatamente, Will Solace era seduto in casa sua, con gli occhi talmente luminosi da parere stelle sberluccicanti, a guardare i disegni di sua sorella. Al pensiero che, fra tutti, proprio lui l'avrebbe ricordata, sorrise un poco: a Bianca Will sarebbe piaciuto.
«Io salgo in camera» disse Nico, cercando di nascondere l'espressione a metà tra il malinconico e il nostalgico che era nata nel suo viso e sperando che Will capisse che doveva rimanere di sotto.
«Ti seguo!» esclamò Will, con il suo solito sorriso, non cogliendo l'invito silenzioso di Nico che, sconsolato, sospirò.
Aprì la porta della sua camera, quindi sussurrò un biascicato "Scusa il disordine" e si lanciò sul letto; quando l'altro ebbe finito di guardare la sua enorme collezione di videogiochi, libri, fumetti, CD e DVD commentando ogni titolo con un "ce l'ho" o un "mi manca" che pareva tanto quello di un bambino di fronte a un album di figurine, esclamò: «Io ora mi cambio» e restò in attesa che l'altro uscisse.
«Non preoccuparti!» rispose quindi Will, continuando la sua ispezione e probabilmente senza nemmeno essersi accorto dell'imbarazzo dell'altro.
Vuole davvero che mi cambi qui, con lui in stanza?
«Ehm, Will... mi devo cambiare» ripeté quindi, con lo sguardo rivolto a terra.
«Ho capito, fai pure, Nico» e sorrise. Poi si accorse del rossore sulle sue guance ed esclamò, come se si fosse accorto solo in quel momento di qualcosa di semplicemente impossibile: «Oh! Non mi dire che tu fai parte di quella categoria di persone che provano imbarazzo a cambiarsi davanti ad altri, anche se dello stesso sesso!»
Ma è cretino sul serio? E io che pensavo di essere famoso a scuola per quello...
«Già» rispose, sempre più in imbarazzo.
Tutto d'un tratto su Will calò un'espressione spaventosamente seria. Quindi si sfilò le scarpe e i calzini. Prese i lembi della sua maglietta arancione e se la tirò su da sopra la testa, mostrando il suo fisico muscoloso e abbronzato con l'aria più concentrata e intensa che avesse mai avuto nell'intera giornata.
Nico saltò in piedi e gli afferrò le mani poco prima che queste aprissero la cintura dei pantaloni, quindi, rosso come le lenzuola del suo letto, urlò: «Ma che accidenti ti dice il cervello? Perché ti stai spogliando in camera mia, davanti a me?».
Will parve stupito: «Beh, volevo dimostrarti che non c'è nulla di male nel mostrarsi nudi davanti ad altri: il nostro corpo è bellissimo, una macchina perfetta di muscoli, organi e sangue. Non dovremmo vergognarci a...-»
«Non mi vergogno a spogliarmi, è che... Will, io sono gay, ok?»
Il ragazzo rimase come fulminato. Il suo sorriso si spense, come se avesse appena visto un fantasma ballare la macarena in pigiama.
Nico si sentì improvvisamente triste: si era illuso per un momento che qualcuno volesse davvero fare con lui, aveva pensato che Will desiderasse conoscerlo e che non fosse solamente per scusarsi che l'aveva invitato a uscire quel giorno. Non voleva ammetterlo, ma aveva quasi pensato che il ragazzo fosse interessato a lui e che ci stesse provando, ma ovviamente questo era del tutto impossibile: Will Solace, il Mister Sorriso Tutto il Giorno, il ragazzo carino di origini brasiliane non poteva essere attratto da lui. Insomma, chi gliel'avrebbe fatto fare di provarci con un nerd complessato?
«Nico, scusami... oddio, io oggi ti ho trascinato con me nel bagno, ti ho invitato a prendere un gelato e ora mi stavo... Ok, sono decisamente uno stupido» disse a un certo punto, dandosi un sonoro colpo sulla fronte.
«Pensavo lo sapessi» disse Nico, stranamente arrabbiato: cosa c'entrava il gelato? Non c'era nulla di strano a invitare qualcuno fuori per prendere un maledettissimo gelato.
Will sospirò, poi, recuperando l'espressione seria di quando aveva tentato di spogliarsi (cosa che fece preoccupare non poco Nico) esclamò: «Nico, mi dispiace, ma non sono la persona adatta a te. Non volevo illuderti e non pensavo avessi una cotta per me, altrimenti non avrei...-»
«Ehi, ehi, frena. Chi ha mai detto che ho una cotta per te?»
«Eh? Quindi non sei... cioè, non...» Will aveva l'aria decisamente confusa.
«No, anzi, ti trovo parecchio fastidioso» rispose Nico, guardandolo di sbieco. Aveva appena avuto la conferma che quel Solace era un completo idiota e che, tra l'altro, si credeva al centro dell'Universo conosciuto solo perché aveva degli stupidi capelli biondi, dei luminosi occhi azzurri, il fisico e l'abbronzatura da surfista e un sorriso talmente dolce e caldo che avrebbe fatto sciogliere l'iceberg su cui si era schiantato il Titanic.
Will lo guardò un secondo, improvvisamente rosso in viso: «Oh» disse. Sembrava esserci rimasto un po' male, ma a Nico non interessava. Forse solo un pochino...
«Però ora mi hai fatto venir voglia di mangiare un gelato, quindi usciamo lo stesso, ok?» esclamò Nico, sorprendendosi lui per primo della sua intraprendenza.
Il viso di Will s'illuminò tutto d'un colpo e quasi urlò: «Sì, certo!» e iniziò a dirigersi tutto impettito giù per le scale. Solo a metà tragitto si fermò e si accorse di due cose: la prima era che non si era ancora rinfilato la maglietta e le scarpe, la seconda che Nico lo stava guardando – ancora in tenuta casalinga – come se si trattasse di un tizio completamente fuori di testa (e forse aveva pure ragione). In quel momento Will assisté a qualcosa di completamente inaspettato, di assurdo e raro: il viso pallido di Nico si deformò, il suo naso leggermente all'insù iniziò a tremare leggermente, gli occhi si chiusero, il suo corpo magro e sottile venne scosso da un rumore delicato e dolce proveniente dalle sue labbra, ora piegate verso l'alto: una risata cristallina si propagò in tutta la stanza e raggiunse anche il salone d'ingresso. Will, sentendolo ridere così di gusto, non riuscì a non ridere di rimando, contagiato dal sorriso che si era aperto sul viso dell'altro. E non riuscì neppure a non pensare a quanto quei capelli sembrassero morbidi al tatto o a quanto i suoi occhi, nonostante fossero del colore delle tenebre più nere, sapessero brillare se divertiti. Non gli era indifferente neppure il suo corpo che, impacciato, si contorceva per quella risata improvvisa. Desiderava che durasse per sempre quel suono, ma purtroppo si interruppe e Nico riprese il contegno, stropicciandosi gli occhi e dicendo: «Sei il ragazzo più buffo che abbia mai incontrato, garantito».
Will non ne era molto convinto, però: gli avevano attribuito moltissime caratteristiche, da simpatico, allegro, socievole a rompiscatole, appiccicoso e fastidioso (ultimo dei quali era stato proprio Nico ad affibbiarglielo, poco prima), ma... buffo? Scosse la testa, quindi disse: «Il tuo amico Leo è molto più buffo di me».
«Forse hai ragione. Ma di sicuro sei il più strano» rispose quindi Nico, tornato ormai serio.
«Su questo anche ti sbagli, Di Angelo: il più strano sei tu» scherzò Will, mentre s'infilava di nuovo la sua maglietta.
Nico si sentì un po' indispettito da quest'affermazione, ma scosse le spalle e iniziò a frugare nel suo armadio alla ricerca di qualcosa da mettersi. Era imbarazzante farlo di fronte a quello con cui sarebbe dovuto uscire poco dopo, ma cercò di non darlo a vedere.
Will uscì quindi dalla stanza e attese che anche l'altro lo facesse, finalmente vestito, quindi insieme scesero le scale in legno e percorsero nuovamente il soggiorno. Lanciando un'altra occhiata ai quadri appesi sui muri, esclamò: «Ah, Nico, poi fai i complimenti a tua sorella per i dipinti! Sono davvero belli».
Nico lo guardò di sottecchi, ma non rispose: non aveva proprio voglia di iniziare il discorso "mia sorella Bianca è morta e mi manca tantissimo" con Will, soprattutto prima di uscire. Quindi afferrò le chiavi e si diressero verso lidi migliori.
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Fanfiction"Deve esserci qualcosa di strano in me, qualcosa come un gene particolare che attira la sfiga o uno spirito maligno che mi perseguita." Era questa la conclusione a cui Nico era giunto dopo l'entusiasmante giornata appena trascorsa e, più ci pensava...