Chapter 2 // {New City}

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Era un altro giorno afoso di luglio e Melanie era nella sua camera, con la finestra spalancata, a leggere un altro libro, avendo finito l'ultimo in tre giorni. Passava le sue giornate così, distesa sul letto, immersa nei libri o nella sua amata musica. Tranne quando le capitava di uscire per fare shopping e quindi restava fuori tutta la giornata a girare negozi che ormai conosceva come le sue tasche e nuove aperture. Sua madre, tanto, non le diceva niente, non l'aveva più degnata di una minima attenzione dopo la morte del figlio e del marito.
Già, Melanie era senza un padre da ben 11 anni. Non che fosse così legata a lui infatti non fù la sua perdita a turbarla bensì ciò che vide quel giorno.

{Flashback}
Melanie's POV.
È passato già un'anno dalla morte di mio fratello, io ho compiuto 8 anni qualche mese ed è stato davvero brutto averlo passato a casa da sola con mamma a lavoro fino a tardi e papà in un'altra città per non so quale motivo; si è trasferito qualche giorno dopo l'incidente dicendo che non riusciva più neanche a lavorare.
Comunque ora sono in macchina della mamma, nei sedili posteriori. Mi sta portando da papà, è da tanto che non lo vedo. Dice di non voler venire perché ha altro da fare ma io non le credo, però non dico niente. La lascio parlare, cosa che non fa mai con me tranne quando si vuole sfogare quando è arrabbiata, anche se a volte arriva a picchiarmi.
Si ferma, all'inizio non capisco il motivo ma dopo essere scesa dall'auto tutto è più chiaro.
"Lewis" c'è scritto sul citofono che poco dopo suono. Mentre aspetto che qualcuno mi apra, sento una macchina mettersi in moto; è quella di mamma, se ne sta andando, mi ha lasciato qui.
Ancora nessuna risposta così mi avvicino al portoncino e cerco di forzarlo per aprirlo ma neanche il tempo di poggiare un dito che si apre; era socchiuso, strano. Vado verso la porta d'ingresso, anch'essa socchiusa, ed entro. Davvero insolito che papà lasci le porte aperte quando lui era sempre il primo a chiuderle.

Arrivo verso quello che dovrebbe essere il salotto. «Papà» lo chiamo, nessuna risposta. Vado in cucina, ancora niente. Giro tutte le stanze ma nulla, tutte vuote. Non può essere uscito e aver lasciato tutto aperto anche perché la macchina è posteggiata nel retro, tranne che sia andato a piedi ma poco probabile. Rimane solo una stanza in cui andare a guardare e suppongo sia la sua camera da letto. Anche questa porta è socchiusa, al buoio. Apro un po' la porta, le finestre completamente chiuse, e non riuscendo a vedere accendo la luce dall'interrutore, che trovo subito essendo accanto alla porta. Guardo verso il letto, le lacrime iniziano a pizzicare sugli occhi, comincio a gridare. È tutto così sbagliato, prima mio fratello poi mio padre.
Si è suicidato, ha una corda al collo, in una mano tiene un coltello sporco di sangue, nell'altra una lettere anch'essa un po' sporca dagli schizzi. Non oso avvicinarmi, non riuscendo neanche a capire più nulla. Arriva subito una signora, leggermente paffuta in faccia, che subito mi chiede per quale motivo stessi gridando così ma poi guarda il letto e capisce tutto al volo. Mi asciuga le lacrime, mi porta fuori e prende il telefono. Suppongo sia la sua vicina, non penso che uno sconosciuto sarebbe entrato senza farsi alcun problema. Appena arriva l'ambulanza e la polizia vengo tempestata da domande da parte di quest'ultima, rispondo con poche parole ma non a tutte le domande. Appena danno l'okay per portarmi via, la signora prende la sua macchina posteggiata nel vialetto difronte e si avvicina al marciapiede dove, da lontano, la stavo guardando. Pensavo se ne sarebbe andata, come la mamma, invece era lì che apriva lo sportello posteriore dell'auto per farmi salire e accompagnarmi a casa mia. Salgo, dopo esser rimasta un po' lì a riflettere. Le indico la strada da prendere, mi lascia davanti il cancello e subito via, a casa sua suppongo. Dopo che esce dalla mia visuale, comincio a camminare; ovviamente non le avevo detto dove abitavo veramente, le ho detto l'indirizzo di una casa che a volte vedo quando sono in macchina, con la mamma. Arrivo a casa. Mamma non c'è, chissà dove si trova. È sabato, di solito lei non lavora di pomeriggio. Ma va bene comunque, almeno non dovrò ascoltare tutti i suoi rimproveri. Dopo circa mezz'ora bussano alla porta, non dovrei aprire ma lo faccio. Ci sono due uomini e due donne, vestiti rispettivamente di bianco e di verde. Non so cosa vogliono, così chiedo «Chi siete?». Si guardano tutti a vicenda, poi si decidono a parlare.

You & I // {Niall Horan}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora