Ormai la danza era cominciata. Tutto all'inizio era sempre complicato, e riprendere un'attività a tempo pieno dopo un mese di vacanza era tosta. I dolori si facevano sentire ed ogni giorno alzarsi dal letto diventava sempre più complicato e frustrante. I quadricipiti delle gambe imploravano pietà ogni qualvolta ero disposto a sedermi o a rialzarmi, ed i glutei subivano uno stress non indifferente. Tutte quelle regole toste sulla rotazione delle anche, sulle posizioni dei piedi o delle braccia. Ma non era ciò in cui mi stavo incentrando in quel periodo. Avevo anche l'impegno della nuova casa e quindi le faccende da sistemare si erano raddoppiate ma sinceramente nulla di particolare. E poi infine c'era lei. Ormai quella ragazza che un tempo avevo paura anche di guardare negli occhi aveva preso confidenza. "Granger"; così la chiamavo. Era un nome dedicato interamente a lei e nessun altro poteva farne buon uso a cattivo gioco. Era quell'unica cosa che ci manteneva legati. Legati da un nastro ancora non del tutto evidente. Ma lei era brillante nel suo genere, mi illuminava con la sua luce. Mi attraeva e riusciva a catturarmi in qualsiasi modo. Forse ero stato preso in maniera esagerata ma accettavo quello stato d'animo e non potevo farmelo sfuggire.
Le ore a scuola ormai passavano ed il momento che apprezzavo di più era la ricreazione, e forse poteva anche sembrare il momento più breve durante l'arco di ventiquattro ore ma potevo vederla.
Non che non la vedessi, visto che la sua classe era di fronte la mia, solamente che lì potevo veramente dedicare i miei pensieri a lei.
Conoscerla passo dopo passo risultava piacevole alla vista. Ogni giorno procedeva sempre meglio e si cominciavano a sciogliere i colossali ghiacciai sociali. Non avevamo più barriere, e nulla ci ostacolava qualsiasi tipo di conversazione.
Ma le cose fluivano in maniera troppo leggera e semplice per sembrare già una favola da film.
E fu uno dei primi giorni di scuola che il peggio si presentò alla mia porta.
Era una giornata nuvolosa ma la temperatura era rimasta ancora molto alta. Entrai a scuola e la vidi fuori la sua classe. Il mio cervello cominciò ad elaborare tutti gli impulsi che ricevevo appena la incontravo. Era sempre così semplice e armoniosa che non riusciva a risultare di disturbo agli occhi. Feci ciò che mi sembro più normale e sereno possibile, andai a salutarla. Ma non ebbi nemmeno il tempo di avvicinarmi qualche passo di più che lei mi guardo con i suoi occhi. Erano nuvolosi anche loro, ed il color cielo sembrava che rispecchiasse il tempo all'esterno. I suoi occhiali formavano una barriera che venne distrutto da quello sguardo. Uno sguardo che distrusse anche i miei occhiali e mi paralizzò. Era spenta, non era come i giorni precedenti. Mantenne fisso lo sguardo e poi con il capo chino entrò in classe.
Non sapevo, per certo, a cosa pensare ma decisi di evitare.
Rimasi per le prime ore in classe a pensare. A cosa potesse mai essere succeso e se forse io ero la causa del problema. Non riuscivo a trovare una soluzione, ed ogni teoria che ipotizzavo risultava ipnotica in testa. Non avevo fatto nulla, ma forse avevo sbagliato a dire qualcosa e non me ne ero accorto o non potevo sapere di limitarmi in certi argomenti.
Il suono della campanella mi risvegliò da uno stato di ipnosi lunga tre ore, e finalmente decisi di andare a prendere un po' d'aria per rinfrescare la mente.
Di solito ci ritrovavamo sulla panchina vicino al tempietto del cortile, ma quel giorno non si era presentata. Quel posto che fino al giorno prima era occupato, adesso era privo di calore e significato. Lei dava un senso a quel posto, e stare lì da solo mi portava solamente al disagio psicologico. Decisi di tornare in classe, quando durante il tragitto la incontrai. Lei stava andando in bagno, ma non si fermò e continuò per la sua strada.
La seguii e l'aspettai qualche metro più in là rispetto al bagno. Finalmente uscì e le toccai il braccio per farle capire di fermarsi. Lei si girò e mi guardò.
- Cos'hai Granger? - le chiesi con curiosità. Stava esitando a parlare, la sua bocca cercava di dire qualcosa ma il cervello sembrava fermarla.
- Marco.. lasciami in pace! Perfavore... - mi lasciò spiazzato, visto che non riuscivo bene a capire cosa stesse succedendo. Era così viva fino al giorno prima, ed era impossibile che si fosse spenta così all'improvviso.
- Cos'è successo? - le dissi - Nulla che ti riguarda.. adesso torno in classe. -Stava per girarsi per riprendere la sua rotta, quando decisi di spostarmi di fronte a lei.
- Se hai qualche problema e vuoi sfogarti sai che ci sono. - abbassò lo sguardo - Marco non ho bisogno di parlare o sfogarmi. Sono così e lasciami da sola. Trovati qualcun altro con cui parlare perché oggi non ho parole da concederti. -
Se ne andò e rimasi lì fermo. Mi sentivo inutile e distrutto. La gente mi passava affianco ma io rimasi lì come una statua e fissare la parte d'aria che prima lei stava occupando.
Sembrava come se tutto mi fosse crollato addosso, e non trovavo alcun motivo per sorridere. Mi girai e rimanendo isolato dal mondo mi diressi in classe.
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Coveting Rain
RomanceIl cuore ed il cervello sono in eterno conflitto. Il primo condiziona il secondo, che a sua volta controlla l'altro. Da questo strano gioco di ruoli nasce qualcosa che viene definito: Amore. L'Amore é senza personalità. Può essere crudele, giusto, s...