BELLAMY: Tough Love

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I colpi alla porta si abbattono contro la sottile parete di cartongesso che è il mio sonno e la distruggono.

Il turno di notte è stato devastante. Un susseguirsi di ore tutte uguali, minuti che ci impiegano anni a passare, secondi che scorrono più lenti di millenni, mentre l'aria mia gela le mani e mi morde le chiappe.

Grugnisco e mi rifiuto di rispondere. Che ripassino più tardi. La lista delle mie priorità si basa su tre punti: 1) dormire, 2) vedi punto 1, e 3) vedi punto 2, e non ho intenzione di apportare modifiche al programma.

«Bellamy! Bellamy!»

Non rompere i coglioni, Wick. Non. Ora.

«Dài, Bellamy! Lo so che sei lì dentro!»

E dove dovrei essere, secondo te, Wick? A infornare il pane? Va' al diavolo.

«Porca puttana, Bellamy! Svegliati!»

Anche no, Wick. Ma grazie per l'offerta.

«È ritornata! Mi hai sentito, Bellamy! Clarke è tornata al Campo!»

Sì, ok—Eh?

Butto le gambe fuori dalla coperta, ma mi si avviluppano i piedi nel lenzuolo e uno strappo allo stomaco mi avverte della caduta imminente. Sbatto il naso contro il pavimento e per un momento vedo le stelle. Poi le stelle vengono sostituite da un fiume di imprecazioni.

Grazie, Wick. Fottiti, Wick.

Mi libero dal lenzuolo scalciando, mi rimetto in piedi e spalanco la porta. Wick sta per abbattere il pugno sul mio naso, ma sguscio via prima che possa riuscirci. Ha la faccia sconvolta e un po' mortificata, macchie rosse sul collo. Per venire qui deve aver corso per mezzo Campo.

«Scusa per la levataccia, amico.» Mi posa una mano sulla spalla e accenna uno dei suoi famosi sorrisi. «Clarke è—»

«Da che cancello sta entrando?» lo interrompo.

Corruga la fronte. «Quello principale. Io...»

Mi libero della sua mano sulla mia spalla e due istanti più tardi sono già a metà corridoio, un "grazie" gridato di fretta alle spalle.

Lo immagino spalancare le braccia dietro di me, quando mi urla dietro: «Non hai neanche le scarpe!»

Rido.

Fanculo le scarpe, Wick. Fanculo!

Attraverso tutta la zona riservata ai soldati di corsa, ma non mi basta. Accelero, e poi accelero ancora di più. I polmoni hanno risalito l'esofago, compressi alla dimensione di due fagioli, e sento che potrebbero scoppiarmi da un momento all'altro. Ma va bene così, va bene così perché è tutto per Clarke, e per Clarke morirei oggi e domani e ogni giorno a seguire per l'eternità. Quindi non rallento. E corro, corro, corro—la pianta dei piedi che si frantuma contro la terra battuta, le ginocchia che minacciano di spezzarsi a ogni passo e il fiato che mi taglia in due il petto.

Gli occhi mi pizzicano, ma la riconosco ugualmente. Capelli che catturano i raggi del Sole come spighe di grano e sguardo che cattura me come un orso il salmone che risale il torrente. La vedo passare tra le braccia di Octavia, di Monty e di Raven, fare una veloce immersione nell'affetto dei suoi amici. Poi alza la testa e mi scorge più in là, che corro, corro, corro—la pianta dei piedi che si frantuma contro la terra battuta, le ginocchia che minacciano di spezzarsi a ogni passo e il fiato che mi taglia in due il petto—solo per lei.

Cammina verso di me, piano, ma non sorride. Incede come se avvicinarsi le costasse una fatica fisica, come se a ogni passo le venisse aspirata l'aria dai polmoni.

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