«Ti prego...»
La pace regnava introno a me. «Dimmi» risposi all'angelo, ma non uscì alcun suono. Lo cercai, ma non lo vidi.
«Ti prego», ripeté. Sembrava triste.
Magari in paradiso si comunica attraverso il pensiero. «Che cos'hai?» Feci a mente la domanda.
«Permettimi almeno di scusarmi...»
Ero confusa. «Per che cosa?»
Qualcosa di umido mi sfiorò la mano.
«L'ultima chance... Ti scongiuro»
Abbassai lo sguardo, ma non vidi nulla.
«Sei tu, angelo?» Provai a fare un passo avanti nel bianco accecante, ma non mi mossi. «Angelo...» Cercai un appiglio in lui, spaventata. «Cosa succede?»
«Ho perso tutto...» La sua voce si ruppe.
«Perché dici così?» Anche la mia.
«Apri gli occhi...» «Ma angelo...» Li strizzai per far fronte alla fitta nebbia che stava calando. Macchie grigie stavano, sempre più velocemente, sovrastando il bianco. Una mano teneva stratta la mia. «Sono io». «Sei tu...?» Ma il mio pensiero si dissolse nell'oscurità.
Reiniziai a provare le percezioni tattili. Qualcosa di soffice mi cullava, disturbato da un tremolio.
Aprii gli occhi lentamente, rimanendo disorientata.
«Oh, grazie al cielo». Sentivo la mia mano bagnata. Portai lo sguardo al mio fianco, per vedere gli occhi dell'angelo tentare di ricambiarlo.
«Cal...» Dissi con filo di voce.
«Perdonami... perdonami, ti prego». Stava piangendo.
«Che è successo?» Non rispose. «Sono svenuta?» Tirai a indovinare.
Tremò in un respiro. «Sarebbe stato meglio».
«Cal, ti prego». Mi stavo preoccupando, e solo la preoccupazione mi fece sentire il forte mal di testa che mi stava martellando il cranio. Mi resi conto di avere gli occhi pesti.
In quel momento, come una doccia fredda, tutto tornò alla memoria e notai Ashton, Michael e Luke in fondo alla stanza, immersi nel buio. I loro occhi brillare nei deboli fasci di luce che penetravano la finestra.
«Quanto tempo sono stata così?» Chiesi. Gelida.
«Più di tre ore...» Rispose. Flebile.
«Perché Calum?» Guardai dritto di fronte a me. «Perché l'hai fatto?»
«Io... volevo...»
«Ero il tuo antistress...?» Terminai la sua frase in una domanda.
«No, te lo giuro...»
«Non sembrava... Perché non ti sei semplicemente preso un'altra groupie, al posto di sfogarti su di me?»
Sentivo la rabbia scuotermi. Non mi sentivo di aver passato tre ore a dormire.
I suoi singhiozzi fecero fremere violentemente il letto dov'ero sdraiata.
«Perché io non voglio loro, erano solo uno schifoso rimedio...»
«A che cosa? Se c'era un problema, perché non ne hai parlato?»
«Al fatto che...» Si interruppe. Alzò il busto dal letto, tenendo stretta la mia mano. Se l'avesse lasciata, saremmo crollati entrambi. Sentì un peso colpirmi lo stomaco a quel pensiero.
Posò le labbra sulle mie nocche, come la prima volta. Ci sussurrò sopra, come la prima volta. Guardò altrove, a differenza della prima volta.
«Quella sera ti ho sentita... parlare... lamentarti del fatto che loro vogliano cambiarti...» La sua voce era piatta.
La mia vista si annebbiò, «già...» Anche io guardai altrove.
«Io non voglio questo per te. Non voglio cambiarti e non voglio che loro lo facciano. Ho lasciato che ti facessero perdere peso, quando non ne avevi bisogno, e adesso guardati... sei uno scheletro... ma non lascerò che ti facciano perdere la tua personalità. Quello no, mai». Parlava con odio e rancore. «Pensavo che, facendo così, tu... tu saresti...» Barcollò. Tu saresti andata via. Non riusciva a pronunciare quelle quattro parole una dietro l'altra.
Sapevo che gli avrei fatto del male, ma avevo bisogno di capire fino in fondo.
«Volevo farlo, lo sai. Perché non mi hai lasciata andare?»
Sentì uno scalpello dividermi in due metà precise nell'istante in cui realizzai di averlo detto. Lo stesso secondo in cui ci immaginai separati, in due "qui" diversi. Lo stesso in cui una metà andò persa.
«Perché sono egoista e non ce la faccio se non ti ho accanto...»
Incatenò i nostri sguardi, come la prima volta.
«Non ci riesco perché ti amo» soffiò.
Dentro di me qualcosa si ruppe inondandomi di uno strano luminoso calore che mi tolse il respiro. Non proferì nessuna delle poche sillabe che si tamponavano e collegavano nella mia mente con il viso dell'angelo.
«L'ho capito solo quando ho rischiato di perderti e mi odio per questo. Ogni istante con... quelle – fece una smorfia, schifato – è un'ora persa con te. Non mi interessa il sesso se posso avere l'amore», si coprì un secondo le labbra con il pugno, come stesse cercando le parole. «Vorrei... vorrei talmente tante cose». Gli spuntò un sorriso triste, guardò in basso prima di continuare. Notai altre lacrime scivolare lungo le sue guance, scintillanti nel contrasto tra il buio e il chiarore dei salmastri raggi della luna. «Vorrei poterti amare sotto gli occhi gelosi di tutto il mondo. Vorrei poterti proteggere dalle loro infamie. Vorrei essere il custode dei tuo segreti più nascosti e delle tue gioie più grandi. Vorrei smettere di piangere per farti capire quanto tu sia la luce dei miei occhi, ma semplicemente non ci riesco perché il pensiero di averti persa è come una tenaglia che mi strappa il cuore. Vorrei renderti felice, farti ridere e sorridere quando sei sull'orlo delle lacrime. Vorrei poterti leggere nel profondo dell'anima, capire le tue paure e io tuoi tormenti per sconfiggerli insieme. Vorrei non aver mandato tutto a puttane come ogni volta e vorrei prendermi a pugni ma sono debole, con il corpo assopito dal sangue che non viene più pompato...» Gli si ruppe la voce e riportò il capo contro il letto, sull'intreccio delle nostre dita.
Portai una mano tra i suoi capelli. «Cal...» Girai l'altra per accarezzargli la guancia e fargli alzare la testa. «Anche io ti amo», sorrisi debole.
Una scintilla nei suoi occhi, che non c'entrava nulla con il riflesso della luna, fu come l'unico cenno visibile del sangue che gli schizzò nuovamente nelle vene.
Nell'istante successivo le sue labbra erano entrate in collisione con le mie.
«Ti amo», soffiava tra un bacio e l'altro, «ti amo».
Le nostre lacrime si univano a salare la più dolce delle unioni.
Posò la fronte alla mia e respirò come se stesse riprendendo ossigeno dopo una vita in apnea. «Ti amo e giuro che farò di tutto per dimostrartelo come meriti».
Aprì gli occhi. Dentro di me qualcosa cadde: lo scalpello si spezzò cercando di dividere qualcosa di inseparabile.
Le nostre mani ancora unite: «non puoi andartene, non ora. Ho troppo bisogno di te», sussurrò, come la prima volta.
Adesso capisco perché mi fidai. «D'accordo».
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Ciao a tutti! (:
Questo è il terzo ed ultimo capitolo, spero vi piaccia 🙈
Grazie infinite a chiunque leggerà questa storia, significa tanto per me, quindi grazie mille 💞
Lasciate un commento e/o una stellina se vi va, mi farebbe molto piacere 😊Alla prossima storia (spero) 😘
writingsara ♡
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Repressed Feelings || Calum Hood
Fiksi PenggemarCalum rise. «Visto? Io l'avevo detto che era diversa». Si fece roteare la palla tra le mani, «giochiamo?» Provò a dire prima che Michael condividesse la sua brillante idea. «Facciamo una scommessa?» Provocò. ATTENZIONE: questa storia contiene riferi...