MARTINA'S POINT OF VIEW.
La cosa più probabile è che io e il ragazzo della metropolitana non ci vediamo più, ammettiamolo. Ma bisogna anche ammettere che quel ragazzo mi intriga, più di quanto sia lecito. Mi intriga la sua voce, così calda e accogliente - quando non è arrabbiato. Mi intriga lui, tutto quanto, anche senza vederlo.
Mi intriga il suo odore, soprattutto. Odora di sigaretta e di dopobarba alla menta.
Odora di mistero, sinceramente non lo so spiegare. È un odore particolare, che non ho mai sentito in nessun ragazzo. In nessuno e basta, a dire il vero. È un odore solo suo, suo e basta. Solo di quel ragazzo al quale ho detto il mio nome, ma di cui non so assolutamente niente.
È... frustrante. Non sapere niente, intendo.
Se almeno riuscissi a vederlo, potrei in un certo senso giudicare. Potrei dire se sia un bel ragazzo o meno, se il suo sorriso sia vero o meno. Potrei capire un mondo solo guardandolo negli occhi, sono sempre stata brava a farlo.
La cosa positiva è che anche se non posso vederlo, il mio udito è più sviluppato di quello degli altri. Posso capire dall'inflessione della voce se sta sorridendo, se è arrabbiato, se è felice. Ho come un potere speciale, se così si può dire. E devo ammettere che mi piace, mi fa sentire più normale.
Torno a casa dalla mia passeggiata dopo pranzo, e senza aver mangiato.
Sono sicura che stavolta Mechi mi vorrà gettare nell'acido. Sarà preoccupata da morire, forse magari me lo merito anche, che mi frigga nell'acido. È la mia migliore amica. E anche se è una delle poche persone rimaste a trattarmi da persona normale, si preoccupa. Anche se non lo da a vedere.
Ed è adorabile quando si preoccupa, devo ammetterlo.
«Brutta incosciente!». Okay, pensavo peggio, sinceramente. Solo che non è Mercedes quella che mi sta praticamente urlando contro. Ma mio cugino Xabiani che, chissà come e chissà perché, se ne sta seduto sui gradini davanti a casa nostra. Come faccio a sapere che è seduto? La voce viene dal basso, rispetto a dove mi trovo io. Cos'altro? Ha appena finito di fumarsi una sigaretta, a giudicare dall'odore di fumo che aleggia nell'aria.
«Ciao anche a te, cugino», scherzo tirando fuori le chiavi dal cappotto. Lo sento alzarsi e mettersi davanti a me, bloccandomi, in modo che non possa entrare in casa. Mi fa sorridere, non riesco a trattenermi dal farlo. «Qual buon vento?», chiedo, ignorando completamente i suoi sospiri. So per certo che si sta passando una mano tra i capelli, sta torturando le unghie dell'altra mano con i denti.
«Sono venuto a trovare Mechi, ma non è questo il punto».
Inarco un sopracciglio, divertita. Se ve lo state chiedendo, sì. Mio cugino esce con la mia migliore amica. Lui è cotto di lei, abbrustolito per bene. E Mechi si imbarazza ogni volta che parliamo di lui, cercando disperatamente di cambiare argomento. Sono cotti a puntino. E sono adorabili.
«Ho solo fatto un giro, Xabi, calmati», gli dico quando finalmente si sposta in modo che possa aprire la porta di casa. Sospiro. Odio quando si preoccupano per niente. Ho solo fatto un giro, mi serviva prendere un po' d'aria.
Perché anche se sono cieca non significa che io debba starmene dentro casa ventiquattr'ore su ventiquattro, no? Posso uscire, prendere aria. Lavorare part time come babysitter, non me l'ha mai impedito nessuno, in fondo. Anche se né Mercedes né Xabiani né mia madre sono mai stati d'accordo.
Facundo invece è sempre stato d'accordo. Lavora con me, del resto, ma a tempo pieno.
L'agenzia di babysitting è la sua del resto, ha sempre adorato i bambini.
Comunque, ho solo fatto un giro, preso un po' d'aria. E pensato e ripensato al suono della voce dello sconosciuto della metro. Ho ripensato a quando ha annuito, non ricordandosi che non lo potevo vedere. Ho ripensato a quando mi ha preso la mano per aiutare a sedermi. Non riuscivo a smettere di pensare alla sua risata, era una droga.
Una droga. E ne volevo ancora, disperatamente.
Sentivo il bisogno di sentire ancora quella voce, quella risata. Il bisogno di sentire ancora la morbidezza delle sue dita contro le mie. E proprio non capivo il perché. Non mi era mai successo di desiderare così ardentemente il contatto con qualcuno. Mai, in vent'anni.
E ho ripensato alla sua mano prontamente posata sul mio fianco quando stavo per cadere alla frenata del treno. La sua presa calda sul mio fianco mi ha fatto pensare che magari ci poteva essere qualcuno che avrebbe potuto tenere a me all'infuori dei soliti. Qualcuno che potesse volermi bene, nonostante fossi cieca.
«Ci hai fatti preoccupare, scusa se ho reagito male», mi sussurra Xabiani abbracciandomi, una volta entrati in casa. Sorrido, ricambiando l'abbraccio e lasciandogli un bacio su una guancia.
«Tranquillo, Xaa», mormoro posando la borsa sul tavolino all'ingresso.
Cammino tranquillamente fino al divano, come se mi trovassi su una nuvola, e la risata di mio cugino mi fa capire che, come era prevedibile, si è appena accorto di tutto. Tutto, a partire dalla mia camminata tranquilla col sorriso da ebete sulle labbra.
Non ho mai sorriso così tanto in vita mia.
Soprattutto da dopo l'incidente. Da quando ho perso la mia migliore amica. Persa non nel senso che sia morta, si è semplicemente allontanata, e io non ho potuto fare niente. Da quando ho perso Damien, il ragazzo di cui ero cotta da anni.
Sarei voluta morire io al suo posto.
Lui è morto sul colpo. Non ha sentito niente.
Io sono stata in coma per tre mesi - periodo di cui non ricordo un accidente, per inciso - e quando mi sono svegliata e mi sono accorta di non vedere, la prima persona di cui ho chiesto è stata lui, Damien.
È stata la prima persona per cui ho pianto, quando mi sono svegliata.
La persona per cui ho sofferto, tanto.
Ma anche la persona grazie alla quale ho capito che buttarsi giù in quel modo non sarebbe servito a niente. È stato il pensiero di Damien a farmi andare avanti, a non permettere che mi arrendessi. Perché anche se probabilmente lui non provava assolutamente niente per me - oltre all'amicizia - non avrebbe voluto che soffrissi in quel modo. Avrebbe voluto che continuassi a sorridere. E così avevo fatto.
Gli altri in macchina con noi si sono salvati tutti, la più grave si è rotta un polso, ma è viva, sta bene. Ci vede. E non ha perso la persona di cui era innamorata dalle scuole medie, soprattutto.
Torno in me sentendo una lacrima bollente scorrere lungo la mia guancia, un attimo prima che Xabiani mi stringa a sé per un altro abbraccio. Provo a sorridere, ma dentro sto crollando. Soprattutto se penso al fatto che potrei non incontrare più quel ragazzo, l'unico nella mia nuova vita, che mi abbia trattata da persona, e non da animale.
STAI LEGGENDO
Blind Love || Jortini||
RomansaMartina, 20 anni. Jorge, 22 anni. Lei, cieca. Lui, grande osservatore. Lei gli insegnerà ad ascoltare. Lui le insegnerà a vedere. E insieme impareranno ad amare.