Capitolo 1

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"Louis, qui!" urlò Niall dall'altra parte del campo, alzando leggermente la mano destra per poter attirare la mia attenzione. Con un calcio, gli lanciai la palla per poi continuare a correre verso la porta. Alzai per un secondo lo sguardo verso il tabellone e capii che quella sarebbe stata la nostra ultima possibilità per portare la nostra squadra in vantaggio. Osservai poi Niall cercare di scollarsi i difensori dell'altra squadra, che gli stavano attaccati; quindi, nella mia mente, cercai di pianificare ogni singola mossa che avrebbe potuto aiutare il mio compagno in difficoltà. Dopo aver osservato per un po' la posizione del ragazzo, uno spazio vuoto vicino al bordo del campo attirò la mia attenzione. Spostai lo sguardo su Liam, facendogli cenno con la testa di appoggiarmi mentre correvo verso il punto strategico. Una volta raggiunto, feci un fischio a Niall il quale, quasi con sollievo, mi passò la palla che prontamente lanciai a Liam che, con un potente tiro, riuscì a mandare in rete. "Cazzo si!" esultai, iniziando a correre verso il ragazzo che intanto stava andando incontro al resto della squadra. Poi, i tre fischi dell'arbitro, posero fine a quella faticosa partita. Avevamo vinto.

***

"Woah, che partita ragazzi!" commentò Niall, uscendo dalle docce e battendo il cinque ad ogni nostro compagno di squadra fino a quando non raggiunse il suo armadietto, accanto al mio, osservandomi mentre ero intento a legarmi i lacci di una scarpa. "Ehi Lou, grazie per avermi salvato il culo." disse, sedendosi vicino a me sulla panca di legno mentre poggiava una mano sulla mia spalla. Io ridacchiai leggermente e mormorai un piccolo 'niente', tirandomi poi a sedere mentre prendevo il borsone da per terra e mi alzavo in piedi. "Ci vediamo dopo a casa mia Niall, riportalo anche a Liam." dissi con un sorriso divertito, per poi uscire dallo spogliatoio, urlando un piccolo 'ciao' che venne immediatamente ricambiato da tutti.
Ero sempre stato il primo a finire di prepararmi, ero abbastanza veloce sia nel lavarmi che nel vestirmi quindi i miei compagni di squadra non si sorprendevano più di tanto quando, come nel caso di Liam quel giorno, uscivano dalla doccia e non mi trovavano più. Una volta uscito dall'edificio, un leggero venticello mi andò in faccia, facendomi socchiudere gli occhi e scompigliandomi i capelli ancora umidi. "Ehi Lou, bella partita!" urlò Zayn, raggiungendomi insieme ad Harry. Loro erano due dei miei migliori amici (insieme a Niall e Liam), eravamo un gruppo molto affiatato sin dall'infanzia. Erano gli unici a non amare il calcio tra i miei amici, però venivano a vedere ogni nostra partita. "Grazie Zayn. È stata difficile ma nulla può ostacolare i mitici undici!" dissi, gonfiando il petto con finto orgoglio mentre un piccolo pugno da parte di Harry e un "ma smettila idiota" da parte di Zayn mi colpirono in pieno. Un piccolo broncio si dipinse sul mio volto, stendendosi poi in un sorriso. "Okay, okay. Ho capito. Comunque, stasera casa mia." dissi autoritario per poi sistemarmi il borsone sulla spalla e salutare i ragazzi con un cenno della mano, avviandomi nel frattempo verso la mia macchina. Sentii dietro di me le loro risate, seguite da due "okay" urlati mentre aprivo lo sportello posteriore dell'auto e ci buttavo dentro il borsone, per poi salire sul posto guida e cominciare a guidare verso casa. Quel giorno mi sentivo particolarmente felice.

***

"Si mamma, va tutto bene. Oggi abbiamo vinto di nuovo!" sorrisi al telefono, tenendolo tra orecchio e spalla, mentre poggiavo le pizze sul tavolo della cucina. "Ci credo che avete vinto, con un attaccante come te!" disse mia madre prendendomi quasi in giro, cosa che mi fece roteare gli occhi al cielo. Tornai nel mentre in camera mia e mi sedetti sulla sedia davanti la scrivania. "Già, con un attaccante come me..." mi vantai. «Oggi durante la tua partita mi sono divertita. È bello vederti sudato e adoro le forme che ti fanno i pantaloncini, spero di poter giocare con te il più presto possibile ;)» lessi in quel messaggio privato di twitter, mordendomi appena il labbro mentre la mia povera mamma stava parlando praticamente da sola al telefono. "Scusa mamma, puoi ripetere? Non ti ho seguito." ammisi in una lieve risata, sentendo il suo sospiro frustrato. «Quando vuoi dolcezza ;*» risposi al messaggio, chiudendo poi il portatile mentre uscivo dalla mia stanza e mi avviavo in soggiorno. "Dicevo, nulla di strano ultimamente. Sicuro?" mi domandò per la terza volta ormai quel giorno. Roteai nuovamente gli occhi al cielo alla sua preoccupazione, sorridendo nel frattempo addolcito. "Si, sono sicuro." risposi stanco, sedendomi sul divano di pelle che si trovava davanti la televisione. "Perfetto allora, ci sentiamo domani tesoro. Un bacio." si congedò poi, dopo aver ricevuto un saluto da parte mia. Senza smettere di sorridere, poggiai il telefono sul tavolino e accesi la televisione. Anche se le pizze erano già arrivate, i ragazzi non sarebbero stati a casa mia per almeno un'ora. Per questo, quando suonarono al campanello, rimasi abbastanza sorpreso. Spensi quindi la televisione e mi avviai verso la porta di casa per poter guardare attraverso lo spioncino: una signora sulla quarantina, con indosso un completo nero che le dava un'aria più che formale, stava davanti a me. Decisi di aprirle, nonostante la faccia mi era del tutto sconosciuta. Inutile dire che la sua figura elegante faceva sembrare la mia alquanto imbarazzante. "Ehm, si accomodi?" quasi chiesi, spostandomi dalla soglia della porta per farla entrare. Successivamente, chiusi la porta alle mie spalle e mi girai verso di lei. Stranamente mi sentivo in imbarazzo. "Ehm... Prego, si accomodi... Vuole... Non so, qualcosa da bere?" chiesi incerto, non aiutato dallo sguardo serio e freddo della donna taciturna. Inizia a dondolarmi sui talloni, aspettando una sua risposta, guardandomi intorno fino a quando non mi richiamò; mi girai verso di lei, fermandomi, per poi incrociare le braccia al petto, facendogli cenno di continuare: ero onestamente stufo di quella situazione. "Signor Tomlinson, è a conoscenza di una certa Victoria Anderson?" domandò diretta. A quel nome, un ampio sorriso si formò sulle mie labbra e subito annuii. Poi, però, l'iniziale felicità si trasformò in preoccupazione: come faceva a conoscere Victoria? "Signor Tomlinson, che rapporto aveva con la signorina Anderson?" domandò poi. Arricciai il naso a quella domanda e aggrottai le sopracciglia: non erano affari suoi. "Cosa le importa, scusi?" chiesi retoricamente, cercando comunque di non essere scortese con quella donna tanto formale. "Non voglio impicciarmi, signor Tomlinson, devo solo valutare una cosa e il modo in cui devo dirgliela." disse, mantenendo sempre quel tono lavorativo. Sbuffai leggermente e mi passai una mano tra i capelli per poi sedermi su una poltrona, posta davanti al divano. "Eravamo molto amici, sin dall'infanzia. Poi circa cinque anni fa, prima che mi trasferissi ad Edimburgo con i miei, abbiamo avuto una relazione. Ci siamo sentiti per un po' di mesi ma poi lei ha smesso di scrivermi e di rispondere ai miei messaggi o alle mie chiamate. Da lì non l'ho più sentita, neanche quando mi sono trasferito qui a Londra." mormorai in un leggero sospiro dispiaciuto. Ho amato davvero quella ragazza e allora ancora mi mancava da morire, le volevo un gran bene. "Non so come dirglielo, signore ma... La signorina Andarson è morta in un incidente stradale, poche settimane fa." disse dispiaciuta, rivolgendomi uno sguardo per la prima volta non freddo e formale, ma quasi pieno di compassione. Inutile dire che alle sue parole spalancai occhi e bocca sorpreso, sentendo una forte fitta raggiungere il mio petto. Non potevo crederci, semplicemente questo. "Io..." cominciai con la voce tremante, passandomi una mano sul viso per poi portarla tra i capelli. "Signor Tomlinson, forse non è il momento, ma io non sono venuta per comunicarle la morte della signorina Anderson, sono un'assistente sociale. Lei aveva un bambino, Andrea, e secondo vari test abbiamo scoperto che è suo figlio. In più, la signorina Anderson ha espressamente richiesto che il bambino  venga affidato a lei." disse diretta, alzandosi poi dal divano e avviandosi verso la porta, sotto il mio sguardo stupito e lucido per la notizia di prima. "Aspetta, in che senso? Io non... Un figlio?" quasi urlai confuso, alzandomi dalla poltrona e guardando la donna, ormai pronta ad uscire. "Signor Tomlinson capisco la sua sorpresa, ma il bambino ha bisogno di qualcuno che si curi di lui e la signorina Anderson ha espressamente richiesto che quella persona sia lei. Domani le porteremo il bambino, o la bambina. Questo è il certificato che deve firmare per accettare la sua tutela, entro un mese circa dovrà essere firmato, altrimenti il bambino verrà affidato ad un orfanotrofio." aggiunse, passandomi due fogli legati tra loro con una spillatrice. "In orfanotrofio? E la famiglia di Victoria?" chiesi quasi disperato prendendo con poca delicatezza i fogli mentre la donna mi guardava dispiaciuta. "Secondo quel che sappiamo la sua famiglia e la ragazza hanno perso i rapporti tempo fa per la sua gravidanza." rispose, aprendo la porta per poi uscire dalla stanza mentre correvo verso la soglia della porta. "Io..." provai a dire, venendo però fermato dallo sguardo nuovamente gelido dell'assistente. "Arrivederla signor Tomlinson, non ho altro da aggiungere." disse con fermezza, iniziando a scendere quei pochi scalini che l'avrebbero poi condotta verso il cancello. Mi appoggiai allo stipite della porta osservando con gli occhi lucidi la donna andarsene via con la macchina per poi portare lo sguardo sui fogli che le mie mani tremanti stavano reggendo. "Merda." sibilai a denti stretti, entrando in casa e sbattendo la porta per chiuderla.

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