to Tokyo, 2nd part

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Era tardi ormai, e non riuscivo a stare dietro a Zoèlie. Con quelle gambe ossute correva ad una velocità che non mi sarei mai aspettato. S'inchiodò rischiando di frantumare la suola dei suoi stivaletti, e fummo di fronte ad un portone in vetro.

"Che campanello dovremmo suonare?" mi chiese, ancora con il fiatone. Si vedeva che non stava più nella pelle.

"E che ne so." risposi seccato, a stento.

Zoèlie notò che tutti i numeri corrispondenti agli appartamenti possedevano delle lettere straniere, nei nomi di fianco. Quello di Tom non c'era, ma c'era uno spazio vuoto e tentò con quello. Nessuno rispose, però.
Allora premette il numero sedici e chiese se gentilmente potesse farci entrare, sperando che il diretto interessato conoscesse l'inglese. A quanto pare il livello d'educazione e cultura in Giappone non fallisce mai, e acconsentì con un accento impeccabile.
Di corsa facemmo pure le scale, ovviamente. Al secondo piano, un uomo di una certa età s'affacciò alla ringhiera e ci chiese chi fossimo. Evidentemente era il gentile signore che ci aprì il portone.

"Tom Dewling." Lo nominai, in speranza che ci seppe rispondere il numero dell'appartamento.

"32."

Zoèlie corse di nuovo, senza dire il grazie che pensai io a mormorare. La porta numero 32 era di fronte a noi, e il silenzio assoluto anche. Sperai davvero che non ci fosse, ed incrociai le dita dietro la schiena mentre lei pigiava istericamente il campanello e picchiava i pugni sul legno.

"Zoè ti vuoi arrendere-"

La porta si aprì e gli si gettò fra le braccia. Quella sua faccia odiosa affondò nei capelli morbidi di Zoèlie, e la tenne stretta a sé sollevandola da terra per una manciata di secondi. Ero in imbarazzo, ed ero anche disgustato. Odiavo dover rivedere la faccia di quel tipo, credevo di essermene per sempre liberato, ma finché non sarà Zoèlie a lasciarlo andare, allora nemmeno io posso dirgli addio per sempre. Io e Zoèlie conviviamo con le nostre vite.

Baci e abbracci, lacrime e gemiti, ma quel che non mi tornava era la mancanza del tono saccente di Tom. Era strano, nessuna battuta sui miei capelli legati in una cruccia, o nessuna battuta semplicemente sulla mia presenza. Non criticò i pantaloni bucati di Zoèlie e non parlava molto.
Eravamo ancora sulla porta, e quando la socchiuse, capii che c'era qualcosa che non andava.
Zoè parlava e straparlava, e ad ogni frase stampava un bacio in faccia a Tom, mentre lui rimaneva impalato. Decisi di fare qualcosa, tanto per chiarire i miei dubbi.

"Posso usare il bagno?"

"Oh anche io ci devo andare, la tengo da ore." Sghignazzò Zoè, e cercò di farsi spazio fra Tom e l'appartamento. La fermò, afferrandola per il polso.

"Le tubature sono guaste."

"E tu come lo usi il bagno, scusa?" Ovviamente una punta di sarcasmo non guasta mai, sulla mia lingua.

Non trovò scuse, e approfittai del suo silenzio per entrare in casa. Un po' maleducato, me lo fece notare, ma io cercavo qualcosa. Il mio occhio cadde su ogni angolo della casa lussuosa senza trovare niente fuori posto.
Mi diressi alla cieca verso le stanze, trovando il bagno e la camera da letto. All'entrata di quest'ultima trovai un cappotto giallo canarino, e di fianco al matrimoniale erano ordinatamente posizionate delle scarpe tacco quindici, a vista d'occhio, nere.
Zoèlie si stava avvicinando, e la fermai. Non se lo meritava.

"Ha ragione lo smorfioso, il bagno ha tutti i tubi per aria ed è guasto."

Tom mi lanciò uno sguardo confuso, e poi divenne ferito. Ovviamente si pentì della situazione, guardando l'innocente volto di Zoè e ascoltando la sua dolce voce mentre proponeva di andare nel bagno di un locale più tardi, sorridendo.

Ti parlo di Zoèlie. (In sospeso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora