Capitolo 1

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— I miei genitori non accennano a tornare qui ad aiutarmi coi bambini. So già di averti ringraziato mille volte ma, grazie Jen. —– dice Sophie
- A me fa piacere, lo sai. Sei stata fortunata a trovare Trevor. — svio.
—Sì, davvero fortunata. Prima o poi lo sarai anche tu, anzi potresti già esserlo se capissi csa sia successo fra te e David. Perché non ti piace e per quale motivo non ha funzionato?— sbuffa.
E ci risiamo. Sempre la solita storia.
Mi stendo sul divano, guardando le culle dei due bambini poggiate al muro, ai lati del grande salotto.
— Non è il mio tipo, siamo diversi. Non mi piace. — scuoto la testa sconfortata.
— Ti ha fatto del male? Ti ha ferita? —
No. Mi ha solo rifiutata, e ci sono rimasta male.
— Senti, riguardo quella serata che ci organizzaste... Non ti ho detto tutta la verità. — faccio un sospiro — In realtà quella sera, siamo stati al ristorante veramente poco, il tempo di bere un bicchiere di vino, che poi lui mi ha detto chiaramente di non voler stare lì, perché per lui le cose devono nascere spontaneamente senza intralci. — spiego, stiracchiandomi le gambe.
— Mi dispiace, non volevo questo. Ti senti ferita ora. — mi avvolge in un abbraccio.
— Nah, sai come sono fatta. Non mi soffermo su queste cose. —
Bugiarda.
— Comunque, ora sia Trevor che David sono a capo dell'azienda. Non so se te l'ha detto. —
— Non ne sei felice? —
— Sì, altroché. Però non è bello vederli arrivare a casa stressati. —
— Beh, si chiama lavoro. In ogni caso, cosa significa che li vedi arrivare a casa stressati? Dovrebbe rientrare solo tuo marito qui, non anche David. — osservo come il viso della mia migliore amica assuma un sorrisetto birbante.
— Rientrano tutti e due, David vive da solo qui vicino, e a me fa piacere averlo a cena. — si giustifica evitando il mio sguardo.

Non ci credo...
— Se ti fa così piacere. —
Guardando l'orologio appeso alla parete, mi viene in mente che fra poco ho un lavoro da sbrigare.
— Adesso devo andare, il lavoro chiama e ho George da sopportare. — scocciata, raccolgo il mio cappotto blu e una berrettina color panna.
— Chi è George? — domanda stupita.
— Non quello che pensi tu. — rispondo scuotendo le mani facendo segno di no — É il mio capo ed è un vecchio. — disgustata cerco le chiavi della mia auto in borsa, cercando di non farmi venire quel piccolo attacco di panico perché non le trovo al primo colpo e penso di averle perse.
— Tu non me la racconti. Buon lavoro. — schiocca un leggero bacio sulla mia guancia, sorridendo, poi mi dirigo verso la porta silenziosamente, ed esco di casa senza far rumore, per non svegliare i bambini.


— Jen, ci sei? — la voce di George risuona nella mia BMW blu notte.
— Si, avevi detto che dovevo chiamarti, sono tutta orecchie. — .
L'auto sfreccia velocemente per le strade di Boston, è una meraviglia poterla guidare. Ho sempre amato le auto fin da bambina, di ogni genere, da quelle d'epoca a quelle moderne.

Due anni fa, ho potuto comprarne una nuova di zecca, tutta per me, ovviamente del mio colore preferito: il blu. In più, gli interni sono in pelle nera che donano, oltre che un tocco di eleganza, un profumo molto gradevole all'intero abitacolo.
— Volevo avvisarti che dobbiamo fare affari con la Technologies Industries e devi chiedere di David Balistreri. —
Che cosa? Ma cosa sta succedendo oggi? È per caso il David day e io non ne ho saputo niente?
— Non ci può andare qualcun'altro? — non ci voglio andare, e poi proprio di lui devo chiedere.

No, no e poi no, mi rifiuto.
— Sei la più brava a fare affari, e dobbiamo chiedere una collaborazione. Ho sentito dire che lì dentro sono molto difficili da convincere i piani alti. — spiega con tono severo.

— Non si può mandare Matthew del commerciale? Saprà sicuramente gestire al meglio la situazione. –

— Affari mia cara, affari. Ho bisogno di un leone in campo. In questo caso, una leonessa. –

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