Nel viaggio in macchina, i pensieri assalgono la mia mente furiosamente. Una sola cosa mi è stata insegnata da mio padre: mai fidarsi degli uomini, e il primo era lui.
Mio padre non c'è mai stato. Ha lasciato mia madre per poi sposarsi con altre tre donne, ognuna diversa dall'altra. Mi ha sempre ignorato, nonostante io sia l'unica figlia che ha, però va bene così, arrivata ad una certa età me ne sono fatta una ragione e ora sto molto meglio di prima.
La suoneria del mio telefono rimbomba in tutta la macchina, facendomi prendere un grosso spavento. Non mi ricordavo di aver collegato il cellulare all'auto, così da rispondere anche alla guida senza prenderlo in mano. Premo velocemente il tasto di avvio chiamata sul volante.
-Jen! Jen! Verresti a farmi compagnia stasera qui? Trevor mi ha chiamato, dicendomi che ha una conferenza a Tokyo domani, quindi io rimarrei sola...- fa un leggero sbuffo.
-Ehm, Sophie... Stavo tornando a casa, il colloquio con David è stato stressante e io...- mi interrompe strepitando.
-Con David?! HO SENTITO BENE?! Allora mi devi raccontare tutto! Io voglio sapere, hai capito!- dalla voce si capisce che è molto felice, quando io non lo sono per niente.
-Ti racconterò, certo.- ad un tratto mi scappa da ridere.
-Ti aspetto, stasera spettegoliamo un po'.- ridacchia anche lei.
-Va bene, arrivo.- rispondo, poi chiudo la chiamata. Non mi lascia mai sola, anche quando ho molti pensieri che circolano nella mia testa, lei ha questo potere: ascoltarmi e togliere tutta quella sporcizia che la notte non mi fa dormire. E' la mia migliore amica.Per le 20:00 parcheggio l'auto nel vialetto gigantesco.
Non suono nemmeno il campanello, che una "cameriera" apre la porta. Da dove mi ha visto arrivare?
Sophie è nel salotto, per terra, a giocare con due orsacchiotti, animandoli e imitando la voce di un uomo e poi di una donna. Quei due bambini sono proprio fortunati. Se ripenso alla mia infanzia, mi assale la tristezza. Ricordo perfettamente quante volte i miei genitori litigassero prima del divorzio. Urlavano, si agitavano, mentre io, dalla paura, mi nascondevo sotto al letto, tappandomi le orecchie, sperando di poterli non sentire più.
-Non vedevo l'ora che arrivassi qui!- si alza e corre ad abbracciarmi, come se non mi vedesse da anni.
-Sono contenta anche io.- abbozzo un sorriso. I suoi occhi marroni mi sorridono, aspettando un bel racconto da parte mia.
-Adesso metto i bambini a letto, ma tu dopo sei mia!- dice prendendo in braccio Vivienne, cullandola per farla addormentare. Nel frattempo, abbraccio Jonathan fra le mie braccia, coccolandolo per far addormentare anche lui.Dopo circa mezz'ora di ninne nanne, ci sediamo sul divano, distendendo le gambe in avanti.
-Sono sfinita! Quando Trevor è a casa, non so con quale magia, li fa dormire subito!- si tocca la schiena dolorante, poi fa un sospirone. -Non dovevi dirmi niente tu?- mi lancia un occhiataccia, come se stesse dicendo "speravi che me ne dimenticassi, ma non è così".
Un leggero sorriso attraversa il mio volto; le sue espressioni dovrebbero incutere timore, in un certo senso.
-Ho chiamato George, mi ha detto di chiedere di David e di convincerlo a fare una corporazione con noi.- mi fermo e il suo sorrisone scende in uno sguardo serio, quasi deluso. Cosa pensava potesse essere successo?
-E basta? Come ti ha trattato? Avete concluso?- i suoi occhioni si illuminano di nuovo, aspettando una mia risposta.
-Mi ha tratto bene, ci siamo incontrati nella hall, davanti l'ascensore.- mi interrompe come al suo solito con la solita esclamazione di chi già sa come sono andate le cose, "ah".
-Eri in ritardo?- domanda.
-No, ero in orario, mi ha detto che voleva aspettarmi giù. Ah, e ho conosciuto quella Camille, che soggetto.- rispondo infastidita, facendo una smorfia.
-Ormai non la vedo da tempo e sono contenta così. Si è messa l'anima in pace con Trevor. Adesso, però, non cambiamo discorso.- il suo tono di voce assomiglia a quello di una maestra quando ti pone una domanda e non le stai dicendo ciò che realmente vuole sapere.
-Abbiamo discusso sulla corporazione, gli ho mostrato il mio cellulare perché voleva vedere il vetro. Poi, finito l'incontro ci siamo salutati davanti l'ascensore.- cerco di non sorridere, però le guancie mi tradiscono e si colorano di rosso.
-É successo qualcosa!- dice trepidante Sophie.
-È diverso da come lo avevo lasciato tempo fa... Mi hs baciato la mano quando me ne stavo andando, non me lo aspettavo. Ah, non ti ho detto che per concludere la corporazione, mi ha chiesto di uscire a cena, di lavoro.- sottolineo la parola lavoro ma lei già non capisce più niente. Probabilmente si è fermata a "cena".
-Sono troppo contenta! Ti ha invitato a cena!- cerca di reprimere un urlo per non svegliare i bambini, ma è evidente che la cosa faccia impazzire più a lei che a me.
-Di lavoro.- puntualizzo.
-E tu hai rifiutato o accettato?-
-Gli ho detto che ne avrei parlato con George, probabilmente sarebbe stato meglio parlare con qualcuno di superiore, rispetto a me.- spiego con calma.
-Scemenze, dovresti stare tu al posto di George, senza te probabilmente avrebbe avuto pochi affari! Gli dirai di si, vero?- chiede. Io non lo so se voglio accettare, perché da una parte so che non sarebbe solo una cena di lavoro.
-Sono indecisa, ha detto che aspetta una mia chiamata. Quando avrò deciso lo chiamerò.- faccio un grande respiro.
-Prima correre ai ripari,- fa un sospiro, guardandomi con dolcezza, -Dovresti pensare che prima di tutto è per lavoro, e dimenticare quel vecchio appuntamento. É andata male, però questo non significa che con lui andrà male pure una cena di lavoro.- mi sorride amorevolmente.
-Magari potrei dirgli di sì per un caffè, evitando la cena...- dico a bassa voce, come se stessi pensando fra me e me.
-É un'idea, diglielo.- mi suggerisce, facendo l'occhiolino.
-Hai ragione, lo farò.- le sorrido, poi l'abbraccio.
Forse, solo per un caffè, potrò svignarmela e non vederlo più per un po', concludendo l'affare subito.***************
Lo studio di casa mia, l'ho sempre adorato. L'odore della scrivania di legno pervade tutta la stanza e ciò mi rilassa.
Mi siedo sulla poltrona di pelle nera girevole, voltandomi verso la grande finestra che affaccia su un grande parco a Philadelphia. Ho scelto di far costruire la mia casa qui, proprio per la calma che c'è.
Tiro fuori dalla ventiquattrore i documenti spediti da un certo George Nonmiricordoilcognome. Perché non me li ha spediti Jennifer? Mh, indagherò sul conto di questo tizio.
Ripensando a oggi, al colloquio con Jen, mi viene da ridere. Era tesa e sembrava che stesse per caderle il mondo addosso. Credo che ce l'abbia con me, riguardo quella famosa cena... Era un periodo no per me, non volevo stare con nessuna; mio padre ci aveva lasciato da poco e io, essendo l'unico maschio di casa, dovetti essere forte per le mie sorelle e per mia madre.
Mentre comincio a leggere i documenti, squilla il mio cellulare.
Stacey.
Sicuramente sarà successo qualcosa con mia madre.
-Pronto?-
-Davide! Ti ho chiamato per esasperazione. La mamma non fa altro che ripetere sempre la stessa cosa.- sbuffa sonoramente.
-Cosa dovrei fare secondo te? Non può obbligarmi a trovare una donna!- la testa comincia a pulsare.
-Lei pensa che potrebbe morire presto e ci vorrebbe già tutti sposati, soprattutto vuole vedere te sposarsi.- oltre a mia madre, pure lei è esasperata.
-Anastasia, facciamo una cosa, ci aggiorneremo in questi giorni, tu cerca di tenerla calma.- la rassicuro.
-C'è bisogno di te qui, Davide.- il suo accento italiano mi fa ricordare casa. Fra NY e Philadelphia, non incontro mai qualcuno che sappia parlare questa lingua.
-Troverò una soluzione al più presto.- la testa mi sta per scoppiare, e ora, che posso fare?
-Grazie fratellone.- riaggancia.
Ci si doveva mettere pure mia madre con le sue paure. Mi vuole vedere sposato quando non ho nemmeno una fidanzata.
Un'idea in mente ce l'ho ma, so già che lei, mi dirà di no.**************
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Redeem #2
ChickLitDISPONIBILE SU AMAZON (KINDLE E KU) E CARTACEO! Redeem (Riscatto) è il seguito di Hidden. I personaggi principali però sono cambiati: adesso tocca a Jennifer e David confrontarsi. Jennifer Waire, è una donna indipendente, sicura di sè, che non si...