Neville

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Avevo passato l'intera notte a girarmi e rigirarmi nel letto, agitato per quello che sarebbe stato il mio primo giorno di lavoro. Alla fine, stanco per non esser riuscito a chiudere occhio, mi ero alzato e avevo guardato il sole sorgere dalla finestra della mia stanza. Mi avrebbero presentato come il nuovo professore di Erbologia subito dopo l'arrivo degli alunni del primo anno al Castello. La professoressa Sprite era stata davvero gentile nel raccomandarmi come suo sostituto non appena fosse andata in pensione.

Dopo aver preparato lo stretto necessario per quella sera, iniziai a fare un giro per il Castello ancora deserto. Era appena mezzogiorno, mancavano ancora molte ore alla cerimonia di smistamento nelle quattro Case.
Era strano che i corridoi così silenziosi, ero abituato a sentire il chiacchierio degli altri maghi sulle scale a cui "piace cambiare". Ricordando questo aneddoto, mi fermai a metà di una rampa e aspettai paziente che si muovesse. Sentivo i quadri dietro di me borbottare, chiedendosi se fossi fuori di testa o cosa.

Camminai per tutti i corridoi del Castello, scambiando quattro chiacchiere con Nick-quasi-senza-testa; finii per sbaglio nel bagno di Mirtilla Malcontenta e cominciò a riempirmi di domande, costringendomi a scappare dopo appena cinque minuti.
Quando tornai nella mia stanza, controllai ancora una volta se fosse tutto pronto per quella sera e la prima lezione del giorno dopo: la professoressa Sprite mi aveva lasciato tutti i suoi appunti su ciò che aveva già fatto con gli alunni che aveva avuto fino all'anno prima, dandomi così la possibilità di cominciare da zero con quelli del primo anno. Controllai nuovamente l'orario che mi avevano consegnato: alla prima ora avrei avuto i ragazzi del terzo anno di Grifondoro e Tassorosso.

Non mancava molto all'arrivo di tutti gli alunni, così iniziai a prepararmi per la cena e mi diressi nella Sala Grande. Appena ci misi piede mi venne un nodo alla gola: ricordai il mio primo giorno a Hogwarts, l'ultimo giorno del primo anno quando, grazie a me, Grifondoro vinse la Coppa delle Case. Purtroppo, il ricordo più vivido era quello della notte della battaglia, Madama Chips che correva da una parte all'altra per curare i feriti, i morti che aumentavano in continuazione... senza rendermene conto, mi vennero in mente i volti dei miei amici appena mi comunicarono che uno dei fratelli di Ron era morto.
Feci appello a tutte le mie forze e mi diressi al tavolo degli insegnanti con passo spedito, superando lo sgabello su cui si sarebbero seduti i nuovi arrivati un attimo prima di essere smistati nelle Case.

«Hagrid! Che bello rivederti.»
«Neville. Oh, scusa... Professor Paciock. Dovrò abituarmi a vederti seduto a questo tavolo.»
Parlai con Hagrid e altri miei vecchi professori, raccontando cosa avevo fatto dopo il mio ultimo anno da studente. Proprio mentre stavo per dire loro qualcosa sui miei amici, vidi con la coda dell'occhio gli alunni dal secondo al settimo anno fare il loro ingresso nella Sala Grande, prendere posto ai rispettivi tavoli e iniziare a chiacchierare ad alta voce, creando confusione.

Guardai al tavolo dei Grifondoro e il respiro mi si mozzò in gola: c'era seduto tra quelli del terzo anno un ragazzo dai capelli rosso vivo, esattamente come quelli del mio amico e compagno di corso Ron. Mi avvicinai ad Hagrid richiamando la sua attenzione; volevo sapere chi fosse quel ragazzo così simile ai componenti della famiglia Weasley.
«Hai notato anche tu il rosso, vero?» mi domandò cercando di indovinare dove guardassero i miei occhi. Feci di sì con la testa, attendendo qualche informazione in più su quel ragazzo.
«È del terzo anno. Un Weasley, ovviamente! Quello è il colore tipico di quella famiglia. Se non ricordo male, è il figlio di George.» Per la seconda volta nel giro di mezz'ora, mi mancò il fiato in corpo: rammentai che Harry mi aveva detto qualcosa a proposito del figlio di George, ma in quel momento ero troppo sconvolto per ricordare anche solamente il nome.
«Non ricordi come si chiama?» domandai speranzoso, mentre cercavo di ricordare come si chiamasse uno dei nipoti di Ron.
«Fred Weasley Junior. Nessuno di noi si dimenticherà tanto facilmente quel nome.» Mi voltai verso la Professoressa McGranitt, sobbalzando perché non l'avevo sentita arrivare.
«Quel ragazzo porta il nome di un mago che si è sacrificato per salvare tutti noi... Dovrebbe esserne orgoglioso.» mormorai a voce bassa. Fummo costretti a interrompere il discorso: erano appena arrivati i ragazzi del primo anno, chi terrorizzato e chi curioso dell'ambiente circostante.

Tra i nuovi alunni di Hogwarts c'erano Rose Weasley e Albus Severus Potter. Mentre venivano smistati, sentii nominare anche Scorpius Malfoy, il figlio di Draco, che, ovviamente, venne assegnato ai Serpeverde. Sapevo che non appena l'ultimo mago si fosse seduto al tavolo della sua nuova famiglia, la Professoressa McGranitt mi avrebbe presentato come professore di Erbologia.
La cena cominciò e, per tutta la sua durata, mi sentii così fuori posto a quel tavolo che parlavo a malapena. Chiacchierai con coloro che erano appena diventati i miei colleghi, memorizzando i nomi di quelli che erano arrivati dopo che io avevo lasciato il Castello.

Pian piano, i tavoli delle quattro Case si svuotarono; i direttori accompagnarono i nuovi maghi al proprio dormitorio, illustrando lo stretto necessario per non perdersi nel Castello. Con una scusa mi allontanai, anche se in realtà volevo cercare Minerva per poterle chiedere una cosa di fondamentale importanza. Era appena uscita dalla Sala dei Grifondoro quando la trovai.

«Professoressa!»
«Signor Paciock, non sono più la sua professoressa. Può tranquillamente chiamarmi Minerva.»
Imbarazzato, farfugliai qualche parola: mi risultava parecchio difficile darle del tu. Feci una piccola pausa e alzai lo sguardo su quello della direttrice della Scuola e diedi voce ai miei pensieri: «Volevo sapere se era stata istituita una giornata della memoria, per ricordare tutti gli amici e i parenti che molti di noi hanno perso nella battaglia contro Voldemort.»

Vidi il suo volto inizialmente sorpreso, prima di subire una trasformazione e diventare uno sguardo pieno di apprensione. Si avvicinò a me e mi esortò a camminare insieme a lei per i corridoi del Castello, prima di tornare alla Sala Grande dove tutti i colleghi ci stavano ancora aspettando.
«Purtroppo no. Solo noi professori ricordiamo quel giorno ormai, ma credo che sia il momento di far riflettere tutti gli alunni su quello che accadde quella notte di diciannove anni fa.»
«Sono felice che lo abbia preso in considerazione. Ancora non riesco a capacitarmi di quello che accadde quella notte.» sussurrai a voce così bassa che riuscii a malapena a udire le mie stesse parole.
«L'anno passato ricevetti una lettera da George Weasley: mi chiedeva se era possibile chiamare la Sala Comune dei Grifondoro come il fratello scomparso. Pensi che sia una buona idea?»
«Assolutamente sì! Sa, credo che le Sale di ogni Casa abbiano bisogno di essere ribattezzate, e credo di avere in mente anche i nomi adatti per ognuna di esse.» Eravamo ormai di fronte al tavolo degli insegnanti, tutti i nostri colleghi che ascoltavano la nostra conversazione, in particolar modo i direttori di Corvonero, Tassorosso e Serpeverde. Fu proprio il direttore di quest'ultima a domandarmi quali fossero i nomi che pensavo di attribuire a tutte le case.
«Per i Serpeverde, avevo pensato a Severus Piton. I Tassorosso, invece, avranno la Sala Comune intitolata a Cedric Diggory, nonostante non sia morto nella battaglia di diciannove anni fa. Per Corvonero sarà Mirtilla Malcontenta e, per i Grifondoro, Fred Weasley.»

Tutti si scambiarono un'occhiata prima di dare la loro approvazione; la Direttrice della Scuola mi disse che era un ottimo modo per ricordarli e si ritirò nel suo ufficio per istituire un proclama che annunciasse il giorno dei morti nella seconda Battaglia di Hogwarts. Soddisfatto di ciò, andai nella mia stanza, il pensiero del giovane Fred Weasley Junior nella testa: George avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarlo quella notte, e dare il nome del gemello al figlio fu un gesto che nessun altro avrebbe avuto il coraggio da fare, per il semplice fatto che spettava a lui.

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