Respiro profondamente, cerco di non andare nel panico, e abbasso lo sguardo senza dire una parola, vedo che lui si alza, viene verso di me, mi prende per il braccio e mi obbliga a uscire fuori dalla porta. Il corridoio era deserto, si vedevano solo hai lati le macchinette fornite di cibo, quello che io non toccavo da giorni, ma ritorno alla realtà, rispondo «non si preoccupi, mentre ero alla visita il medico mi ha fatto un macello al maglione, non è successo nulla davvero!» cerco di rientrare in classe, ma lui mi prende per il polso e mi dice di mostrarlo, io entro nel panico, sudo e tremo, lui capta subito che stavo attraversando un attacco di panico. Mi rassicura di stare tranquilla e di mostrargli i polsi, mi obbliga a tirare su le maniche, io rifiuto. Vedo il palmo della sua mano appoggiarsi delicatamente sul mio braccio, nessuno me lo aveva mai toccato in quel modo. Rimane scioccato vedendo i numerosi tagli che ho inciso sulle braccia, nota anche la scritta "die". Mi chiede spiegazioni ed io faccio scena muta, le uniche parole che riescono ad uscire dalla mia bocca sono «la prego, la prego, non convochi i miei genitori, per me sarebbe la fine, potrebbe il giorno dopo vedermi nell'ultima pagina della gazzetta». In quell'attimo si sentono i passi sordi dei tacchi, sta arrivando la preside, il professore svelto copre la maglia e mi dice «dai entriamo», mi sento sollevata e dentro me stessa ringrazio l'arrivo della preside. Tutti i miei compagni mi presero in giro dicendo che potevo benissimo morire che a nessuno importava. Ero sempre sola all'ultimo banco, vicino al muro, il mio viso si nascondeva tre le teste dei miei compagni almeno nessuno poteva notare i miei occhi lucidi.