Final Masquerade.

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Il campo da baseball non era molto cambiato, in quei tredici anni.
Ian lo aveva notato facilmente: dopotutto, aveva passato molto tempo in quel luogo, sia quando era un aspirante soldato, sia quando era solo un adolescente eccitato ed emozionato, che spendeva i propri pomeriggi sotto gli spalti con lui.

Quel pomeriggio, il campo era pieno di spettatori arrivati poco prima per assistere alla partita dei loro figli, nipoti.
Ian era lontano dalle prime file, intenzionato a guardare la partita dalle ultime, in modo da non disturbare nessuno.
Ancora ricordava i giorni passati ad allenarsi: chilometri di corsa, flessioni, addominali. Ordini impartiti da un generale che si credeva invincibile, ma che il piccolo Gallagher rispettava, perché voleva diventare importante come lui, un giorno. Anzi, di più.
Era convinto che, se fosse riuscito ad entrare a West Point, sarebbe stato felice come non mai e si sarebbe allontanato da tutto quello che il South Side rappresentava: povertà, vane speranze, nessun futuro.
«Hey, la partita sta per iniziare» gli suggerì una voce, strappandolo dai propri pensieri, tanto che sorrise e annuì.
«Ricordami per chi tifiamo» continuò la voce, dopo che gli allenatori ebbero presentato le due squadre di bambini.
«Tifiamo per quelli che giocano in casa, ovviamente» rispose Ian allegramente, nonostante stesse cercando di sopprimere la malinconia e la paura di incontrare alcune persone...
«E dov'è il tuo preferito?»
L'uomo dai capelli rossi fece vagare lo sguardo tra i vari giocatori delle squadre, ma non riuscì a vedere nulla. I bambini erano tanti e da lontano non riusciva a scorgere bene i loro volti.
«Non lo vedo ancora, hanno anche tutti il cappellino in testa. Posso però dirti che probabilmente avrà dei bellissimi capelli neri, nonostante da piccolo fosse biondo.»
«Davvero? Strano.»
«Già. L'ho sempre pensato anche io» rispose Ian e l'espressione sul proprio volto doveva aver assunto una sfumatura triste, perché l'uomo accanto gli strinse la mano.
«Tranquillo, Joe. È tutto okay» sussurrò, fingendo una smorfia felice.
Il fischio di inizio catturò l'attenzione di tutti i presenti e le due squadre cominciarono a giocare. Si vedevano bambino magri e cicciotti correre per tutto il campo, colpendo palle e cercando di dare il meglio, per evitare di subire le urla degli allenatori.
A venti minuti dall'inizio, la squadra di casa segnò il suo primo fuoricampo e un gruppo di persone si alzò, cominciando ad urlare e ad incitare i bambini a fare sempre meglio.
Dopo altri venti minuti, quando fu di nuovo il turno dello stesso bambino come battitore, la squadra poté esultare per un altro fuoricampo.
«È davvero forte quel ragazzino» commentò Joe, applaudendo. Preso dalla probabile euforia del momento, il bambino saltellò sull'erba e Ian vide il suo cappellino cadere dal capo.
E quando vide una folta chioma di capelli neri spuntare fuori, trattenne il fiato. Da quella distanza, non poteva essere ancora sicuro che si trattasse proprio di lui, però.
«Devo avvicinarmi» sussurrò vicinissimo all'orecchio del fidanzato e appena l'altro annuì, segno che aveva compreso le parole del rosso, Ian cominciò a scendere, facendosi largo tra le persone.
Il gioco riprese e la squadra di casa era in vantaggio di cinque punti; per essere delle piccole pesti, stavano facendo davvero un ottimo lavoro e, se anche la star della giornata non fosse stata il piccolo che Ian tanto cercava di vedere, sarebbe stato comunque fiero di lui.
Ed infatti, quando l'uomo fu abbastanza vicino al campo da poter scorgere bene i giocatori, il ragazzino dai folti capelli neri si rivelò essere uno sconosciuto agli occhi di Gallagher.
Non si perse comunque d'animo, prima della fine, sarebbe riuscito a trovarlo.

Il terzo fuoricampo, prima della conclusione, segnò la vincita della squadra di casa.
Però, la fine della partita significava anche la sparizione dei giocatori negli spogliatoi e Ian non era un parente, non poteva intrufolarsi e cercare un bambino. Sarebbe parso un gesto da maniaci, quindi era meglio evitare.
Avrebbe potuto vedere il piccolo alla sua prossima partita...
«Mamma!»
«La mia piccola stella! Bravo Yevgeny!»
Ian Gallagher rimase immobile, rivolto verso la parte alta degli spalti, verso i quali sarebbe dovuto andare.
In quello stesso momento.
Velocemente.
Non sarebbe dovuto rimanere immobile, con alle spalle Svetlana, che parlava con il figlio che l'aveva appena raggiunta.
Però, la voglia di rivedere quella piccola peste era troppa ed Ian, nonostante tutto, non riuscì ancora a muoversi, sperando di poter sentire ancora un po' della loro conversazione.
«Non ho battuto neanche un fuoricampo...» si lamentò Yevgeny e il rosso desiderò di poterlo abbracciare per dirgli che non importava, che era stato bravo ugualmente.
«Non importa, ometto, hai fatto comunque un ottimo lavoro di squadra.»
All'inizio, Ian non riconobbe subito quella voce, ma poi quando parlò di nuovo, capì bene a chi appartenesse: Mandy.
Si sentì il cuore pressato in una morsa, peggio di quando aveva ascoltato la voce del bambino.
"Sei un uomo morto, Ian Gallagher", aveva annunciato tanti anni prima, Mandy Milkovich: quale altra amicizia sarebbe potuta nascere in modo migliore?
«È stato bravo, vero Mickey? Dillo anche tu.»

Final Masquerade | GallavichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora