7. Volantino

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Si sveglia con la pelle rovente.
Le coperte devastante, crollate su un verso del letto. Si passa una mano sulla guancia con i polpastrelli ancora intorpiditi dal sonno, il fiato caldo.
Le esce un breve rantolo dalla gola, come un gemito seppellito sotto strati di indefinito.
Piedi umidi e nudi, cammina piano sul pavimento gelido.
Tremiti lungo la spina dorsale.
Si sfila veloce la felpa con ancora l'odore di Niall addosso. La lascia cadere per terra, con il tallone la pesta, non ci fa caso.
La camera è buia, c'è puzza di respiri lenti, testosterone, tabacco bruciato.
Apre la porta e uno sbadiglio le scappa dalle labbra secche. Sbatte le palpebre forte, la luce della mattina l'abbaglia e la fa intirizzire.
Gli occhi sono opachi, la vista un po' sfocata. Nel giro di poco torna tutto normale, il corpo si sveglia.
Si ritrova nel salottino: Le finestre sono tutte spalancate, l'aria metropolitana intrinseca di gelo la fa irrigidire. La TV è accesa, il volume è basso, un sussurro per non svegliare chi dorme.
Sul divano dalla fodera stracciata, un corpo stravaccato a occuparlo. Gambe lunghe e fini, appoggiate contro il tavolino basso di legno economico.
Gambe che riconducono a un torso curvo, rigido. Vestito da un maglione scarlatto, sbrindellato e sfilacciato, del medesimo colore delle labbra del proprietario.
Harry sta sorridendo.
"Ciao" le dice, sereno.
Frida sbatte le palpebre e indietreggia di un passo. Respira forte mentre corruccia la fronte.
"Ciao - ribatte, la voce le esce incrinata ancora per il sonno - Che ci fai qui?"
Il sorriso del ragazzo tentenna appena.
Lo guarda mentre si passa una mano sulla fronte, le dita nodose aperte. Alcuni riccioli bruni si alzano scomposti, poi cadono leggeri ad incorniciargli le tempie.
"Visita di passaggio", ha un'espressione pacifica nel volto cereo.
Frida alza un sopracciglio, soppesa le parole, non ci crede. Eppure annuisce e sorride, ha fame e i fatti di Harry non le interessano.
Cammina verso la cucina, le mani sui fianchi. La pelle se la sente calda; indossa una canotta e l'aria troppo frizzante le sta facendo rizzare i peli biondi delle braccia.
Sta per aprire il frigo quando "E tu non dovresti essere a scuola?" sente Harry dire.
Si gira trafelata, gli occhi perplessi. Ha la mano sinistra salda sulla maniglia dell'elettrodomestico, la testa girata quel tanto da poter avere una visuale del ragazzo. Si è alzato e Frida nota con sgomento che è alto. Così alto che con quella magrezza sembra un foglio vissuto accartocciato su se stesso.
Fa un mezzo sorriso e "Già, dovrei" commenta.
"Però non ci sei"
Harry le sta andando in contro. Si appoggia con i reni contro il bancone. Ha un'aria sbarazzina con quelle labbra inclinate storte, l'espressione di chi sa stare al mondo.
Frida si stringe nelle spalle, saltare scuola non è un reato. Lo fanno tutti.
"Niall dov'è?"
Con un cenno del mento Harry indica il tavolo. Dietro il retro di un volantino delle pizze, in calligrafia disordinata, c'è scritto "Mi hanno spostato il turno, non fumate roba senza di me"
Frida alza un sopracciglio e finge un sorriso che di gentile non ha nulla.
Si gira verso il ragazzo, il foglietto ancora tra le mani per poi "Il frigo è vuoto e io ho fame" dire risoluta.
Harry alza le spalle, con un gesto veloce si gratta appena l'angolo della bocca. "Andiamo a fare colazione fuori?"
Il modo in cui lo dice non sembra una domanda, una richiesta che aspetta un permesso. Ma sta sorridendo, Harry, anche con gli occhi. A Frida la gente che sorride troppo spesso non piace, le fa accapponare la pelle. Le sa di acqua sporca, fangosa.
Però annuisce e si inumidisce le labbra.
"Mi vesto"

Cammina con gli occhi socchiusi.
Come se avesse il dono di camminare su una corda. Un'equilibrista che tenta di sopravvivere. E forse vive pure per morire.
Cammina con quegli occhi socchiusi, e a Frida vorrebbe prenderlo per le spalle ampie, scuoterlo e obbligarlo a guardarla.
Ma Harry ha gli occhi socchiusi, e lei non riesce nemmeno a identificare il colore delle sue iridi.
Colore indefinito: forse azzurre, verdi, grigiastre.
C'è un sole bellissimo che le scalda le guance morbide, proiettando ombre affusolate delle sue ciglia lungo lo zigomo.
Stanno camminando per Brixton, vestiti di morte, da funerale. Nero sulla maglia di lei, scarpe fuliggine ai piedi di lui.
Le mani fredde che si sfiorano appena. Frida le scosta, quando percepisce il suo dorso strisciarle contro il palmo.
"Quindi cosa fai nella vita?"
Alla fine si decide a dire; lo guarda di traverso mentre l'aria sferza leggera, pacifica.
Harry sorride piano, girandosi verso di lei col viso, e con una mano si ripara gli occhi dal sole.
Verdi.
Di un verde irruente, svergognato.
Frida sbatte le palpebre, inconsapevole del gesto. Vede ancora la condensa del suo fiato infrangersi nel chiaro della mattina. E si stringe nelle spalle, con le braccia sotto il seno, a preservare quel calore al petto che sta si sta stemperando con troppa facilità.
"Studio, lavoro, fotografo e roba del genere"
Ha una voce metallica, graffiata. Forse dal sonno ancora visibile nelle sue occhiaie turgide. Forse di suo, che quella voce meccanica è un suo marchio di fabbrica. Si ritrova a guardarlo, a rendersi conto di aspetti che non aveva mai avuto l'occasione di notare. E forse - maledetti forse - forse pensa sia persino bello.
Però Frida annuisce piano, infila le mani nella tasca della felpa e distoglie lo sguardo.
Finge un sorriso, un minuto e ventotto secondi dopo esatti, se lo sente già più suo.
Ha il fiato corto; Harry con le sue gambe lunghe va così veloce, fa fatica a tenergli il passo. Frida rotea gli occhi, il cuore che batte forte, soppesando le possibilità di dialogo. Respira vigorosa: deve essere per lo sforzo.
"Cosa fotografi?"
"Di tutto."
Gli lancia un'occhiata fugace, poi guarda dritta davanti a sè. "Non sei uno di tante parole."
Harry sorride ma non dice nulla. Le labbra inclinate appena. Il sorriso inadeguato di uno che alla fine capisce sempre tutto.
"È una particolarità di noi fotografi."
"Far sembrare chi vi sta attorno idioti che parlano a dei muri?"
Harry la guarda a testa inclinata senza dire nulla, poi sospira e "no" dice, questa volta il sorriso che fa è palpabile, quasi divertito.
Svoltano per Granville Arcade, le bocche cucite e il respiro che esce dai loro nasi come una nuvola di zucchero filato.
"Quindi?"
Frida lo fissa curiosa, non le piace quando lasciano i discorsi a metà.
"Eh?"
"Voi fotografi - sorride furba, con le labbra mezze sollevate - Che dono avete?"
Harry si inumidisce le labbra, continua a guardare dritto davanti a sé. Ha una postura scomposta, la schiena ricurva, come se con un macigno sulla schiena. Poi sospira piano.
"Nulla - dissente - Solo non ci piace parlare, preferiamo dire ciò che pensiamo in altri modi"
Al che Frida non ribatte; non vuole sapere altro.
La città è sveglia, piena di turisti e persone in ventiquattro ore. Gente che gesticola peggio di italiani, vociare grassi e squillanti uniti a formare una poltiglia di quotidianità.
Harry calcia una lattina sotto i suoi piedi, la guarda rimbalzare sul cemento e "Come mai non sei a scuola?" fa.
"Non avevo voglia - Frida tira su col naso, sistemandosi i capelli velocemente dietro il collo - Perché? Tu non hai mai saltato lezione?"
Harry aumenta il passo, le mani incastrate nelle tasche dei jeans terribilmente attillati. Frida si ritrova di qualche passo indietro. Gli guarda la schiena rigida e ansima, infastidita.
Lo raggiunge poco dopo, le parole confuse dal fiato accelerato. "Guarda che le brioche non finiscono, puoi anche rallentare."
Cerca di mandare giù il groppo in gola, si sente il toast che ha mangiato ieri sera risalire.
"Scusami - dice piano, le lancia un'occhiata lampo e i passi li fa più corti - Non mi rendo conto di andare veloce"
"Quanto manca?"
"Poco - ribatte - ti dispiace se andiamo da Caffè Nero? Devo vedermi con Louis"
Frida si ferma di botto. La bocca socchiusa e gli occhi allucinati. Abbassa lo sguardo sul suo corpo, osserva la felpa larga di Niall e i pantaloni intirizziti sporchi di fango alle caviglie. Sfrega le mani sui fianchi, agitata.
"No - afferma - Cioè, sì che mi dispiace. Non mi va"
Harry la guarda a testa inclinata e si scombina i riccioli morbidi con le mani. "È una cosa veloce e ti offro la colazione - sospira e il fiato si perde nell'aria - Non puoi dirmi di no"
"Sono vestita da pezzente, sembro una matta"
Adesso la sta guardando con le sopracciglia folte sollevate e una ruga sulla fronte a beffeggiarsi della sua infantilità. Le dita a torturarsi il labbro.
Quando parla, scandisce piano le parole; gli escono mescolate da un frullarsi di lingua schiacciata contro il palato.
"I vestiti nascondono troppo bene"
E la bocca di Frida si chiude, mentre un brivido le scivola lungo la spina dorsale. Le mani che non sanno più cosa afferrare, le pupille stravolte dalla confusione.
Si ritrova a rantolare un 'Che vuoi dire?', l'attenzione tutta verso gli occhi di Harry.
Occhi verdi, sfrontati, oscurati da un sapore così amaro da renderli bellissimi.
"Quello che ho detto - sorride senza divertimento, sembra sfinito, prosciugato di un secolo in quel viso tutto fossette e zigomi marcati - Possiamo andare adesso?"
Non aspetta nemmeno una risposta, ha già iniziato a camminare quando Frida riesce a respirare.

Erba Cattiva | One DirectionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora