12. Riflesso

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Per tutto il resto della cena, Frida ha ingoiato cibo, acqua, amarezza. Ha tenuto gli occhi puntati contro il piatto, le gambe accavallate, la testa sulle spalle.
E, complessivamente, è andato tutto secondo i piani: Ha fatto la brava bambina.
Certo, è scivolata un paio di volte, si è fatta scappare qualche frecciatina, ma è stato tutto a scopo di autodifesa. Come a proteggersi da un eventuale cataclisma emotivo. Ma ora, ora la serata sta volgendo al termine.
E fino ad adesso, le portate di carne, patate e quant'altro Frida le ha dovute spezzettare, frantumare con la forchetta, la dedizione di un chirurgo che opera a cuore aperto.
Ora invece si sta passando le mani sul viso, che è bollente, e si rende conto di quanto sia difficile respirare con la camicia di Leah addosso.
"Prendi tu i piatti, vero?"
Trattiene il fiato mentre guarda sua madre. I suoi occhi si posano sul viso di Teresa, impreziosito da trucco elegante. E sul collo lungo, sul sorriso tirato in quelle labbra troppo simili alle sue.
Poi, poi corrono sul tavolo. E notano il dolce.
Leah è in piedi, non dice nulla. Ma ha le mani sui fianchi, il viso deformato da un'espressione clinica, seria, e tutto ciò rivela molto sulle sue emozioni attuali.
Per questo Frida annuisce. Per questo non chiede: "Perchè proprio io?"
Già, perché proprio lei? Mica è stata sua l'idea di invitare Harry lì. Lei nemmeno voleva aggregarsi, a quel teatrino. Lei non aveva alcuna intenzione di coinvolgere un estraneo in quella farsa, non voleva dire bugie, bugie, menzogne, solo per presentargli la sua, di famiglia.
Però si alza. Movimenti flemmatici, con le mani aggrappate al tavolo per fare leva, perché le gambe non se le sente. Non se le sente, e tremano un pochino, ma non come il Continente Giallo, non questa volta.
Il motivo è semplice, il traguardo è alle porte. Massimo un'ora. Un'ora e sarà tutto finito.
Ma: "Posso prenderle io", Harry Styles mostra un sorriso cordiale, senza svelare i denti, poi dice: "Già che devo prendere il vino, non è un problema"
"Non dire sciocchezze, caro."
Teresa scuote la testa, prende il coltello dal tavolo, ne ammira la lama - ci vede un riflesso? -, poi sospira. Poi sospira e cede l'utensile a Leah.
E dice: "Taglia la torta, tesoro."
Dice: "Frida prendi le stoviglie."
Frida annuisce ancora, poi lancia uno sguardo ad Harry. Lui che si sta alzando dalla sedia, che sta srotolando quel suo metro e ottanta e passa d'altezza, che sta arricciando i polsini della camicia, che sta mettendo in mostra i suoi tatuaggi da teppista, da ragazzaccio maledetto.
Che adesso sta guardando Frida; sta guardando Leah; sta guardando chissà dove. Nelle sue iridi c'è solo una vaga foschia, così densa, illeggibile, da occultare ogni sintomo d'emozione.
Harry Styles dice qualcosa. Harry Styles nascondendo le mani dietro la schiena, imita un inchino, poi sorride.
E sempre questo fantomatico Harry Styles, l'uomo di casa Parker dato per assodato ormai, adesso segue la piccola bambina da accudire.
Frida i passi dietro di lei non li sente, mentre si sposta verso il salottino. Anche se l'area è spaziosa, anche se è tutto un open space e c'è solo un piccolo muro a dividere i due interni, anche se percepisce un vago dialogo tra Leah e sua madre, Harry Styles non lo sente, alle sue spalle.
Non si accorge di lui nemmeno quando si alza in punta di piedi e apre una mensola e alza lo sguardo alla ricerca del servizio di piatti più bello.
Il fatto, però, è che ha appena il tempo per lasciarsi scappare un sospiro, uno di quelli pesanti, afflitti, che incrocia i suoi occhi.
Le iridi verdissime di Harry Styles sono lucide, sfrontate, proiettate senza vergogna nelle sue.
Ed adesso, Harry Styles addirittura sorride sghembo, mentre si sporge in avanti, nemmeno troppo lontano da lei, e afferra con quelle sue mani nodose una bottiglia di vino dall'aria costosa.
Sembra quasi farsesco, mentre continua a tenere gli occhi su di lei, su Frida, quasi con provocazione, mentre sorride e sorride e sorride un sacco, dando vita a quelle fossette - crateri - sulle sue guance lisce.
Frida non lo sa perché pure lei stia stendendo le labbra, le stia arricciando per non scoppiare a ridere così, senza motivo. Non lo sa, sul serio.
Gli dice di smetterla.
Dice piano, cercando di non ridere: "Sei inquietante, Harry."
E' strano pronunciare il suo nome. Chiamarlo. Riferirsi a lui con tale spontaneità, giocare con quelle lettere. Dargli un suono attraverso voce e labbra e lingua che tocca il palato.
Ma Harry continua, continua a sorridere in modo così buffo, stranissimo, che a Frida scappa un ghigno. E i piatti lì, quelli del servizio bello, non li prende.
Non li calcola più.
Perché Frida adesso tutto ciò che vuole, che vorrebbe, sono solo trenta secondi.
Trenta secondi per tirare fuori il singulto di sospiri incastrati tra le pareti della gola. Espellere quella matassa di caos, tormento, confusione acre.
Lasciarsi andare.
Trenta secondi dove sorridere e basta.
E allora, allora con la credenza ormai alle spalle, Frida si allontana da quel servizio di porcellana.
Fa passi che acquisiscono sfumature sempre più sicure, nitide, brillanti.
Sfumature persistenti, che lasciano scie, orme incancellabili.
Fa passi così, dettati dal momento, che la portano dritta verso di lui.
Harry ha le mani affusolate lungo i fianchi, non dice nulla, la guarda, e basta - basta, vero? basto? - quello. Ha i capelli ordinati, i ricci bruni sistemati dietro la fronte, a lasciar scoperto quel terreno pallido e lucido. Le vene eteree sui quei polsi stretti; blu, verdi, gialle, che pulsano sotto la pelle sottile, pelle impreziosita da tatuaggi bellissimi.
Harry che indossa un completo elegante, da perfetto imbecille ingessato, non dice nulla ma sorride comunque.
Un po' meno di prima, un po' più serio, un po' più intensamente.
Frida lo fissa dall'alto al basso, morendosi le labbra lucide di saliva, gonfie da recenti morsi di disperazione.
E occultando la compassione con un sorriso, dice:
"Cosa non sei disposto a fare."
Pur di fare bella figura con mia madre.
Pur di accontentare la principessa Leah.
Pur di farti accettare, nascondendo chi sei veramente, sminuendo la tua essenza.
Lo dice a voce bassa, per non farsi sentire da nessuno, perché c'è solo una parete a dividerla dalla finzione.
C'è solo una piccola parete, ed in quella piccola stanza, lontano da tutti, lei è solo Frida e lui è solo Harry.
Eppure Harry solo Harry, aggrotta le sopracciglia. E questa volta, le sue labbra scure si tendono, ma non in un sorriso. E' come se.. se agissero di loro spontanea volontà, senza una logica precisa. Come se tutto ciò che Harry volesse fare adesso non abbia nulla a che vedere con un sorriso.
Lo dicono i suoi occhi. Le sue spalle tese. Il suo respiro pesante.
E poi? E poi, poi, poi: succede l'inaspettato.
Harry non prende alcuna bottiglia, quella rimane lì, sul tavolino, ad assistere inerme alla scena.
Succede che le sue mani, invece che stringersi contro la consistenza fredda dello Champagne, si aggrappano alle braccia di Frida.
La stringono con decisione, ma attente; la stringono con forza, costringendola a spostarsi. Il viso di Harry è un concentrato di emozioni ostili, adesso.
Frida non riesce a respirare. Non...Si chiede cosa stia succedendo. Non riesce a capire come sia successo, come sia possibile che Harry Styles adesso la stia tenendo incastrata sotto il suo corpo. Di come l'abbia posizionata con le spalle quasi contro il muro. Contro quella parete di cemento che li divide dalla cucina. E lei è costretta ad indietreggiare, a fare un piccolo passo indietro, pur di evitare di sentirselo addosso.
Ció nonostante, il fatto è che potrebbe continuare a farsi mille domande, continuare a strizzare gli occhi come sta facendo ora, perché è tutto così fuori luogo, improbabile, incomprensibile anche solo da comprendere.
Ma quei trenta secondi, quei tenta secondi verrebbero compromessi. Quelli da lei così ambiti, li perderebbe. Li sprecherebbe. Li sprecherebbe, rinunciando alla possibilità di sentirsi così, così come adesso, con qualcuno così stretto contro da non percepire nulla fuorché calore.
Come il fiato di Harry che ora le s'infrange sulla carne, la scotta; che le sta bruciando il collo.
Frida non li vede, gli occhi di Harry Styles. Non ci riesce perché lui ha la bocca rossa, morbida, umida, che le sfiora il lobo dell'orecchio.
Il viso nascosto tra la cuna del suo collo, lo spazio niveo tra il mento e la clavicola.
Frida non riesce a respirare, mentre sente Harry Styles decisamente troppo vicino. Mentre lo sente contro, quasi a soffocarla.
La soffoca anche mentre dice piano, contro la sua pelle: "E tu?"
E' un sussurro. E la voce, con quella sua cadenza da provincia, adesso è roca, bassa, così intensa da lasciarla in apnea.
Frida sente solo le sue labbra contro il lobo, il fiato contro il collo.
E i brividi sotto pelle.
I brividi sotto pelle, mentre Harry le sta alitando contro. Non la tocca. Le mani del ragazzo sono lontane dal suo corpo, non le stanno stringendo i fianchi, né le tengono saldo il mento. Non c'è alcun contatto, ma è come se ci fosse, perché Frida sta sudando freddo, ancora con gli occhi spalancati, mentre sente il calore corporeo di Harry bruciarle ogni suo lembo di carne.
Sente bruciare tutto, ardere, carbonizzarsi, mentre lui le respira ancora e ancora contro. E le dice, piano e cauto, come una ninna nanna dolcissima: "E tu? Tu che cosa sei disposta a fare?"
Non fa in tempo a sbattere le ciglia, Frida, perché Harry Styles si tira subito indietro.
Non indietreggia però, ha gli occhi ancora dritti nei suoi, un cipiglio sulla fronte pallida e le labbra porpora socchiuse. La guarda come se aspettasse davvero una risposta, con aria concentrata, in attesa.
Frida invece lo guarda a corto di parole, con il fiato tremante, la confusione leggibile negli occhi.
Sembra un cerbiatto spaventato, uno di quelli braccati da lupi in astinenza di cibo, quelli usciti da lunghi periodi di carestie, carestie atroci conosciute da chi le ha sofferte.
E Harry non sorride, adesso. Non dice nulla, parla con gli occhi. Basterebbe allungare una mano, per toccarla, per sentire come Frida stia tremando.
Una, per spostare i capelli che le sono finiti sugli occhi. Per sistemarglieli dietro le orecchie, accorto e gentile, a fior di polpastrello.
Basterebbe una mano, per sentire il calore delle sue labbra, l'aria che ci filtra attraverso con affanno.
Basterebbe poco, pochissimo, per riempire quel momento di vuoto.
Per riempire tutto, tutto quanto.
"Ma quanto tempo ci vuol-"
Sei, sei pupille dilatate. Sei pupille dilatate, naviganti in iridi di tonalità differenti. Di sfumature diverse, di emozioni contrastanti.
Leah è immobile, impietrita, la bocca socchiusa e lo sguardo assente.
E che adesso, quel suo sguardo è un frenetico saettare tra Harry e Frida. Tra loro che appaiono così vicini, così così così chissà cosa. Il cuore di Frida batte veloce, febbricitante.
Batte così forte, che lei ci impiega un paio di secondi in più a reagire.
Quindi respira forte, respira a pieni polmoni, Frida, e fa uno scatto verso destra, sfuggendo da Harry, sfuggendo dall'attenzione di Leah. Si affretta a prendere le stoviglie, quelle di poco conto, perché adesso ci sono importanze maggiori.
E a sguardo basso, attenzione universale addosso, Frida Parker scappa verso la cucina.
Con le guance in fiamme, sentendosi sporca come un verme, ha solo un'immagine ben precisa in testa.
Leah che guarda il vuoto.
Leah che guarda il vuoto e vede ciò che il suo morboso amore le detta.

Erba Cattiva | One DirectionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora