Seguendo il destino

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«Mi stai deludendo molto».
L'uomo lo guardava con uno sguardo severo, era visibilmente nervoso e a stenti tratteneva la furia.
«Padre, vorrei soltanto fare ciò che mi piace. Sento che combattere è la mia strada, voglio aiutarela mia terra, ed è per questo che voglio diventare un Cavaliere di Drago».
«Tu devi diventare un astronomo, è il mestiere della tua famiglia da anni ed è anche il mio».
«Lo so, me l'hai detto più volte, però...», non fece in tempo a concludere che uno schiaffo violentolo colpì su una guancia.
Per poco non perse l'equilibrio.
«Va bene, fai pure quel caspita che ti pare, ma sappi che tu qui non ci metterai piede, mai più!».
Gli occhi viola saettavano di rabbia, e il giovane abbassò il volto. Si alzò e si diresse lentamente verso la porta d'ingresso. Guardò il padre un'ultima volta: si stava passando una mano tra i capelli, e si voltava in tuttele direzioni pur di evitare il suo sguardo. 
Il ragazzo si sentì ferito, eppure decise di assecondare i suoi desideri varcando quella porta. Si ritrovò sulla via in cui abitava, a Seferdi, una strada come tante altre nella città.
Era l'inizio di una nuova vita.

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Handir riaprì gli occhi. Aveva avuto di nuovo un flashback. Quei ricordi che tornavano improvvisamente
alla mente lo facevano impazzire, perché difficilmente riusciva a scacciarli.
Si guardò intorno. Era sera e Soraya stava dormendo. Cercò di dormire anche lui, cullato dall'abbassarsi e alzarsi ritmico del torace del suo drago, a cui si era appoggiato, come faceva sempre quando doveva passare le notti all'addiaccio.
Prima di addormentarsi, però, ripensò a suo padre, che l'aveva cacciato di casa quando aveva
tredici anni e gli aveva espresso chiaramente il suo desiderio di diventare Cavaliere di Drago.
Ora aveva diciassette anni, e non vedeva quell'uomo da allora. Sua madre l'aveva vista l'ultima volta due anni prima, mentre era di passaggio a Seferdi.
Dopo quell'episodio era riuscito a raggiungere Makrat, nella Terra del Sole, con molte difficoltà, e ad accedere alla prestigiosa accademia dei Cavalieri di Drago.
Inizialmente Draen, il Supremo Generale, non l'aveva visto di buon occhio: non c'erano molti studenti mezzelfi all'accademia, ma Handir era riuscito a dimostrare le sue doti di combattente, in particolare con la spada e il pugnale. Così iniziò la sua "carriera" che lo avrebbe portato a diventare Cavaliere a soli quindici anni, dopo un anno di addestramento in accademia e uno di apprendistato.
Durante quest'ultimo periodo, che aveva trascorso in parte nell'accampamento in cui alloggiava insieme al suo maestro, aveva imparato ad avvicinarsi ai draghi e ad entrare in contatto con loro. Ci era voluto molto tempo, ma ce l'aveva fatta, alla fine. E si era affezionato a uno di loro in particolare: Soraya. Era un giovane esemplare e non aveva ancora avuto un cavaliere, perciò non ebbe problemi ad ottenerla. I due entrarono subito in perfetta sintonia, e Handir potè ritenersi un Cavaliere di Drago completo. Essendo in tempo di pace, non aveva grossi incarichi. Si trattava per lo più di ronde principalmente a Makrat o a Laodamea, nella Terra dell'Acqua. Un giorno, Draen lo fermò nei corridoi dell'accademia.

«Ti devo parlare».
Il mezzelfo fece un piccolo inchino per mostrargli rispetto.
«Cosa desiderate, Sua Eminenza?»
«Ho un nuovo compito per te, ma non uno dei soliti», l'uomo lo guardò impassibile.
«Mi dica tutto».
«Dei Cavalieri hanno notato degli strani movimenti nella Terra del Vento, sulle rive del Saar.
Voglio che tu vada a controllare. Partirai domani, è tutto pronto».
Il ragazzo annuì e non aggiunse altro.
«Ti aspetto nell'arena dei combattimenti, domani all'alba».
«Come desiderate, Signore», rispose.  

Il Supremo Generale lo salutò con un rapido cenno del capo, poi si allontanò rapidamente. Il giovane
si passò una mano sui capelli blu arruffati, sfiorando le orecchie a punta, cosa che faceva
sempre quando era pensieroso.
Osservò Draen finchè non scomparì, inghiottito dal dedalo di corridoi dell'edificio. Dopodichè si avviò
verso il suo alloggio, mentre fuori il buio calava rapidamente sulla Terra del Sole.
L'indomani, Handir partì senza troppi convenevoli; con sè portava una bisaccia con le scorte di cibo
per il viaggio: qualche striscia di carne secca, un po' di formaggio e del pane nero.
Me lo farò bastare fino a Salazar pensò mentre sorvolava foreste e villaggi, e sotto di lui la tutto scorreva tranquillo, la vita e la morte che si alternavano ogni giorno in un unico ciclo.
Ci mise una decina di giorni ad arrivare a Salazar, la città-torre capitale della Terra del Vento.
A malincuore lasciò Soraya poco lontano dal posto, sussurrandole parole di conforto e chiedendole
di aspettarlo, e si avventurò al suo interno.
I piani della torre erano tutti simili, brulicanti di vita. C'erano bambini che si rincorrevano, mercanti che elogiavano la qualità delle loro merci a gran voce, botteghe varie, locande dalle quali uscivano grida, brindisi e odori invitanti di zuppa, salsiccie e cibi vari. Tutto quel caos lo colpì, però gli diede un senso di serenità. 

A Seferdi non era così, tutti erano più composti e i più piccoli passavano più tempo a studiare o
allenarsi che a giocare; lui stesso lo ricordava molto bene, suo padre gli faceva studiare in
particolar modo l'astronomia, nonostante lui non volesse.
Scacciò dalla mente quei pensieri ed entrò in una locanda. Era affollata, c'erano molti umani, naturalmente,  ma anche gnomi che discutevano dei loro affari e qualche ninfa. Il bancone era di legno piuttosto grezzo e  dall'altra parte c'era un uomo particolarmente tarchiato che appena lo vide gli puntò addosso gli occhi porcini.
«Desiderate?», aveva una voce dura e profonda ma si era rivolto a lui in tono abbastanza gentile.
«Vorrei una zuppa e un po' di pane».
«D'accordo, accomodati pure», disse indicandogli un tavolo libero.
Handir annuì e lo ringraziò, poi prese posto. Una decina di minuti dopo una ragazzina che non doveva avere più di quindici anni, dal viso paffuto, i capelli neri e lisci e vivaci occhi marroni gli servì ciò che aveva ordinato.
«Ecco a te», gli sorrise. «Ti ringrazio», le rispose ricambiando il sorriso.
Nella zuppa galleggiavano pezzi di carne e patate che gli fecero venire l'aquolina in bocca. Era affamato,
e divorò tutto velocemente. Pagò, aveva cambiato precedentemente alcune delle sue carole con degli
scudi, la moneta di quella Terra.
Prese anche una stanza e passò lì la notte. L'indomani fece scorta di cibo in una bottega vicina e si
apprestò a partire.
Due giorni di viaggio sorvolando le immense praterie tipiche del posto, e arrivò. Il Saar gli si presentò
davanti in tutta la sua grandezza, l'acqua era così calma che sembrava quasi che non si muovesse.
Controllò, come gli era stato chiesto, ma non trovò nulla di strano. Stanò un gruppo di banditi,
che fuggirono terrorizzati lontano da lì. Sono questi gli strani movimenti avvistati dagli altri
Cavalieri? Pensò dubbioso, e proseguì. Fu dopo qualche ora che ebbe l'idea.
Guardo l'altra sponda del fiume, che si intravedeva appena. Decise di provare a raggiungerla, dopo
sarebbe tornato indietro e avrebbe cercato un posto in cui dormire.
Saltò in groppa a Soraya e si apprestò alla traversata. Non ci impiegò molto. Quando arrivò scese
agilmente dal drago, mentre l'animale si adattava a quel poco di spazio che c'era tra gli alberi e l'acqua.
Notò che la vegetazione era molto diversa rispetto a quella del Mondo Emerso, dopotutto era la prima volta che visitava le Terre Ignote. Vide grossi fiori carnosi, farfalle multicolore con sei ali e più grandi della norma, bruchi giganti, scoiattoli con una coda cortissima e gli incisivi molto allungati, un gatto con tre code e gli occhi esageratamente sproporzionati, tanto che lo spaventarono, e via dicendo.
Si incamminò costeggiando il Saar. raccomandando a Soraya di non muoversi, e si fece strada con il
pugnale, tranciando di netto le piante che gli ostruivano il passaggio.
Fu allora che la vide.
Era una creatura bellissima, aveva lunghi capelli verdi e lisci sciolti sulla schiena, dai quali spuntavano due orecchie a punta come le sue, un viso dai tratti dolci e due grandi occhi viola.
Era molto magra, indossava una semplice tunica con qualche ricamo, una rustica corda legata sui fianchi, che metteva in risalto il suo fisico; i piedi nudi erano immersi nel fiume.
Era assorta, fissava il tramonto che creava bellissimi riflessi sull'acqua, ma il mezzelfo era troppo preso da quella creatura.
Non avrebbe saputo dirlo con certezza, perchè non ne aveva mai visti, ma ipotizzò
che fosse un'elfa, vista la somiglianza con i suoi tratti.  Non ho mai visto nulla di simile, è un dono degli Dei non potè fare a meno di pensare. Fece un passo falso e calpestò alcuni ramoscelli, che scricchiolarono. La ragazza si voltò di colpo, e Handir rimase pietrificato dal suo sguardo.  





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