Un nuovo inizio

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«CHE COSA STAI FACENDO?»
Earine nemmeno badò a quel grido. Continuò a gettare convulsamente indumenti vari nella sua bisaccia da viaggio, finché sua madre non la prese per un braccio.
«Dimmi subito cosa diavolo stai facendo», le intimò con un'apparente calma.
L'elfa si liberò dalla sua presa e continuò nel suo intento.
A quel punto la sacerdotessa scoppiò, «EARINE, ORA BASTA!»
l'afferrò e la girò verso di sè, obbligandola a guardarla in faccia. La prima cosa che lesse nella sua espressione indurita fu rabbia repressa e tanta, tanta tristezza.
«Esigo spiegazioni», sibilò, gli occhi viola fin troppo gelidi e seri.
«Me ne vado», le disse.
«TI E' ANDATO DI VOLTA IL CERVELLO?», urlò la donna.
«No. Vado nell'Erak Maar». Solo a sentire quelle due parole la madre rabbrividì, poi insorse:
«è così allora, eh? Vuoi mescolarti in mezzo a quella feccia. E dimmi, con chi ci vai? Non sono stupida, sai».
Earine sorrise appena, «con un mezzelfo. L'ho conosciuto tempo fa, e ci amiamo molto».
La sacerdotessa la guardò e, irata, se ne andò a passo veloce.
Si alzò e si guardò intorno. Ritenne di aver preso il minimo necessario, così afferrò il bagaglio con violenza e corse fuori. Nel mentre, inciampò su un ramoscello, cadendo nella terra umida di pioggia estiva, sporcandosi la leggera tunica che indossava e i calzari.
Maledizione! Imprecò mentalmente, tentò di alzarsi ma qualcosa, o meglio qualcuno, la stava bloccando.
«Tu non vai da nessuna parte. E se solo ci provi, non ti considererò più MIA FIGLIA!»
Era di nuovo sua madre.
«Bene. Meglio così», le rispose con calma. 

La donna sbarrò gli occhi e, quasi senza accorgersene, la mollò. Earine si alzò e, lentamente, si allontanò in direzione del Saar. Handir aveva preso una licenza per un mese e avevano progettato tutto quanto insieme. A passo sicuro percorse la solita tratta che faceva ormai da troppo tempo, finché non intravide una grossa sagoma verde. Poi udì un forte sbuffare. Era Soraya, il drago di Handir.  Ma la sella era vuota. La ragazza si preoccupò; dov'era finito? Sì guardò intorno preoccupata, finchè sentì qualcosa di fresco coprirle gli occhi.

«Chi sono?», disse una voce fin troppo familiare.
«Handir!», esclamò ridendo felice. Si scambiarono un bacio.
«Come stai?», le sorrise
«Molto bene, da quando ci sei tu!»
«Mi fa piacere sentirtelo dire», sussurrò accarezzandole una guancia.
La prese per mano e, con delicatezza, la condusse sul dorso di Soraya.
Pian piano, il drago acquistò quota con maestosità.
La loro meta era la Terra dei Giorni.


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A Earine quel posto sembrava così strano, e nel contempo aveva qualcosa di magico... le pareva di essere quasi a casa quando osservava i loro abitanti, così simili a lei. Si sentiva in imbarazzo quando la guardavano in modo strano, effettivamente davvero pochi di loro sapevano come fosse fatto un elfo (solo chi aveva studiato, a dire il vero) ma nei vari villaggi in cui avevano pernottato la popolazione non aveva un alto tasso di cultura.
Fu poco prima del loro arrivo nella capitale che Handir prese una decisione.
«Ti porterò nella mia vecchia casa, conoscerai i miei genitori», le disse.
La ragazza era sorpresa, «ma non avevi litigato con tuo padre anni fa?».
La guardò mesto.
«Sì, ma tu sei importante per me e voglio che lui e mia madre lo sappiano». Lei annuì e non disse altro.
Non ci impiegarono molto e quando arrivarono il mezzelfo si stupì di come ancora ricordasse molto bene le strade della sua città, sebbene fosse da anni che non ci metteva piede o al massimo la sorvolava con Soraya.
Finalmente giunsero alla loro meta.
Quella porta, piena di ricordi. I muri così bianchi, candidi. Deglutì e bussò.
«Chi è?», la voce di suo padre era fin troppo riconoscibile.
«Sono Handir, papà», rispose con la voce leggermente incrinata.
Potè immaginare la sua espressione, gli parve quasi di percepire il suo rancore
nell'aria. Rumore di alcuni catenacci, poi la porta si aprì lentamente, «che vuoi?»,
domandò l'uomo con la voce piena di astio.
Ad Earine parve di rivedere sua madre e un brivido le attraversò la schiena solo a pensarci.
«Ti volevo presentare la mia fidanzata, Earine», la porta si aprì completamente e sulla sua soglia
apparve un mezzelfo poco più basso di Handir.
«un'elfa? E bravo il mio figliolo, ottima scelta», disse. Handir sorrise.
Pochi istanti dopo comparve sua madre. «Oddio...», sussurrò quando vide il ragazzo. Lo abbracciò.
«Mi sei mancato... temevo non tornassi più», sussurrò mentre le lacrime le scivolavano sulle guance rosee e inumidivano la casacca del giovane.
Si separarono, e poi guardò l'elfa, «e chi è questa bella signorina qui?», chiese, facendola arrossire.
«E' la mia fidanzata, Earine», la donna sorrise e le strinse la mano.
Passarono il pomeriggio serenamente, a Handir non sembrava vero che il padre non lo avesse mandato via.
Earine ispirava simpatia ai due coniugi e in poco tempo andarono d'amore e d'accordo.
Arrivò la sera. «Handir, ti devo parlare», gli disse suo padre. I due si allontanarono.
«Ascoltami... mi dispiace davvero tanto per come ti ho trattato, l'ho capito da tempo, ci ho riflettuto su, ma a causa del mio orgoglio non ho mai voluto dirtelo, sarebbe bastata una semplice lettera o la magia, ma non ne ho avuto il coraggio... potrai mai perdonarmi? Sono orgogolioso di te e di ciò che sei diventato».
«Papà, non ho mai desiderato altro che la tua approvazione».
«Ti voglio bene, figlio mio», gli disse e si abbracciarono.
Passarono la serata tranquillamente, chiaccherando allegramente.
Con il passare del tempo l'elfa, pian piano, cominciò ad apprendere anche la lingua parlata nel Mondo Emerso, grazie a Handir.
Earine si sentiva accettata da loro, era felice.

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«Ho l'impressione che gli abitanti di Seferdi non mi vedano di buon occhio...»
Una mattina Earine, prima di alzarsi, si era confidata improvvisamente.
Aveva bisogno di scrollarsi un peso di dosso e Handir era la persona ideale con cui farlo.
«Non so... mi guardano storto quando vado in città a fare compere, delle volte mi rispondono
sgarbatamente, guardano i miei capelli, i miei tratti, così diversi dai loro», gli raccontò.
«Immagino... qui non siamo molto abituati agli stranieri, al contrario di città come Salazar e Makrat, ma non ti devi preoccupare, ci faranno l'abitudine».
«E' da settimane che va avanti questa storia», rispose seria.
«Stai tranquilla, non hanno mai visto un elfo, è normale», cercò di rassicurarla.
Rimasero alcuni secondi in silenzio.
«Voglio diventare una mezzelfo», esordì Earine.
«Che cosa stai dicendo? Io ti amo per ciò che sei».
«Lo so, ma voglio essere una di voi», disse con risolutezza.
«Se proprio lo vuoi...»
«Sì».
Riflettè per alcuni secondi.
«Ti porterò da un mago esperto uno di questi giorni, contenta?»
«Grazie, grazie, grazie!», rispose abbracciandolo.
Poco tempo dopo Handir contattò il mago più esperto di tutta Seferdi e gli spiegò la situazione.
Lui gli spiegò che esistevano magie molto difficili che consentivano a una qualsiasi creatura di cambiare razza, ma solo quelle con cui ha più affinità, in questo caso elfi e mezzelfi. Si diedero appuntamento nella lussuosa casa del mago, un certo Melilon, per il rito. Earine era eccitata e allo stesso tempo preoccupata.
«Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Te l'ho detto, è il miglior mago della città».
«Hai ragione... scusa ma non riesco a non essere tesa», sussurrò.
«Tranquilla», le disse, coccolandola. Lei arrossì e sorrise timidamente.
Così, mano nella mano, bussarono alla porta di Melilon. Aprì loro un mezzelfo abbastanza slanciato,
con gli occhi vividi e la bocca diafana piegata in un mezzo sorriso.
«Prego, accomodatevi», li salutò.
«La ringrazio», rispose l'elfa.
Presero posto, iniziarono a parlare del più e del meno finchè non arrivarono al sodo.
«Quindi sei qui perchè vuoi diventare una mezzelfo, dico bene?»
«Esattamente».
«Sei consapevole che questo rito è rischioso per te, e potrebbe non avere successo?»
«Sono pronta a rischiare».
«Ottimo, mettiamoci all'opera allora».
Si sedettero su un tappeto molto semplice ma raffinato, color rosso carminio, e Melilon estrasse da uno scaffale lì vicino il necessario per il rito. Pezzi di carbone, un ramoscello, alcuni cataplasmi e miscugli di erbe variegate.
Earine guardava stupefatta tutto l'ambiente che la circondava, nonostante ci fosse abituata fin da piccola. Non riconosceva le sostanze impiegate poiché nelle Terre Ignote la vegetazione era diversa.
Melilon accese un piccolo braciere e vi fece arroventare un paio di cubetti di carbone, poi li passò a fior di pelle sul corpo della ragazza. Dopo comiciò a disegnare strani caratteri lungo le braccia, il torace e le gambe, che un istante dopo l'incisione scomparvero. Fatto ciò, accese dei bracieri con dentro le sostanze che aveva preparato precendentemente e li dispose con cura intorno alla giovane.
Earine cercava con lo sguardo Handir, nonostante anche lui fosse molto preoccupato.
Il mago cominciò a recitare la magia in elfico, lo riconobbe.
Ad un certo punto ricomparvero i segni tracciati dal mezzelfo e si illuminarono a giorno.
I bagliori che emettevano si ingrandirono circondandola tutta, mescolandosi ai fumi che provenivano dai bracieri, e venne sollevata in aria per pochi secondi. Il ragazzo dovette coprirsi gli occhi con un braccio, mentre Melilon strizzava gli occhi continuando a tendere le braccia verso Earine. Poco dopo la ragazza si accasciò a terra e Handir corse da lei. La prima cosa che notò furono i capelli, blu, con qualche lieve accenno di verde.
Melilon lo aiutò a farla rivenire e fu allora che notò le proporzioni, ora più umane, del suo corpo, gli arti meno allungati; rimaneva comunque esile e slanciata. Aprì gli occhi, si prese in mano una ciocca di capelli e successivamente guardò Handir piena di gratitudine.
«Sei una di noi, ora», le sussurrò.
«Grazie di tutto».  



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