Erano le cinque di mattina. Mi alzai dal letto e andai in cucina. Preparai la colazione, mangiai qualcosa di fretta e uscii di casa. Il tutto in circa un quarto d'ora. Girovagai nel paesino dov'ero cresciuto e che, dentro me, detestavo.
Uscire la mattina presto, per me era l'ideale. Ero fatto così. Mi piaceva quando non c'erano persone in giro e vedere macchine in movimento era cosa rara. Il cielo era ancora buio, i lampioni illuminavano senza stanchezza la zona circostante; c'era una nebbia pastosa e fitta come la rete di pensieri nella mia testa, quella di un quasi maggiorenne.
Camminavo senza direzione, facendomi trasportare dalle emozioni. Le gambe erano indipendenti dal mio corpo. In un'ora ero già dall'altra parte del paese. Mi sedetti su una panchina rivolta verso i paesini che si trovavano lì di fronte a guardare le colline, i lampioni accesi, la nebbia, i colli, le case. In alcune di esse le luci erano già accese: gli adulti si stavano preparando per andare al lavoro.
A me piaceva crearmi una storia su ogni cosa che vedevo e di fronte a quelle luci, ogni mattina, mi immaginavo adulto, con una famiglia, in una di quelle tante case con la luce accesa, mentre mi preparavo per andare al lavoro.
Aprii il pacchetto di sigarette che avevo nello zaino. ne era rimasta una: quella che, esprimendo un desiderio, giravo sempre appena aprivo il pacchetto e poi lasciavo per ultima. L’idea era che il desiderio espresso in quella sigaretta si sarebbe realizzato una volta terminata. Il mio era quello di poter trovare una ragazza che facesse per me. Quello era il mio rituale. Se state ridendo vuol dire che non avete mai avuto diciassette anni.
Quell'ultima sigaretta, la tenevo sempre un po’ in mano nel dubbio se accenderla o comprare un altro pacchetto e fumarne una povera, che non contenesse desideri. In quella prima sigaretta ci mettevo una parte di me, un frammento della mia anima, un sogno, un desiderio. Finiva sempre che la accendevo, immaginando il suo viso, il suo carattere, indagando il suo cuore, i pensieri e l’anima. Non mi sono mai piaciute le ragazze che scoprono la maggior parte del corpo. Sembrano non avere nient’altro da mostrare. O peggio sembrano voler evitare di mostrare l’anima dietro allo scoprirsi, come una maschera, copiando il carattere a chi non ce l’ha.
Mentre riflettevo, il cielo piano piano schiariva. Arrivò la mia corriera, salii e scesi poi alla mia destinazione una volta raggiunta. Era presto, avevo ancora un po' di tempo, così girovagai senza meta nella città dove frequentavo il quarto anno di superiori.
Mi sentivo senza casa e senza amore. Una casa è per me un luogo dove si ha il piacere di tornare e la mia era solo una gabbia di cemento dove vivevo con i miei genitori come apparenti estranei. Quella per me non lo era. Una casa senza amore è solo un complesso di muri e d’un tetto dove si può solo vivere tristi. Non mi sentivo amato in quel posto.
La mia vita era monotona, seguivo sempre la stessa routine, con piccole variazioni di giornata in giornata. Fuori dal mio controllo, quella mattina mi venne in mente di prendere una strada che non avevo mai percorso.
C’era una tabaccheria stranamente aperta, data l’ora. Entrai per comprare un pacchetto di sigarette. Il tabaccaio era un signore dall’aria malinconica e depressa. Pagai, lo ringraziai, gli augurai una buona giornata e uscii per proseguire su quella via mai percorsa, ancora una volta senza meta. Fu lì che la vidi.
Uscì fuori nella strada scura non so come né da dove. Aveva gli occhi luminosi, dolci e azzurri come il mare, i capelli biondi e un sorriso contagioso che sembrava coinvolgere qualunque cosa guardasse. Irradiava bellezza, tanta, troppa. Non mi avrebbe mai degnato di uno sguardo, pensai. Io, invece, guardavo solo lei, come se non avessi mai visto altro in vita mia. Non capivo più niente, la mia rete di pensieri si aggrovigliava come mai aveva fatto prima.