Aprii gli occhi di colpo, come se mi fossi svegliato da un incubo. Presi il telefono per vedere l’ora e notai che era più presto del solito. Quella mattina pensai di dover cambiare qualcosa: mi lavai bene la faccia, feci colazione, mi pettinai e mi lavai i denti.
Uscii di casa con la fretta di vederla sperando che sarebbe arrivata. Non c'era più niente nelle mie giornate oltre a quella ragazza. Quando lei non c'era, passavo il tempo aspettando solo il momento di rivederla ancora.
Andai al nostro solito posto. Lei quella mattina era già lì, seduta ad aspettarmi. Sbiancai di colpo. “Cosa fare? Cosa dire? Come comportarmi?” Erano domande che mi tenevano stretto alla paura di ferirla; tanto stretto da soffocarmi e togliermi il respiro.
Sedeva tenendo le mani dentro le maniche del suo giubbotto bianco, muovendosi appena. Aveva freddo, o semplicemente aspettava freneticamente il mio arrivo cercando di non farlo notare? Era molto più probabile fosse meno sbagliata la prima ipotesi. Appena mi vide si alzò, mi corse incontro e mi abbracciò. Rimasi immobile come se fossi stato fulminato. Fulminato da una scarica di emozioni. Il mio cuore fu travolto da un'onda di sensazioni ed emozioni. Era come se avessi perso i sensi. Mi sentivo come un ciliegio che in primavera inizia a fiorire e giorno dopo giorno diventa roseo di fiori.
Avvicinò la bocca al mio orecchio destro, sussurrandomi con voce flebile, come se stesse per spezzarsi da un momento all’altro: «Scusami per l'altro giorno, per come mi sono comportata». Non seppi come rispondere, ero fermo tra quelle braccia, immobile. Ero come cullato da un corpo caldo, come un neonato tra le braccia della propria mamma che si addormenta lieto alla dolce melodia di un carillon e alla ninna nanna della sua amata madre.
Il tempo si fermò, ero succube di quelle braccia che mi stringevano, di quel corpo angelico vicino al mio, mi sentii libero come un falco che stende le ali in volo e sorvola il territorio, godendosi il magnifico paesaggio invernale fino alle vette innevate dell'Appennino. La strinsi ancora più forte. Ero come un bambino che imparando a camminare si stringe forte alla sua mamma come un appiglio, per combattere le paure, per sentirsi al sicuro, e come lei sentiva che stringevo più forte, a sua volta stringeva ancora di più.
Eravamo così vicini che i nostri cuori impazzivano, battevano a più non posso, sembravano scoppiare da un momento all'altro mentre si correvano incontro, come a voler evadere dalla gabbia del nostro corpo. Entrambi ci stavamo trattenendo, eravamo sul punto di far diventare i nostri cuori un tutt’uno. Poi lei lasciò lentamente la presa.
Rimasi bloccato, avevo difficoltà nel lasciarla e lei lo notò. Notava sempre tutto, come il più pignolo esaminatore all'esame della patente, quello che ti boccia per un qualsiasi minimo errore. Dopo pochi di secondi così, di incertezza, ci lasciammo. Presi il pacchetto di sigarette e vidi che ne era rimasta una sola, quella che il giorno prima girai desiderando che lei fosse la ragazza che avevo sempre desiderato. Se ne accorse anche lei.
«Fumala pure, Marco. Mi hai detto che quell'ultima sigaretta contiene un tuo desiderio», disse lei sicura.
La estrassi dal pacchetto.
«Prendila tu. Ci siamo fatti una promessa. La rispetterò.».
Lei sembrò pensarci un po’, alla fine l’accese. A metà sigaretta mi porse la sigaretta, non la presi e le dissi di finirla se voleva.
Tutto d'un tratto disse con voce fervida «Angel».
Non capivo cosa volesse dire. Forse intendeva che sono il suo angelo? Cosa c'entrava quella parola con la promessa che ci siamo fatti? Non mi piace fraintendere, mi capita raramente di non capire cosa mi viene detto. A volte, quando sono così preso a pensare ad altre cose, mi viene spontaneo chiedere di ripetere. Ed io volevo capire ogni minima cosa che uscisse dalla bocca di quella ragazza.