29 Novembre

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La giornata precedente era sembrata non finire mai, come la notte trascorsa pensando a lei.

Mi alzai alla solita ora. Volevo prepararmi meglio, ma ero così preso dal pensiero di rivedere quella ragazza che sbrigai tutto di fretta. Anche quella mattina non mi pettinai i capelli. Uscii di casa con gli occhi che si chiudevano. Corsi verso la fermata, cercando di non sudare per non puzzare: volevo fare una buona impressione. Presi la corriera, che fortunatamente arrivò poco dopo di me. Una volta arrivato, mi diressi subito dove la incontrai il giorno prima. Arrivai là venti minuti prima dell'ora prestabilita.

Mi misi a pensare a lei mentre tiravo fuori la mia sigaretta mattutina, quella che di solito accendevo sulla panchina guardando la bellezza del panorama. Non ebbi il tempo di accenderla che lei arrivò e si sedette al mio fianco. Uscì dal nulla e mi piombò addosso, sedendomisi vicino.

Non sapevo che dire, quindi iniziai con la cosa più banale che si può dire di mattina: «Buongiorno!» Lei rispose con un sorriso e mi chiese una sigaretta.

«A te la tua sigaretta.» le dissi mentre allungavo il braccio porgendogliene una. «Se verrai qui ogni mattina, e mi terrai compagnia ci sarò sempre ad aspettarti con una sigaretta per te, o almeno ci proverò», le proposi.

«È una grande offerta. Non la accetterei da chiunque, ma a un ragazzo come te posso dire di sì», rispose.

Parlammo un po' di noi e lei ancora non mi rivelò il suo nome. Era una ragazza del nord, mi disse che aveva preso tutto da sua madre, mentre al padre assomigliava poco. Di lui non parlò molto e quando lo faceva accelerava la parlata, cambiava leggermente la voce, come se non le piacesse l'argomento. Poi rimase un po' in silenzio, con la testa tra le mani a fissare il vuoto come se fosse in preda a dei pensieri terrificanti.

Non volevo vederla in quello stato, così ripresi a parlare. Forse era la scelta migliore, magari avrebbe distolto l'attenzione dai suoi pensieri.

Le dissi che mio padre era del sud, che mia madre proveniva dal centro Italia e che da lei avevo preso gli occhi azzurri. Azzurri e non verdi, come mi dicono tutti. Di mia madre ho anche l'atteggiamento e il carattere, mentre da mio padre più che altro il fisico. Come lei cercai di evitare l'argomento padre.

«Abbiamo trovato qualcosa in comune già la seconda volta che ci incontriamo: a entrambi non piace parlare dei nostri padri. Non credi sia buffo?» dissi iniziando a ridere, ma poco dopo mi zittii subito. Stavo ridendo da solo.

Lei non rispose, si alzò, si diresse verso la sua scuola chiedendomi di non seguirla.

Passai il resto del giorno turbato, non capivo il perché di quella reazione. Ora che ci ripenso, se fossi stato al suo posto avrei fatto lo stesso. Ma io sono io e non un altro.

La seguii con lo sguardo finché non scomparse anche la sua ombra. Un senso di isolamento mi pervase. A me piaceva stare solo, mi piaceva quasi da sempre, non sentivo solitudine, se non per quel desiderio di avere una compagna vicino. Lei mi portò via con sé, lasciando il mio corpo, lasciandolo come un guscio vuoto.

Rimasi su quella panchina a finire una sigaretta che non finiva. Ho aspettato fino all'ultimo minuto lì sperando tornasse indietro a parlare ancora un po'. Mi sarebbe bastato anche stare in silenzio e sentire i suoi respiri nell'imbarazzo di sguardi loquaci tra i nostri volti taciturni.

Alle otto e dieci iniziai a camminare, arrivando dieci minuti dopo nella mia classe, in perfetto orario come al solito.

Nella seconda ora c'era storia, mi feci interrogare: ero sicuro di sapere tutto quello che c'era da sapere, ma l'interrogazione andò male.

Ero così impegnato a pensare a lei che l'unica parte di storia che volevo sapere era la mia con quella ragazza di una complicatezza affascinante. Abbiamo trascorso del tempo insieme solo due giorni, neanche due ore, ma mi era chiaro che di lei e di tutto ciò che è non mi sarei stancato mai. Quando si prova interesse per una persona non si finisce mai di imparare, a volte si inizia anche ad amare e quando questo succede, poi non si smette più.

Quella mattinata finì con un cinque in storia; non capivo minimamente neanche quello che i professori spiegarono. Non ero minimamente interessato alla matematica, alla storia, all'inglese e a tutto il resto. Tutte le mie attenzioni erano rivolte su di lei, il resto perdeva valore e interesse.

Finita scuola tornai a casa. Non avevo fame e non feci pranzo, appena arrivai in camera mi lanciai sul letto, stringendo il cuscino. Ero tormentato dal pensiero di averla ferita. Neanche Internet in quel momento aveva le risposte che mi avrebbero aiutato. Mi addormentai, mentre navigavo nei miei pensieri. La scena di quella mattina, di lei che si allontanava tanto da scomparire si ripeteva continuamente nella mia testa, era un loop. Mi svegliai di colpo tutto sudato e con il respiro pesante mentre la sua ombra svaniva, come l'incubo. Presi dei vestiti e mi feci una doccia calda. Quando finii di cambiarmi andai in biblioteca, che era vuota come sempre. Misi la firma sul registro delle presenze e cercai un libro che potesse interessarmi, non trovando niente. Chiesi al bibliotecario un libro interessante che parlasse di una storia d'amore.

Mi suggerì "Ricordati di guardare la luna" di Nicholas Sparks. Il nome mi intrigava, d'altronde a me piacevano gli astri. Lo presi in prestito con scadenza mensile, tornai a casa e lessi lentamente le prime pagine più volte: non mi sembrava quello che cercavo. Era noioso. Non parlava d'amore, ma in fondo erano solo le prime venti pagine e andai a dormire.

The breath of an Angel - Il respiro di un AngeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora