Capitolo 8.

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"E le bastava solo un attimo per ricadere nel dolore, nelle macerie della sua vita. Un minimo particolare, messo appena da parte, che le ritornava in mente, tartassandole i sensi, facendole quasi perdere la ragione. E poi c'erano quelle braccia che la stringevano per pochi minuti, insegnandole a lottare. A lottare per un po' d'amore, per quel po' di felicità negata. Le insegnavano a fallire e riprovare e fallire ancora e ferirsi. Ma a riprovare sempre, cercando di non cadere."

***

Persiane chiuse. Porta sbarrata. Io a terra, schiena contro il muro, testa tra le mani. Sole che splende fuori. Buio che invade la stanza. Freddo che inonda la pelle. Terrore nelle membra. Distruzione.
Una piccola cicatrice che riporta alla mente tanti ricordi, ricordi sepolti nella memoria, ricordi sbiaditi col tempo. Ricordi che tornano per uccidere, lentamente.
È proprio quando pensi di potercela fare, quando metti da parte la tristezza, quando cominci a lottare per la felicità, che questa ti sfugge dalle mani, solo perché tu non puoi averla, perché non la meriti e, quindi, non la ottieni. Mai.
Te lo ripeti sempre che puoi essere felice, te lo ripeti fino a crederci davvero, finché non arriva quel ricordo velenoso che si impossessa della tua mente, dei tuoi pensieri, tartassandoti e cercando di toglierti tutto l'ossigeno, cercando di prosciugare tutta la vita che sei riuscita a tenere con te.


La mia lampada preferita a terra. Lacrime. Il regalo del mio papà distrutto. Un altro pezzo di lui che va via. Dolore. Sangue. Graffi. Risate. Spinte. Dolore.
Buio. Vuoto. Spento.

Pensieri che mi impediscono di respirare, di muovermi, di pensare lucidamente per cercare una via d'uscita. Pensieri che non mi danno pace, vogliono che io perda la testa, che la ragione vada via da me, cosicché io non possa pensare lucidamente. Perché sono rinchiusa in questo labirinto senza via d'uscita, con un'entrata segreta che io non ho notato passandoci, con nessuna possibilità di fuga. Un'anima in pena imprigionata nella sua stessa mente, un posto oscuro, che non lascia via di scampo a nessuno, se non alla distruzione. Un luogo terribile in cui vivere, ma l'unico in cui si è destinati a restare.
Dolore su dolore.
Merda su merda.
Questa è la mia vita: un susseguirsi di spiacevoli eventi che mi distruggono.
Scrivi ciò che senti, starai bene, dopo. Lo diceva sempre la mamma. Con lei, diceva, funzionava. Perché con me no? Perché dopo aver riempito un foglio di dolore e confusione, mi ritrovo in una merda ancora più grande?

Ed è così frustrante restare chiusi in casa, cercare la voglia di uscire, di prendere aria, di trovare qualcuno disposto a farmi ridere. È così frustrante essere la causa di tutto, essere così dannatamente forte da non crollare, da non piangere e così dannatamente deboli da cominciare a singhiozzare come i bambini solo trovandosi nelle braccia di una persona giusta.
È così frustrante essere tristi per un passato che non ci sfiora più, cercare in noi stessi qualcosa che ci faccia più male. Così dannatamente schifoso.
Un momento che riporta alla mente i ricordi di una bambina infelice, ma forte. Un momento di attenzione verso una piccola cicatrice, una piccola ferita che non si è mai chiusa del tutto. Una ferita così grande che ha lasciato il segno.
Trovo la forza di uscire, voglio andare solo davanti al portone, a prendere aria, a cercare la vita, a inseguire la felicità.
Le scale sono tante, sembrano infinite quando c'è anche la stanchezza, non solo fisica, di mezzo. Ma l'aria poi è così fresca e la notte è così bella e fredda, come la felicità. Bella e fredda, ti spacca.

- Non c'eri, prima.

Harry. Cappotto di jeans, pantalone nero, converse bianche. Mani in tasca, sorriso stanco. Sguardo deluso, ancora. Altro fallimento in un compito non ancora cominciato.

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