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A fine lezione usciamo dalla classe e andiamo a pranzare da "Chester hamburger".
-Cosa prendi? -analizziamo il menù con attenzione.
-Un cheesburger, e delle patatine, tu? -chiedo posando il libretto plastificato sul tavolo e posando lo sguardo sulle sue mani, affusolate e perfette, che scorrono pagine piene di immagini di panini e hot•dog.
-Un pezzo di pizza e delle onion ring.
-Cipolle? -ridacchio disgustata- Odio le cipolle. Ti fanno un alito pestilenziale.
-Dovrai sopportare tutto questo quando ti bacerò.
Che?! Quando mi bacerà?!
-Scusa cos'hai detto? -chiedo sperando di aver sentito male.
-Nulla. -sorride e posa il menù.
Sono sicura di avere sentito benissimo. Di aver visto un sorrisetto malizioso sorgergli sul viso e udito la frase che comprendeva la parola baciare.
Il mondo dei baci, dei fidanzati e del sedersi l'una sull'altro accarezzandosi i capelli mi è sconosciuto.
-Cosa prendete?
Una ragazza bionda, con gli occhi azzurri, alta e armoniosa si mette vicino a Jonas, posandogli una mano sulla spalla in un modo un po' troppo amorevole. È la sua ragazza? No.
Ma anche se lo fosse, che fastidio potrebbe darmi?
Ho l'autorità di provare fastidio perché Jonas piace ad un'altra ragazza? No. Ho promesso a me stessa c'è saremmo rimasti solo amici. Solo amici.
Devo sopprimere sul nascere qualunque sentimento che vada oltre all'amicizia.
-Onion Ring e un pezzo di pizza per me e un cheesburger con patatine per lei.
-Qualcos'altro, Jonny?
-Nulla grazie.
Se ne va trotterellando.
-Chi è quella? -chiedo aggrottando la fronte.
-È Sophie. Stavamo insieme qualche tempo fa, ma ci siamo lasciati.
Una rabbia naturale e animalesca mi sale dentro. Sbatto un pugno sul tavolo.
-Cosa c'è? Sei tutta rossa in viso.
Allunga la mano e mi tocca la guancia.
Come risposta mi scosto violentemente e lo squadro da capo a piedi, o meglio, dal torace in su, dato che siamo seduti.
-Certo. È tutto okay. -dico secca.
Arriva il panino e le patatine.
Le trangugio velocemente senza guardarlo in faccia e poi, quando ho finito, mi alzo bruscamente e me ne vado.
Lo sento chiamarmi, lo vedo, attraverso il vetro che costituisce il muro, assumere un'espressione confusa, ma sto già marciando verso la collinetta.
Quando  arrivo mi siedo mi rendo conto di quanto questo gesto per me sia automatico: venire qui per schiarirmi le idee e per smaltire la rabbia. Un rifugio.
Ma lui sa che sono qui. Arriverà prima o poi.
Dopo circa dieci minuti, una testa bionda si insinua nel mio campo visivo, respirando a fatica per il fiato corto e le guance avvampate per la corsa.
-Sei andata via come una furia. Cos'hai?
-Nulla, okay?
Effettivamente non so perché io mi sia arrabbiata. Infondo non c'era e non c'è tutt'ora un motivo plausibile.
-Come nulla?
-Avevo voglia di stare un po' da sola, tutto qui.
-Quindi me ne devo andare? -chiese sconsolato.
-Come sei intelligente!
Si avvicina a me e, per un secondo molto veloce, le nostre labbra si toccano.
Un tocco leggero e delicato.
Mi sento d'improvviso fluttuare e il mio corpo diventa elettricità, le mie terminazioni nervose sfarfallano al minimo tocco.
Jonas mi ha baciata.

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