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Il desiderio di vendetta è insito in noi, ho letto da qualche parte.
In effetti, credo che esistano davvero poche persone incapaci di vendicarsi, come poche sono quelle capaci di mentire. Spesso reagiamo a torti che abbiamo subito. A offesa corrisponde difesa. Niente di più. Quello che è certo è che la vendetta non ci aiuta a dimenticare il torto, né a cancellarlo. Al limite ci dà la sensazione di aver ristabilito un po' di giustizia. Ma anche il concetto di giustizia è sempre e comunque personale.

Oggi puniremo Erik.
Mi sveglio un po' nervosa. Ho faticato ad addormentarmi e ho fatto sogni agitati. Al buio, cerco a tentoni la luce sul comodino. Accendo la mia brutta lampada. Jenna ha promesso di regalarmene una nuova per il compleanno. Peggio di questa non potrà essere.
Il mio quaderno viola è sempre lì, ai piedi del letto. Nessuno l'ha spostato. Nessuno entra mai nella mia stanza. Inchiodo lo sguardo sulla copertina, poi mi alzo e lo prendo in mano. C'è scritto qualcosa. Un racconto. Con la mia grafia. Com'è possibile? Non ricordo di aver scritto nulla.
C'è solo una luce accesa nel grande open space dell'agenzia pubblicitaria...leggo, e mentre mi accinto a continuare qualcuno bussa alla mia porta.
È Lina.
Lina è mia sorella, ha nove anni ed è muta. Non lo è dalla nascita, ma dal 2 luglio di due anni fa, quando all'una e mezza del pomeriggio un uomo si è gettato dal settimo piano di un palazzo sfraccellandosi al suolo. Lei, arrivata sul posto insieme a Jenna pochi minuti dopo, ha fatto solo in tempo a vedere il viso dell'uomo, stranamente integro nonostante lo schianto, prima che fosse chiuso in un grande sacco di plastica scuro. Il viso era quello di suo padre (e, per sorte, anche del padre di Evan).
Non credo esistano parole di ciò che ha provato. E probabilmente la pensa così anche lei, dato che ha deciso di non cercarle nemmeno. Quando il padre se ne è andato non ha detto nulla. E da allora è rimasta così, muta, nonostante i luminari della medicina, i preti e persino qualche mago che la povera Jenna ha interpellato abbiano provato in qualche modo a convincerla.
Si esprime con lo sguardo e disegna. Della sua voce ormai non abbiamo che qualche ricordo registrato nei filmini delle vacanze. C'era anche suo padre in quei filmini.
Dopo la sua morte, la polizia avviò una breve indagine, condotta con impegno dal tenente Sarl che in quel periodo divenne un frequentatore abituale della nostra casa. Si stabilì che il padre di Evan e Lina si era suicidato e si decise di non parlare più della faccenda per rispetto dei miei fratelli.
Quanto a Evan, credo che abbia cancellato il padre dalla sua scarna lista di affetti nel momento in cui lo perse in un modo che lui giudicó degno del peggior vigliacco. Era solo un bambino allora, ma da quel giorno conserva un pacchetto di sigarette che fumava suo padre infilato in un chiodo nella parete vicino al letto. Non vuole dimenticare, o più semplicemente ha bisogno di un oggetto su cui scaricare tutto il suo odio ogni sera prima di addormentarsi e ogni mattina al risveglio.
"Cosa c'è piccola?".
Lina mi tende la mano, con il pugno chiuso. Poi lo apre. Sul palmo tiene il suo portafortuna: un ciondolo d'oro a forma di campanellino. La nonna, la madre di Jenna, glielo ha regalato quando è nata, dicendole che l'avrebbe protetta e preservata dalle scelte sbagliate. L'ha sempre tenuto appeso a un braccialetto che porta al polso sinistro.
La guardo dritta negli occhi grandi e scuri, e non vedo altro che una bambina invecchiata, troppo delusa dalla vita per concederle altri errori.
Come ha fatto a capire che oggi è una giornata particolare?
Non lo so. Il potere del silenzio, forse.
"Sei sicura di non volerlo tenere? È il tuo portafortuna".
Lina scuote la piccola testa dai capelli castani.
"Allora grazie".
Accetto il ciondolo e lo chiudo nel pugno, sapendo bene che rimarrà, come sempre, un nostro segreto. Lei scompare nel corridoio, io richiudo la porta e mi cambio. Prima di uscire, infilo il ciondolo nella tasca della giacca.

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