13

2 1 0
                                    

La mattina per fortuna inizia nei migliori dei modi: alle prime due ore c'è lezione di chimica.
Il laboratorio è senz'altro l'aula migliore della scuola, non solo perché è la più luminosa e raccolta, ma anche perché è la più democratica: ognuno sceglie dove sedersi e a chi affiancarsi. Fin dal primo giorno di lezione, il Professor K ci ha spiegato la sua insolita teoria, secondo cui dare agli studenti la libertà di decidere è un modo per valutarli a rigide regole.
Il risultato è che tutti sono contenti di seguire le sue lezioni e, almeno per due ore, mi sento fuori dal carcere che è questa scuola.
Prendo posto nel terzo dei grandi e lunghi banchi di legno chiaro che sono disposti uno in fila all'altro.
Davanti ai banchi c'è un grande tavolo  ingombro di strumenti, becher e alambicchi, dietro il quale siede il professore. È intento a consultare un grande volume. Sembra molto concentrato e si comporta come se noi non ci fossimo.
Vicino a me ci sono Naomi e Seline.
"Come mai non è qui con noi?" chiedo alle ragazze alludendo ad Agatha, seduta due file più avanti.
"Dice che segue meglio da lì" risponde Seline.
"E da quando le interessa seguire?". Poi penso che in fondo sono fatti suoi, perciò lascio cadere l'argomento, consapevole che Agatha non fa mai niente senza un motivo preciso.
"Buongiorno, ragazzi" interviene il Professor K a un certo punto. Si alza in piedi e fa qualche passo verso la classe. La sua voce, calda e profonda, sembra provenire da luoghi lontani.
Ci guarda attraverso lenti scure, imperscrutabili come lo strano sorriso appena accennato sulle sue labbra.
"Oggi faremo un esperimento per scoprire, nella pratica, cosa sono basi e acidi. E lo faremo sull'aceto".
Davanti a me vedo la testa di Agatha immobile come quella di una statua. È davvero interessata alle lezioni di chimica.
Intanto il professore va avanti con la sua spiegazione, sempre chiara e dettagliata.
"L'esperimento si chiama 'titolazione dell'aceto' e serve a determinare la quantità esatta di acido acetico contenuta nel nostro campione. Sui vostri tavoli ho preparato uno strumento per il vostro esperimento. Si chiama buretta e viene utilizzata per misurare con precisione il volume dei liquidi".
Osservo per la prima volta con attenzione il materiale che si trova sui nostri tavoli: la buretta, che è un semplice tubo di vetro graduato, tre paia di guanti, tre paia di occhiali (uno per ciascuno di noi), un becher, una pipetta e una provetta graduata, un imbuto, una bacchetta di vetro, un sostegno con base ad asta in acciaio e alcune soluzioni etichettate come NaOH, aceto, fenolftaleina e acqua distillata.
"Possiamo iniziare. Agata, per cortesia, prendi e distribuisci i grembiuli ai tuoi compagni".
Seline, Naomi e io ci guardiamo allibite. Agata si alza ed esegue il suo compito senza borbottare.
Con il grembiule, i guanti e gli occhiali indosso possiamo cominciare.
Il professore fa un'altra lunga spiegazione del procedimento da fare e quando finire Naomi commenta sarcastica: "Chiaro no?".
"Non ci ho capito nulla" si aggiunge Seline.
"Io direi di provarci. Al massimo ci esploderà il banco".
Le ragazze ridono.
Il professore se ne accorge e mi fissa, in silenzio, per alcuni interminabili secondi.
Poi riprende a parlare, senza rimproverarmi.
Ogni gruppo di tre studenti fa il proprio esperimento, con più o meno successo.
Agata, ovviamente, vuole lavorare da sola e nessuno glielo vieta. L'impressione è che il Professor K capisca a fondo il carattere e i problemi di chi gli sta davanti, ma non cerchi di intervenire in alcun modo, lasciando ognuno libero di esprimersi perché trovi da solo, in modo naturale, le proprie soluzioni.
O è un pazzo, oppure lo è tutto il resto del mondo.
La nostra sostanza si colora di porpora, ma poi nessuna di noi ha idea di come eseguire i calcoli.
Così, quando suona la campanella, decido di ricopiare le formule scritte dal professore sulla lavagna e poi rivederle a casa.
In aula rimaniamo solo io e lui. Quando me ne accorgo mi coglie un'improvvisa sensazione di imbarazzo.
Finisco di scrivere e mi alzo per andarmene.
"Arrivederci" dico.
"Alma" mi trattiene il Professor K.
Mi fermo sulla porta e faccio un passo indietro.
"Non è un bene prendere tutto alla leggera, perché quando si presenta una situazione davvero difficile non si sa come affrontarla".
Perché mi dice questo?
"Mi dispiace se ho fatto confusione prima".
"Quelle sono sciocchezze. Ricorda le mie parole per il futuro: vai sempre a fondo nelle cose e valuta con giudizio".
"Va bene, lo terrò a mente".
"Ora puoi andare".
"Arrivederci".
"Ciao".
Quando esco dal laboratorio mi sento come se avessi appena sostenuto un esame. Perché il professore mi ha parlato in quel modo? Mi ritiene così vuota e superficiale? E io che ero convinta di piacergli.
La conversazione mi lascia addosso un senso di inquietudine, come di chi vede la punta di un iceberg, ma non sa cosa ci sia sotto.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 26, 2016 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

BuoioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora