Two

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Haley's pov

Guardo le fitte nuvole grigiastre sotto di me, mentre una voce metallica annuncia da un'altoparlante, che i passeggeri sono pregati di allacciarsi le cinture di sicurezza. I miei pensieri diventano più intensi, mentre il mio sguardo si perde, ancora una volta, tra le nuvole, che ora si trovano all'altezza dei finestrini.
Da questa prospettiva sembrano quasi dei disegni astratti, un misto di colori tra il bianco e il nero che si confonde con lo sfondo blu notte del cielo cupo di Londra.

Se ci penso, non posso crederci che sto per atterrare a Londra, in Inghilterra, a pochi passi dalle persone più importanti della mia vita e con le quali ho condiviso i momenti più belli di essa.
A questi pensieri il mio cuore vibra di felicità e un brivido di adrenalina scorre su per la spina dorsale.
Al contrario, sul mio volto non campeggia alcun sorriso o accenno di gioia, anzi,  le mie labbra formano una linea retta e il mio sguardo è neutrale mentre osservo la pista d'atterraggio scorrere velocemente sotto di me. Le linee bianche tratteggiate che delimitano la pista sembrano formare un'unica linea, data la velocità del mezzo. Pian piano l'aereo rallenta di velocità e arresta la corsa, mentre la stessa voce metallica annuncia l'arrivo all'aeroporto di Gatwick.

Mi alzo svogliatamente dal mio posto e afferro il mio zaino, che prima era posto ai miei piedi e cammino seguendo mia madre, la quale, a differenza mia, sembra agitata e si affretta verso l'uscita del mezzo.
Appena scese le scale dell'aereo, prendo un respiro profondo rivolgendo lo sguardo verso il cielo nuvoloso e cupo di Londra. Chiudo gli occhi e respiro l'aria pungente. Mi è sempre piaciuta l'Inghilterra.
A farmi tornare alla realtà è mia madre che, prendendomi sottobraccio, mi trascina letteralmente dentro l'aeroporto. Le porte scorrevoli si aprono, rivelando tutta la sua maestosità e caoticità che si cela in quella struttura. I miei occhi curiosi vagano per la grande struttura esaminandola attentamente, osservando ogni movimento particolare che le persone compiono: fidanzati che si scambiano effusioni in pubblico non curandosi minimamente delle persone che li circondano, anziani che salutano i loro nipoti, genitori che piangono per l'arrivo o la partenza dei loro figli o parenti e bambini che scorazzano per i corridoi del grande edificio. Tra abbracci, baci, pianti, urla e rumori di valigie trascinate lungo i corridoi, una scena cattura particolarmente la mia  attenzione: una bambina, di circa tre anni, con dei graziosi capelli castani chiari raccolti in due piccole codine, corre sbattendo i suoi piccoli piedini, fasciati da due stivaletti in gomma, verso suo padre. È una scena commovente. Lui l'abbraccia stretta, mentre a quel tenero quadretto si aggiunge una ragazza dai lineamenti simili a quelli della bimba, suppongo sia la madre.

Distolgo il mio sguardo da quella scena quando sento una voce roca e maschile chiamare, da lontano, il mio nome, ma non riesco a capire né la direzione né la persona a cui appartiene a causa delle troppe persone.

"Haley!" Questa volta la voce è più vicina e, non appena volto il capo verso la direzione da cui proviene quella voce, riconosco la persona a cui appartiene.
Harry.

"Harry!" Urlo in risposta, sciogliendo il braccio dalla presa di mia madre e andandogli in contro correndo come una pazza.
Butto le braccia attorno al suo collo e mi aggrappo a lui il più possibile, mentre sento le sue braccia stringermi forte contro di sé.

"Mi sei mancata tantissimo, Aly" soffia tra i miei capelli.

"Anche tu, Hazza." Affermo sinceramente, stringendomi maggiormente contro di lui.

"Oh, andiamo" sbotta scocciato, alzando gli occhi al cielo "non mi vedi da tre anni e riprendi subito a chiamarmi così?"

"Caro Harold, solo io posso chiamarti così. Quindi, se non lo faccio io, chi lo può fare?"

"Okey, va bene, ho capito. Hai vinto tu." Afferma sconfitto, ma con un piccolo sorriso che cerca di respingere.

"Harold!" La voce di mia madre ci distrae dal nostro scambio di battutine.

Haley KellerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora