L'incidente

90 4 0
                                    

— Esercito il controllo su tutto, io — quella voce mi arriva da dietro, le labbra mi sfiorano quasi l'orecchio e il suo alito caldo mi provoca un brivido lungo la schiena. Ruoto gli occhi senza nemmeno voltarmi: so perfettamente di chi si tratta e non ho la minima voglia di parlarci. Cerco di allontanarmi ma lui mi afferra il braccio e mi volta.
— Beh Beth? Non rispondi? — mi chiede con il suo sorrisetto provocatorio.
— Senti Ms. Gray, vai a rompere le palle ad un'altra Anastasia — ribatto cercando di non mostrare la mia irritazione. Tenta di guardarmi negli occhi ma io scosto lo sguardo. Gli tiro un calcio sulle caviglie e la sua presa si fa più debole. Mi libero e gli volto le spalle.
— Sempre acida tu, vero? — digrigna cercando di non farsi notare troppo dai suoi compari: sarebbe troppo umiliante per lui far vedere che questa volta l'ho avuta vinta io. Sorrido e raggiungo Matt, che sta leggendo una scheda d'inglese. Mi siedo accanto a lui presa dal panico: maledizione! Quella prof del cavolo oggi avrebbe interrogato e ci avrei scommesso la testa che avrebbe chiamato me. Ieri pomeriggio ho letto velocemente la scheda ma inutile dire che non ricordo una parola di quello che diceva. Infilo le dita sui capelli mossi del mio migliore amico per rilassarmi e lui mi lascia fare senza protestare.
— Che ti ricordi di inglese? — chiede senza alzare lo sguardo.
— Secondo te? —
— Nulla, come al solito — sorride amaramente. Lui è un secchione, un genio stra maledetto mentre io mi arrangio come posso e sinceramente non m'impegno neanche più di tanto. Alla fine la sufficienza la raggiungo senza troppi sforzi e questo mi basta, eccetto in italiano in cui arrivo tranquillamente al sette o all'otto senza aprire libro. Mi volto dietro per parlare con la mia migliore amica della classe.
— Ti offri in inglese? — le domando speranzosa.
— Ma sei pazza? Beth ti devi mettere a studiare! — dice.
— Bell'amica — mi affretto a dirle, prima che la prof entri in classe con le scarpe coi tacchi: odio il ticchettio che si sente dall'inizio del corridoio, mi innervosisce. Sistema il registro elettronico senza degnarci di uno sguardo e io fisso la scheda: non la leggo nemmeno perché non servirebbe a nulla. Odio l'inglese, l'ho sempre odiato e così farò per il resto della mia vita.
— Beth...ti vuole Peter — la voce di Rachel alle mie spalle arriva come un sussurro.
— Digli che non m'importa nulla —
— Troppo tardi. —
Sto per voltarmi e capire cosa volessero dire quelle parole quando mi ritrovo faccia a faccia con Peter. Una volta avrei pagato non so quanto per potergli stare così vicino, ora invece mi da il volta stomaco. Quante cose possono cambiare in cinque anni. Pezzo di merda è tutto quello che posso dire di lui.
— Sparisci Mr. Gray! —
— Allora per te sono come lui? — domanda soddisfatto. Cavoli! Ho compiuto un passo falso e lui ha subito colto l'occasione per fregarmi.
— Potresti esserlo, ma vai dalla tua Anastasia — e mentre parlo gli indico la nuova arrivata di quest'anno. Jessica si chiama. Lei si che ci starebbe con Peter. L'ho intuito da come l'ha guardato la prima volta che è entrata in classe nostra. Devo ammettere che è davvero una bella ragazza, però diciamo è la classica ragazza perfetta. Una specie di Barbie messa in vita. Bionda, occhi azzurri, viso perfetto e ben truccato, un fisico leggermente tondo che però è coperto bene dai vestiti sempre in coordinato. Esattamente l'opposto di me: capelli neri, occhi scuri, con addosso perennemente felpe e braghe e nemmeno un filo di trucco. Trovo del tutto assurdo svegliarsi alla mattina un'ora prima solo per sistemarsi il viso con il make-up: la tua faccia per quanto tu la possa nascondere e mascherare col trucco è sempre quella. E se anche dovessi avere fortuna di attirare le attenzioni di un ragazzo, non appena ti vedrà senza i ritocchi mattutini, non ci metterà molto a mollarti. Non sei come si aspettava e quindi va in cerca di un'altra.
— Preferirei sotterrarmi — ribatte.
— Allora fallo! —
— Peter!? Cosa ci fai in piedi... Vai subito al tuo posto — ci interrompe la prof con la sua voce stridula.
— Mi scusi prof, dovevo buttare via il fazzoletto — dice allontanandosi da me per avvicinarsi al cestino e fare quello che aveva detto. Stronzo! Ha sempre la risposta pronta.

Dannazione! Avrei perso la mia testa perché alla fine la prof non mi ha interrogata. La scuola termina con un'ora di fisica. Tutto tranquillo. All'uscita saluto Matt con una pacca sulla spalla e lui rimane sorpreso, come al solito: non si è mai abituato al mio atteggiamento un po' maschile. Rachel mi raggiunge e facciamo la strada per tornare a casa. Io e lei siamo state le uniche ragazze per tre anni, poi in quarta è arrivata Margaret e in quinta Jessica. Tra le due preferisco Margaret. Con lei ho stretto una forte amicizia, forse uguale a quella che ho stretto in tre anni con Rachel. In pochi mesi siamo diventate insperabili e tutte le uscite le facciamo assieme. Io, Rachel e Margaret siamo diventate un squadra. Poi è arrivata Jessica e a dire la verità all'inizio mi piaceva, sembrava diversa da quello che invece si è rivelata.
— Peter non ti lascia in pace? — Rachel interrompe il silenzio.
— Non ho voglia di parlane, perché non te lo prendi tu? — scherzo e non trattengo un sorriso nel vedere la sua espressione schifata.
— Forse tre anni fa, ma oggi no. —
Anche lei ha avuto una cotta per Peter, più o meno nello stesso periodo in cui lo consideravo il mio Eros, ma al contrario di tante oche non abbiamo permesso che questo ci allontanasse. Certo, lei non si faceva perdere occasione per avvicinarsi a lui o per parlargli o per sfoggiargli occhi felici e sognatori non appena la guardava. Ripensandoci ora mi viene quasi da ridere e credo che lei sia sempre stata più innamorata di me. A me piaceva, ma non quanto piaceva a lei. Strada facendo parliamo della mattinata, di quanto quel tema a me avesse dato il nervoso e invece a lei fosse piaciuto un sacco, delle cazzate fatte durante le ore in classe e di quanto fossero coglioni i nostri compagni. Insomma sempre i nostri soliti discorsi del cavolo, ma divertenti. Fortuna vuole che abitiamo praticamente a cinquecento metri di distanza: la mattina parto e, giunta sotto casa sua, suono il campanello e lei scende. Anzi a dire il vero molto spesso si affaccia alla finestra e dice "Due minuti e scendo" oppure "Metto le scarpe e arrivo" o persino manda suo fratello ad avvisarmi che è leggermente in ritardo. Con "leggermente" lei intende circa cinque o dieci minuti: troppo se si tiene conto che io arrivo sotto casa sua già con un buon ritardo. Però devo ammettere che ultimamente si sta velocizzando e questo ci permette di non essere perennemente in ritardo come negli ultimi quattro anni. Le auguro buon pranzo e proseguo per la mia strada, mettendo le cuffie alle orecchie e ripensando al sogno che ho fatto sta notte. Mi piace molto tornate a casa con la compagnia di Rachel, ma anche il tratto che percorro da sola non è male: sono circa cinque minuti, però in questo tempo posso concentrarmi solo su me stessa. Niente scuola, niente amici, niente mondo. Solo io e i miei pensieri. Pensieri che forse non dovrei fare a cui però non riesco a sottrarmi. Oggi non faccio che pensare al tema: non ricordo assolutamente nulla di quello che ho scritto e per quanto ne so potrei anche avere raccontato un sacco di balle. Questo pensiero mi ferisce il cuore: non vorrei per nulla al mondo mentire al prof Wilson. Alcuni passanti (per lo più ragazzi) mi guardano con un'espressione che non so decifrare e non posso fare a meno di desiderare di fulminarli con lo sguardo. Tengo la testa china perché mia madre mi ha confidato che se voglio il mio sguardo sa essere terrificante e in questo caso non desidero impressionare nessuno. Vado fiera del mio "sguardo assassino" e non lo spreco di certo per dei passanti di cui non conosco nemmeno il nome. Tuttavia non sempre riesco a controllarmi e così per sicurezza mi guardo i piedi.

La mattinata scolastica arriva velocemente. Seduta accanto a Rachel ripenso al pomeriggio trascorso: compiti di matematica, ripasso di filosofia e una lettura veloce al libro di storia. Ah sì! E la magnifica frittata che mamma ha preparato non posso non nominarla. Amo la frittata ma prima di tutto per me c'è la pastasciutta: se non trovassi un piatto di pasta al mio rientro da casa credo che mi sentirei mancare. Toglietemi tutto, ma non la pasta.
— Beth! Il prof. Wilson non c'è ancora e sono le otto e mezza — mi avvisa Rachel.
— Strano, sarà in ritardo anche se non è da lui — dico dando voce ai miei pensieri. Tutti i nostri compagni sembrano non farci caso: Peter sta parlando col suo migliore amico, Jessica è lì che sta imbambolando solo con lo sguardo quello stupido di Josh mentre Matt è impegnato a scrivere su un foglio protocollo. Non c'è nessuna verifica per quello Matt è lasciato in pace. Povero ragazzo! Ogni volta che c'è un compito viene assalito da tutti noi.
— Ma secondo te Josh non ha ancora capito che Jessica lo sta usando? — chiede Margaret da dietro. Mi volto e le lanciò una risata un po' malefica. Lei non riesce a trattenersi e mi risponde con uno sguardo divertito.
— Beth! So già quello a cui stai pensando! —
— Oh! Ma Jessica è la mia dea Afrodite scesa in terra, è la mia Beatrice e io sono il suo Dante — imito l'espressione da ebete che assume sempre Josh ogni qualvolta che compare Jessica nei paraggi. Sia Rachel che Margaret rivolgono i loro sguardi al ragazzo, che in questo preciso istante sta eseguendo alcuni ordini che gli impartisce la sua dea.
— Peccato che Beatrice a Dante non gliel'ha nemmeno mai fatta vedere — termino la mia scenetta. La porta si spalanca e io già mi aspetto il prof Wilson scusarsi del ritardo e tirare fuori una delle sue battute migliore. Invece mi sbaglio. Quello ad entrare è la nostra coordinatrice di classe: il suo sguardo è triste, la mano gli trema un poco e intuisco subito che c'è qualcosa che non va. Tutti lo capiamo perché tutti tornano al proprio posto e nessuno fiata. Non è da noi.
— Ragazzi... — rompe il silenzio con un filo di voce. Sbatte velocemente gli occhi e sembra farsi coraggio: — Ragazzi, il prof Wilson ha...ha avuto un incidente. —
Un fulmine a cel sereno. Una lama pianta dritta al cuore. Un pugno tirato violentemente in faccia. Così mi sento. Mi sento mancare il respiro e senza accorgermi afferro il polso di Rachel. Anche lei è sconvolta, ma lo siamo tutti.
— Cos'ha? — chiedo preoccupata. La prof mi guarda: sa perfettamente il legame forte che mi lega a lui e sa perfettamente che sarò io quella a soffrire più di tutti, assieme a Rachel. Riesco a scostare lo sguardo sul viso della mia compagna: una lacrima le sta rigando una guancia, sebbene stia cercando di nasconderlo. Lei mi piace perché sa esternare più di me ciò che prova: più di qualche volta l'ho vista piangere, anche in situazione in cui io avrei solo mandato a fanculo il mondo e basta. Forse è proprio per questo che stiamo bene assieme, in qualche modo ci completiamo. Serrare la mascella è l'unica cosa che riesco a fare.
— Lui...lui è in ospedale. È stato ricoverato e...— sembra trattenersi, quasi non volesse rivelarci tutta la verità.
— E? — incalzo io.
— E viene tenuto in coma farmacologico. —
Il mondo mi crolla addosso. Stringo ancora più forte il polso di Rachel. Riesco a vederlo: il mio caro prof steso su un letto d'ospedale, senza più il suo sorriso solare che gli illumina il viso. No! Lui sono certa che porterà a termine ciò che mi ha promesso. So che mi aiuterà, sebbene non sappia ancora in cosa voglia aiutarmi. Non dico "volesse" perché dentro di me ho la piena consapevolezza che tornerà per vederci sostenere l'esame di maturità. E poi c'è l'ha promesso: ci ha giurato che che ci avrebbe portati tutti fino al testo conclusivo dei cinque anni. Ha sempre mantenuto la sua parola e anche questa volta l'avrebbe fatto.
— Dov'è ricoverato? — chiede Rachel.
— All'ospedale qui vicino. —
Non mi ci vuole molto per prendere la mia decisione: tiro fuori il libretto personale, compilo il permesso di uscita anticipata e decisa mi alzo per porgerlo alla coordinatrice. Lei è anche vicepreside, quindi me lo può firmare.
— Beth va al tuo posto — dice con voce titubante.
— O mi firma questo permesso oppure me ne vado io, a lei la scelta — non so come mi sia venuto fuori il coraggio per dire queste parole. L'unica persona a cui riesco a pensare è lui. Mi sto sforzando per non scoppiare a piangere di fronte a tutti. Mi mordo il labbro inferiore fino a che non sento il gusto del sangue. La vicepreside non si muove.
— La prego — chiedo, guardandola dritta negli occhi. Dalla sua espressione intuisco che devo averle appena rivolto il mio "sguardo assassino" o forse no. Forse senza rendermi conto le ho appena manifestato tutta la mia preoccupazione. Non importa, l'unica cosa che voglio è uscire da questa gabbia. Per mia fortuna lei me lo firma e senza ascoltare più nessuno infilo lo zaino sulle spalle ed esco.
Ieri pomeriggio io e Rachel avevamo deciso di andare a scuola con la bici, così monto in sella e comincio a pedalare incurante delle grida della mia amica che mi supplica di fermarmi. Non posso, non posso fermarmi perché mi vedrebbe piangere e questo non lo voglio. Le lacrime ormai scendo senza sosta e io non provo neanche più a fermarle. Sono sola e solo adesso permetto a me stessa di buttar fuori tutto ciò che provo dentro. Sofferenza, dolore ma più di tutto paura. Paura di poter perderlo.

La ragazza dagli occhi bagnatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora