Capitolo 1: L'Elefante Africano

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                 Chi vuol esser lieto sia
             Del doman non c'è certezza

Juan Carlos Olivera stava seduto al bancone del locale Elefante Africano in periferia della metropoli di New Glowstor, sul pianeta Ivor.
Era un colono di livello zero. Valeva meno di niente per la società e, paradossalmente, stava alla base della piramide gerarchica, alla cui punta si trova il sommo Imperatore, Marcus Payne.
Come tutti i coloni di livello zero, contadini, allevatori e commercianti con un utile annuo massimo di diecimila crediti imperiali; era destinato a trascorrere la vita sul suo pianeta natale, a guadagnarsi il cibo facendo il mestiere che fu di suo padre e di suo nonno. Ha sognato di toccare le stelle e vagabondare con una bella nave luccicante nel mare astrale, e infine ha affogato quell'utopia tra i bicchieri di alcool di una sudicia bettola di periferia.
Era a quest'ultima fase della sua vita, quella del rimpianto e della rinuncia. Sapeva molto bene che non avrebbe mai lasciato quel pianeta agricolo. Non aveva mezzi per farlo, ma anche avendoli, cosa avrebbe fatto? Non conosceva nulla della galassia. Sarebbe stato facile preda di ladri, pirati e predoni, di truffatori e allibratori.
Così stava seduto, a riflettere sul senso della vita, girando il proprio indice mulatto e annerito dalla polvere intorno al bicchiere di plastica, dove l'oste versava la Nitrocola, un miscuglio di Cola e di succo di orzo ivoriano fermentato.
Quel posto, nonostante nella fantasia di Juan fosse un locale sudicio nel quale cercava scampo dal ricordo dei propri sogni giovanili, era in realtà un antro niente male e non era disdegnato neanche dai coloni di livello uno: mercanti, artigiani e commercianti con un utile inferiore al milione di crediti.
L'Elefante Africano prendeva il nome da un antico animale terrestre ormai estinto, che si diceva avesse la stazza di due Cedonti messi insieme, e due lunghe zanne d'avorio acuminate che usava per uccidere i propri nemici. Doveva essere un animale terrificante.
London Andgraab, quando aprì il locale, non pensava che quell'animale terrestre potesse essere oggetto di molti miti e molte leggende sul pianeta di Ivor. Lui usò il nome solo come omaggio al prezioso materiale che su quel pianeta veniva estratto dai Cedonti: l'avorio.

Nei primi anni dell'espansione repubblicana furono fondate molte colonie interstellari. Una delle prime venti fu appunto la colonia di Ivor, il cui nome proveniva dall'antica parola inglese ivory, avorio. Su quel pianeta viveva una specie animale simile ad una tozza lucertola, molto più lenta e massiccia. Questo mammifero dall'aspetto rettiliano possedeva grandi zampe con protuberanze di avorio, materiale molto prezioso per la fabbricazione di proiettili anti magnetici. Subito la colonia fu popolata e si iniziò ad allevare il Cedonte.
Il cambio dalla movimentata e spesso troppo instabile politica repubblicana alla solidità dittatoriale dell'Impero, non aveva toccato quasi minimamente la colonia se non nel nome. Ivor era registrato semplicemente come C17, Colonia numero diciassette.
Juan odiava quel maledetto nome, ma a London Andgraab, non faceva nessuna differenza. Lui cercava solo un posto dove vivere in pace.
Vent'anni prima era giunto su quel pianeta e aveva tirato su quella locanda, che all'inizio distava dieci miglia da Glowstor, ma che ora era in piena periferia e raccattava tutti i soggetti del posto, dai mendicanti fino ai borghesi.
Ma perché quella locanda divenne così famosa?
Come ho già detto London Andgraab dette quel nome solo in onore dell'antico animale terrestre. Ma quello stesso orecchiuto mammifero grigio era oggetto di molte terribili leggende su quella colonia. Leggende che i padri allevatori raccontavano ai propri figli quando erano sotto le coperte. Storie terribili che raffiguravano l'elefante africano come un mostro e i popoli del continente nero come eroi che ingaggiavano strepitose lotte per abbatterlo e per difendere le proprie case.
Fu quindi per un colpo di fortuna che il locale di London Andgraab ebbe quel grande successo nella periferia di una città in cui si credeva che l'elefante africano fosse una bestia satanica. Forse perché il gusto del profano attirava molto.
Dopotutto cosa è il pericolo e il proibito se non un altro campo in cui addentrarsi per esplorarlo con curiosità? Così ogni volta che un mendicante, un allevatore, un contadino o un signorotto metteva piede in quel locale, era come se andasse incontro a quella terribile creatura delle leggende Ivoriane.

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