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MIDEZ (AU)

Un ragazzo camminava tra le strade deserte di Rozzano, nelle prime ore del mattino. Il cappuccio copriva i suoi capelli castani che solitamente erano ordinati in un ciuffo alto, schiacciati e disordinati invece in quel freddo giorno di novembre. Si mordeva le labbra carnose e screpolate mentre camminava con passo spedito attraverso la piazza di fronte alla chiesa, dove non metteva piede da quando aveva otto anni. Lo sguardo era puntato verso basso, a fissare le scarpe nere consumate che gli conferivano un'aria trasandata e poco raccomandabile.

La nebbia autunnale era densa e di un colore bianco sporco che rendeva assai impossibile guardare più lontano di un palmo dal naso. Per questo motivo, né Federico né l'uomo che marciava nella direzione opposta, avrebbero potuto prevedere lo scontro che sarebbe avvenuto da lì a pochi secondi.

"Cazzo" imprecò il ragazzo, atterrando con il sedere sul cemento freddo.

"Sorry" si scusò l'altra persona, offrendo a Federico la mano.

In qualsiasi altro giorno della sua vita, il giovane avrebbe insultato l'uomo, magari utilizzando un linguaggio volgare che non rappresentava affatto la sua forbita parlantina giornaliera. Appena lo guardò negli occhi però, osservò che erano marroni come il caramello e con qualche sfumatura verde dentro; ciò che lo colpì davvero fu la dolcezza intrisa dentro e la loro sincera preoccupazione, diversamente da quella solita di circostanza.

Federico afferrò la sua mano calda e forte che con un movimento sinuoso lo tirò su. Avrebbe voluto mantenere il suo atteggiamento da superiore ma rimase di stucco quando notò l'altezza dell'uomo. Analizzò ogni dettaglio del suo corpo, dai riccioli morbidi in testa, ai suoi vestiti eleganti ma semplici. Si rimise il cappuccio per coprirsi i capelli disordinati, anche se chiunque gli fosse stato accanto abbastanza da conoscerlo, avrebbe saputo che era il suo modo per crearsi uno scudo di protezione.

"Non si vede niente con questa nebia" commentò, quasi per scusarsi nuovamente, porgendo un sorriso gentile.

Federico decise che era il momento per andarsene quando, inconsciamente, sorrise di rimando all'uomo.

"Un momento!" lo richiamò l'affascinante straniero.

Il ragazzo si voltò, alzando un sopracciglio nella sua direzione.

"Cosa fa fuori a quest'ora?" domandò con tono apparentemente premuroso ma in fondo avido di sapere.

"Potrei farti la stessa domanda" ribatté Federico, con quel tono aspro ed ironico che rivolgeva a tutti.

Invece di lanciargli un'occhiata scocciata come faceva sempre la gente, l'uomo gli sorrise, mostrando i suoi incisivi piegati leggermente verso l'interno.

Il cuore di ghiaccio di Federico si scheggiò esternamente, cercando di liberarsi dalla sua gabbia congelata, e prese a battere fortemente. Avrebbe davvero voluto fermarsi a parlare ma qualcosa dentro di sé lo deviò. Così, prendendo la decisione di non voler avere niente a che fare con l'uomo, scappò.

I suoi piedi si mossero più veloce dei suoi pensieri e senza più una meta precisa, si ritrovò perso. Dimenticò i gradini davanti alla chiesa, dimenticò lo straniero, dimenticò il suo sorriso. Non aveva più una casa dove nascondersi,
era solo.
"Gli uomini non piangono", così gli diceva sempre il padre, quello che poche ore prima lo aveva sbattuto fuori di casa perché aveva perso il lavoro per la seconda volta nel mese. Quello che non aveva mai creduto in lui, né nelle sue capacità. Quello che non c'era mai stato nella sua vita, nemmeno il primo giorno di scuola, ma che aveva la pretesa che fosse perfetto e che rovinava qualsiasi cosa ci fosse di bello nella sua vita. 

Happy Ending (Midez/Gennex)Where stories live. Discover now