7.

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L'acqua calda era una manna. Il suo corpo si rilassò, così come la sua mente; si massaggiò la testa delicatamente, i capelli ricoperti di schiuma bianca.

La sua mente cercava di non pensare a quel filo invisibile e indefinito che univa lui a Michael, a quell'indistruttibile desiderio continuo, quell'incomprensibile passione dettata da un primo sguardo. Quel tipo di legame che l'aveva portato a pensare che Michael potesse essere il suo scudo, come lo era stato Christian.

Stupido, pensò Federico.

Michael non era affatto come Christian. Non l'amava, non lo capiva, non lo conosceva. Come avrebbe potuto amarlo? Troppo poco tempo per infatuarsi di uno come Federico; troppo poco tempo per conoscerlo, figurarsi capirlo.

Gli occhi di Federico erano abituati a non vedere a un palmo dal naso. Era come vivere quel giorno di ottobre all'infinito. Non riuscivano a scorgere nulla di ciò che il cervello si rifiutasse di vedere. Se solo ce l'avessero fatta, avrebbero scoperto la terribile e meravigliosa verità.

Michael era già cotto quando gli aveva preso la mano, durante il loro primo incontro. Quando poi, i loro occhi si erano incrociati, lì aveva capito di essere innamorato. Per quanto fosse un sentimento infondato, senza radici, del tutto e per tutto irrazionale. Se solo Federico si fosse preso la briga di sbirciare più in là del suo naso, avrebbe notato quanto Michael fosse comprensivo nei suoi confronti.

Si sciacquò i capelli, imprecando quando del sapone scivolò nei suoi occhi marroni. La spiacevole sensazione di bruciore lo fece inveire maggiormente. Era come se il fato si stesse prendendo gioco di lui, purificandogli gli occhi affinché vedesse davvero.

Uscì dalla doccia, legandosi un asciugamano alla vita. Il suo sguardo cadde sullo specchio di fronte a sé, e sbuffò al suo riflesso. Dai suoi capelli bagnati e schiacciati sulla fronte, alla pancia che non spariva mai. Era magro, sano, eppure c'era quella pancetta sempre presente a fargli ricordare che avrebbe dovuto fare un po' di palestra. Tirò la pancia in dentro cercando di far risaltare gli addominali; si ritrovò a ridere per quanto fosse ridicolo. Forse non voleva separarsene. Quel piccolo difetto era parte integrante, se non una dimostrazione, del pensiero di Federico. Odiava gli stereotipi del ragazzo perfetto.

A volte si trovava a immaginare Michael, senza fantasie a sfondo sessuale. Era ancora più inquietante quando immaginava di essere abbracciato o toccato da Michael.

Era la sua ombra, parte del suo corpo. In quel momento era lì, dietro di lui. I suoi ricci color caramello gli solleticarono il collo, mentre le sue dita lunghe da pianista passavano i contorni dei tatuaggi. Si soffermarono sulla costola destra, quella lievemente deformata dall'incidente subito da piccolo con una chiave inglese. A Federico piaceva l'immagine di loro due, nello specchio. Avrebbe voluto che Michael lo baciasse, in quell'istante, ma si accorse di essere caduto in un altro dei tanti tranelli del suo cervello quando qualcuno bussò alla porta.

"Fedez, ci sei? Dobbiamo andare a lavoro" lo richiamò Alessandro.

Michael non c'era più, svanito nel sogno effimero di pochi secondi prima.

"Sì, arrivo" rispose, staccando gli occhi dallo specchio.

In cuor suo, sperava che Michael venisse a prendersi una tazza di tè, per poter cambiare quell'arrivederci in un a presto.

***

Gennaro e Alessio corsero fuori dal locale, mano nella mano. Sembravano due bambini che scappavano dalla maestra, con quel sorriso complice e furbo di chi l'aveva combinata grossa.
Sulla strada, le macchine passavano a tutta velocità, fregandosene dell'eccesso di velocità. I conducenti non rallentavano, a meno che non ci fosse un autovelox ad attenderli, e in quel caso, di pagare una multa proprio non ne volevano sapere. Così i due giovani attesero pazientemente il semaforo verde, per passare sulle strisce pedonali.

Happy Ending (Midez/Gennex)Where stories live. Discover now