Capitolo 4.

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"Cosa ci fai qui?" Disse venendomi incontro e abbracciandomi.
"Vedo che zia non ti ha ancora detto niente" incominciammo ad avviarci verso l'entrata. Le strada era diversa ora. Al centro del giardino c'era un bellissimo albero che ora stava perdendo le foglie perché inverno.
"Perché che deve dirmi?" Aprì la porta, un odore di pollo e patate al forno ci avvolse e il calore della casa diede sollievo alle mie mani che si erano fatte rosse per il freddo. Anche la casa era diversa, appena entrati ci trovammo in un salotto con un divano e due poltrone ai lati, anche se mi chiedevo a cosa servissero due poltrone e un divano così grande se zio era sempre in viaggio per affari e in quella casa c'erano sempre e solo zia e Mike, ma non feci domande. Il salone era molto accogliente, con tutte le foto della nostra infanzia, un caminetto e una tv a schermo piatto. Subito dopo c'era la sala da pranzo e collegata ad essa la cucina.
"Scarlett sei tornata?" Mi chiamò Zia Karen dalla cucina.
"Ciao mamma! Hai qualcosa da dirmi?" Sentimmo delle pentole sbattere e poi dalla soglia della cucina apparve zia Karen, una tipica casalinga americana nel suo grembiule con su scritto "la mamma migliore" che le aveva regalato Mike quando avevamo 8 anni.
"Ciao Michael" Zia era una di quelle donne che riusciva a farti credere in qualunque cosa, era impossibile essere arrabiati con lei.
"Dato che la nonna è da poco venuta a mancare e Scarlett sarebbe andata in adozione, ho pensato che avremmo potuto adottarla noi." Riuscì a dire quelle cose con una dolcezza infinita che neanche io rimasi scossa dalle sue parole.
"Nonna..." Mi girai verso Mike. Era molto legato alla nonna. Era una di quelle persone che riusciva a farti sorridere nei momenti più brutti, la nonna. Ma ora non c'era più. Una lacrima scivolò sulla guancia di Mike, seguita subito da un'altra, e un'altra ancora. Senza pensarci lo abbracciai e lo strinse forte a me. Ricambiò la stretta.
"Mi dispiace così tanto." Singhiozzava ormai.
"Sh, è tutto okay." Cercavo di calmarlo ma sapevo che avevo un unico modo per riuscirci. Michael Clifford poteva sembrare un duro, un ragazzo molto alto con quegli occhi, quei capelli e quella faccia leggermente imbronciata, ma era uno dei ragazzi più dolci che io conoscevo.
"Dov'è camera sua?"
"Al piano di sopra, l'ultima porta a sinistra. A proposito per un po dovrete condividerla fin quando non avremo sistemato la tua. Per te va bene?"
"Certo." Mi staccai dall'abbraccio e presi Mike per mano. Lo portai in camera sua. Inutile dire che era tappezzata di poster e che era in disordine, ma per questo lo avrei sgridato dopo. Mike stava ancora piangendo. Lo feci sedere sul letto. Un ricordo mi tornò in mente... "Ai" mi girai e vidi Mike a terra che si teneva il ginocchio. Stava sanguinando. Lui piangeva. "Mike non piangere." Provai in tutti i modi ma alla fine vidi che non smetteva. Io e lui eravamo molto legati e vederlo stare così male faceva star male anche me. Scoppiai in lacrime anche io.
"Perché piangi?" Stava smettendo di piangere.
"Perché se soffri tu soffro anche io." Mi sedetti sulle sue gambe e lo strinsi forte fra le mie braccia. Avevo provato molte emozioni quel giorno e ,come un giorno lontano di molti anni prima, ci trovammo entrambi a piangere l uno fra le braccia dell'altra.
"Non piangere anche tu ti prego."
"Ricordi? Se stai male tu Sto male anche io."
Mike si staccò mi guardò negli occhi , si asciugò le lacrime, mi sorrise.
"Mi sei mancata."

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