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Iniziai a correre, veloce come il vento.
Lasciai a terra lo zaino, incurante.
L'unica cosa che importava era Tom.
"È andato via" diceva il messaggio.
Sapevo dove era andato, lo conoscevo troppo bene.
Ma avevo paura di quello che avrebbe fatto.
Chiamai un taxi, perché il tempo di aspettare l'autobus non l'avevo.
Gli indicai la strada, e lo costrinsi a correre, perché volevo sbrigarmi.
Dopo 30 minuti di corsa in auto, il taxi si fermò appena sotto la collina innevata, e potevo vedere in cima, la figura di Tom, che con una tavola in mano non sapeva decidere cosa fare.
"Tom!" Urlai "che vuoi fare?"
Corsi verso il trasporto automatico che portava sopra la collina.
L'avevamo trovata un'estate di 8 anni prima, e avevamo deciso che sarebbe stato il posto in cui saremml venuti quando ci saremmo sentiti soli, o confusi, o arrabbiati, o tristi.
Quando non eravamo felici.
Poi in inverno avevamo poi scoperto che si sciava benissimo, e avevamo fatto costruire un trasporto per arrivare facilmente in cima con le tavole o gli sci.
Da quando era successo quello che era successo, Tom non era più tornato.
Arrivata in cima corsi da lui.
"Che hai intenzione di fare?" Chiesi col fiatone.
"Io..volevo riprovarci. Volevo vedere se sarei stato in grado di tornare sulla tavola.
Ma ogni volta...li rivedo.
E non ci riesco." Si girò verso di me.
Mi vennero i brividi.
Non era arrabbiato, no.
Era devastato, sconfitto.
Potevo leggere nei suoi occhi il vuoto.
Mi spaventava.
Ma lo abbracciai, cercando di proteggerlo.
Si strinse a me e pianse.
Era diventato così fragile.
E io ero dovuta diventare forte per lui, per la mamma, e per me.
Dopo qualche minuto si alzò, e in silenzio scendemmo per la collina.
Arrivati giù chiamai il taxi, che ci riportò a casa, dove una preoccupatissima mamma e una preoccupatissima Beth ci accolsero, chiedendoci cosa fosse successo.
Mi venne quasi da scoppiare a ridere, e Tom doveva avere lo stesso istinto, perché scoppiammo a ridere all'unisono.
Mamma e Beth ci guardarono perplesse, e solo a cena raccontammo tutto.
Tom ed io eravamo stranamente felici, ed era venerdì, perciò decidemmo di uscire, e la mamma, anche un pò titubante, acconsentì.
"Le due a casa, non un minuto di più."
La baciammo sulla guancia e uscimmo.
In macchina mettemmo la musica a palla, sfrecciando sulla strada, giovani e felici, per quanto fosse possibile.
Beth rideva, e anche Tom rideva.
Anche io ridevo, ma non era vero.
Volevo...avrei voluto Trent, lì, con noi.
Con la sua buffa risata profonda, le fossette sulle guance e gli occhi che brillavano.
Anche se lui e Tom erano gemelli, erano diversi, per me.
Ognuno aveva contribuito in modo diverso a farmi crescere, avevo vissuto esperienze diverse con ognuno.
Non erano la stessa persona.
Amavo Tom, ma si era come spento senza Trent.
E tornava ad accendersi solo quando era con Beth.
Dovevo davvero davvero molto a quella ragazza.
Non sarebbe stata una serata molto divertente, ma non lo sapevo ancora.
Entrammo nel locale, pieno di fumo, l'odore di sudore impregnava l'aria, mani si agitavano in alto, corpi contro corpi, persone che limonavano in pista, la musica a palla.
Ci unimmo a quell'ammasso di corpi cercando di non pensare a niente.
E ballammo per tre, quattro canzoni di fila.
Erano anche venuti due, forse tre ragazzi a ballare con me, ma il mio super-protettivo fratellone aveva deciso che non erano alla mia altezza e li aveva cacciati tutti in malo modo.
Partì "helicopter" di Martin Garrix, e un enorme vuoto mi colpì allo stomaco.
Mi tornarono alla mente i ricordi di quando Trent aveva ballato sulle note di quella canzone a Capodanno, trascinandomi con sé, ubriaco fradicio, ed era stato così imbarazzante che non uscii di casa per due settimane.
Corsi in bagno, mi chiusi dentro e piansi.
Quando uscii dal bagno mi guardai al grande specchio del bagno.
Ero bassa, come al solito.
I lunghi capelli neri scendevano lisci dalle spalle, la mia piccola figura sembrava tremare.
Ero magra, lo ammetto, ma era frutto di anni e anni di duro allenamento e impegno, e anche di un periodo non troppo bello alle mie spalle.
Il nasino all'insù era rosso di pianto, così come i grandi occhi verdi.
Non potevo uscire di lì in quello stato, ma tanto nessuno lo avrebbe notato.
Proprio quando stavo per uscire dalla porta, sentii una porta dei bagni aprirsi, e qualcuno afferrò con forza il mio braccio, facendomi cadere a terra e sbattere violentemente la testa.
Mi si annebbiò la vista, ma cercai di alzarmi in piedi.
Non riuscii a vedere chi mi avesse sbattuta a terra perché fui trascinata dentro un bagno..

Ti Aspettavo E Non TornaviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora