- capitolo due.

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Ormai era diventato un inferno passare le notti accovacciata ad un muretto, ma per il momento era la mia sola ed unica possibilità e proprio mentre dormivo mi sentii strattonare.
«Lali svegliati! Andiamo! Come fai a dormire in questo stato?!»
«Andiamo lasciami dormire!» urlai credendo stessi sognando. Quella voce continuò a riempirmi la testa, indipendentemente dal fatto che io stessi dormendo accovacciata ad un muretto, quella voce stridula ed irritante sarebbe riuscita a svegliarmi anche in un comodo letto pieno di cuscini e avvolto da morbide lenzuola. Aprii gli occhi lentamente, ero ancora in uno stato di veglia.
«Sei cocciuta anche in queste circostanze, come è possibile?» come potevo zittire questa voce fastidiosa? Forse dovevo solo svegliarmi ed affrontare la giornata. Finalmente riuscii a focalizzare, a svegliarmi del tutto e ciò che vedevo sembrava un sogno, una benedizione, qualsiasi cosa associata ad una luce di speranza.
«Non posso crederci!» abbracciai senza neanche pensarci la persona che mi trovavo davanti.
«Ti prego dimmi che non è un allucinazione!» dissi con la voce spezzata dal pianto, avevo davanti la persona che mi è stata vicina in quei momenti duri in quell'orfanotrofio buio e vecchio.
«Come hai fatto a trovarmi? Come stai? Spero ti vada molto meglio di me sai, ma non mi lamento, mi arrangio al momento.» dissi senza prendere fiato.
«Calma, calma. Te l'ho promesso ricordi? Avevamo quindici anni ed era un'altra giornata no passata in quel maledetto istituto, erano stati adottate cinque bambini quel giorno, ma noi no, perché troppo grandi o troppo difficili da "affrontare"» mimò l'ultima parola con le dita, ma poi continuò «così io ti promisi che se mai fossi uscita da sola arrivata ai diciotto anni sarei venuta a prenderti fuori all'istituto per affrontare tutto insieme. Così sono venuta ma non c'eri, sono stata a cercarti tutto questo tempo, quando poi in piazza ho sentito di questa ragazza che vagava sola per le strade di Buenos Aires, dicono di te che sembri che non ti faccia una doccia da un bel po'» scoppiò in una fragorosa risata che mi fece dimenticare tutto, i miei capelli sporchi, i miei vestiti fradici, la fame che mi divorava e svanì la solitudine che mi stava distruggendo da quando non c'era più con me, così scoppiai anche io a ridere, così tanto che le nostre risate si unirono all'unisono.
«Grazie Euge. Per la prima volta mi sento bene. Mi dispiace non esserti venuta a cercare, ma speravo per te che fossi lontana da qui, in un altro continente magari. Non volevo che rimanessi bloccata qui per me.» stavo usando un tono tra la tristezza e la felicità, perché ero così grata a lei per aver mantenuto la sua promessa e così triste che fosse rimasta qui per me. «Davvero, non dovevi.»
«Sai siamo cresciute da sole, in quella merda di istituto eravamo invisibili ma allo stesso tempo fastidiose, ed io ti conosco bene, la corazza che hai addosso non durerà molto se continui a vivere così, in questi mesi sono riuscita a trovare lavoro ed ho in mente di comprare una piccola casa, dove per certo non mancherà un posto per te Lali. Da piccole di nascosto dormivamo abbracciate per paura di rimanere sole, per non perderci mai, e stai sicura che se adesso avrai bisogno di un abbraccio io ci sarò, e so che sarà lo stesso per te. Ma non ti abbraccerò fin quando non avrai fatto una doccia!» rise della sua affermazione, ma non me ne importai e l'abbracciai più forte che potetti.
"Deve cavarsela bene per vivere a Palermo." Pensai sentendo un po' di invidia dato che a me non aveva dato nulla questo quartiere.
«So cosa stai pensando, ho trovato un lavoro come cameriera in un albergo, e pagano veramente bene, è un bell'hotel a cinque stelle e non devo pagare neanche l'affitto! Mi hanno dato una stanza finché non sarò riuscita a sistemarmi, non ho fatto che parlare di te tutto questo tempo, così che lei vuole conoscerti!»
«Lei chi?» chiesi con tono confuso
«Il mio capo, è una donna davvero magnifica, ha un cuore grande ed è molto comprensiva» aveva gli occhi pieni di ammirazione mentre parlava di questa donna «si chiama Julia» continuò. Annuii e rimasi in silenzio, avevo un difetto grande e abbastanza fastidioso in certi casi, ma in altri mi era servito, non mi fidavo delle persone, ed anche se era Euge a parlare bene di questa signora io non mi sarei mai fidata di un'estranea.
«Ecco siamo arrivate. Entriamo, ti fai una doccia e scendi a fare colazione nella cucina»
«Si ne ho proprio bisogno, grazie. Avrei bisogno anche di qualcosa di più caldo e di lavare le cose che ho in borsa.»
«Lali, sentiti libera di fare ciò che vuoi, ho parlato con Julia e mi ha detto che puoi restare fin quando non ti sarai sistemata, poi può essere anche che ti assumi, mai dire mai.»
«Grazie» dissi sinceramente.
«Bene andiamo in camera.» disse prendendomi poi per mano, ci dirigemmo verso la camera, passò la carta ed entrammo.
Era veramente una bellissima stanza che affacciava in piazza, era abbastanza grande, aveva il letto matrimoniale, immagino avremmo dormito insieme, c'era una poltrona bianca, un tavolino nero ed un tappeto con fantasie floreali tra il bianco e nero, una televisione decisamente grande, forse quello era il plasma, c'era anche un mini bar ed un telefono fisso e poi ovviamente un bagno, mi diressi a vederlo, e al contrario della stanza che era tutta sul bianco e nero, il bagno aveva le pareti ricoperte di mosaici con il blu ed il viola, pavimento grigio, era un vero e proprio sogno.
«È veramente bellissimo qui, da stanze così a tutti i dipendenti?» chiesi.
«A chi accetta si, poi c'è ovviamente chi ha famiglia e torna a casa.»
«Lei ha una famiglia?» chiesi incuriosita.
«Oh sì, è sposata ed ha due figli maschi, dalla quale avranno preso dal padre perché sono due stronzi a quanto pare» disse con un sorriso amaro sul viso.
«Perché questa espressione?» chiesi incuriosita.
«Perché non li merita, so che uno è stato adottato e non è grato di quello che la mamma gli dà. E mi incazzo
perché forse avrei potuto esserci io al suo posto, o entrambe chissà.»
«Se c'è una cosa che ho imparato vivendo in quell'istituto è che non bisogna mai giudicare dalle apparenze, magari è tutta apparenza. E dovresti saperlo visto che siamo le prime a mostrarci forti.»

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