2. Mia Madre

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Mia madre, due anni prima ebbe un tumore. Dovette pensare prima di tutto a curarsi, e mio padre, ovviamente, si dedicò totalmente a lei. Anche i parenti la incoraggiavano a non mollare e la confortavano in tutti i modi possibili. In questo lasso di tempo imparai a stare sola. A non farmi più stravolgere troppo dai sentimenti, a non dar troppo peso e valore alle parole altrui. Diventai indipendente, iniziai a cavarmela da sola e a mascherare le mie emozioni.
All'inizio non la sopportavo, non sopportavo mia madre. Pensavo che sapesse solo vittimizzarsi, che non gliene fregasse più niente di me e della sua famiglia, ma avevo undici anni, ero piccola.
Cominció la Chemioterapia. I suoi folti capelli cominciavano a cadere. Ogni volta che se li pettinava, un lungo boccolo color rame le restava tra le mani. La sua carnagione diventó di un bianco pallido, come fosse trasparente. Le si vedevano le vene. Era sempre sul letto, non si alzava quasi mai, solo per cucinare e andare in bagno. Non ce la faceva, era debole.
Iniziai ad odiarla per questo. Non la sopportavo. Non sopportavo il fatto che il pomeriggio non mi accompagnasse più in palestra, che non mi venisse più a prendere sotto scuola, che non mi aiutasse più a fare i compiti. La parte più brutta era di sicuro la cena. Lei raccoglieva quelle poche forze che aveva accumulato durante la giornata e le regalava a noi, cucinandoci, ma la chemio le alterava il gusto e l'olfatto. Portava i piatti a tavola che aveva già voglia di vomitare, si sedeva, provava a mangiare ma il cibo era amaro.
-"Sa di Novalgina!"
Urlava. Addirittura l'acqua minerale era imbevibile. Si sedeva sul divano e piangeva.
-"Non voglio più vivere! Mi sono scocciata! Non posso neanche mangiare! Questa non è vita! Non voglio più fare la chemio, basta!"
Questo lo ripeteva ogni sera. Un giorno si disperó così tanto che mio padre dovette portarla in camera da letto perché non si reggeva più in piedi e stette con lei tutta la notte, fino al giorno successivo. Quella notte io la passai a piangere sul letto. Avevo il mascara e non avevo voglia di levarlo. Mi chiesi perché non mi dessero più le attenzioni di una volta, cosa avessi sbagliato. Le mie guance lentigginose erano ricoperte anche di grosse lacrime nere e i miei capelli rossi si sporcarono di quelle. Mi ricordo che quella sera provai veramente odio per me, che non ero abbastanza e per loro, che mi avevano abbandonata. Da quella sera mi chiusi in me stessa e mi ripromisi di non piangere più, almeno, non davanti a qualcuno.

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