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Correva l'anno 28 a. C. e Roma brillava, era il centro pulsante dell'impero di Augusto. I molti abusi che esistevano ancora dopo la fine della guerra civile furono ridimensionati, si respirava aria di pace.
A Speluncae, a circa ottanta miglia da Roma, mercanti e prostitute, bambini, donne e uomini invadevano la piazza creando un'atmosfera che Euphemia adorava. Si affrettava a comperare il pesce, sapeva di essere in ritardo. Se non l'avessero fermata sarebbe stata già di ritorno. Però quell'incontro le aveva lasciato il sorriso che non riusciva a nascondere a nessuno.
Camminò velocemente allontanandosi dalla piazza. Guardò il cielo, il sole si stava abbassando. Corse.
Non appena varcò la soglia, un urlo rimbombò per la casa.
«Muoviti! Non perdere tempo, devi muoverti!» tuonò. Fu chiaro il successivo suono che riecheggiò tra mura della casa: una frustrata. 
Euphemia fu felice di non essere la vittima. Si diresse in cucina sperando di non essere vista. Accese il fuoco il più velocemente possibile per far sì che il forno si riscaldasse in tempo. Ripose poi le orate sul tavolo e le ripulì delicatamente. Riempì l'olla d'acqua e la pose accanto al fuoco. Cosparse la patella di olio e mise a riscaldare anche questa.
Sentiva le voci di Lucius e Sabina. Lui urlava, lei cercava di calmarlo.
I due appartenevano alle famiglie più importanti: lui alla gens Manlia, lei alla Pulchra. Lucius, cinquantenne, era il classico cittadino romano rispettoso del mos maiorum e della figura di Augusto. Aveva un temperamento forte e dittatoriale. Per questo era chiamato Imperiosus. Sabina invece, sette anni più piccola di lui, era tra le più belle matrone. Al contrario del marito era dolce e premurosa. Avevano avuto due figli, Clodia, di diciannove anni, e Felix, di ventuno. 

«Quando sei tornata?» le chiese entrando in cucina «Ci hai messo più del dovuto.»
Euphemia si girò e si pietrificò. Sperava di non essere punita.
«Mi dispiace, c'era tanta gente.. Ma la cena è quasi pronta, in orario» si giustificò.
Aveva sempre avuto paura di Felix, aveva uno sguardo cupo e rabbioso.
«Sarà meglio per te» minacciò lui. La fissò per qualche secondo e poi andò via.
Riprese i suoi lavori di domestica e fece del suo meglio nel preparare il triclinium. Sapeva di non poter sgarrare un'altra volta in una sola giornata.
Ritornando in cucina trovò seduta in un angolo Tullia. Stringeva le ginocchia al petto e fissava il vuoto.
«Tullia» la chiamò, ma lei non rispose. Euphemia allora le si avvicinò, le accarezzò il viso. «Cosa è successo?», ma nessuna risposta.
Euphemia conosceva quella ragazza e sapeva come Tullia reagiva alle "punizioni".
«Mi fai vedere? Almeno posso medicarti» la invitò, e la ragazza bionda abbassò la spallina della tunica di canapa mostrando la carne lacerata.
Euphemia prese una benda e un unguento, medicò Tullia con le sue mani esperte. Aveva già provveduto a ferite simili, sulla sua pelle.
«Giuro che li uccido. Tutti» disse piangendo. Euphemia l'abbracciò e le promise che l'avrebbe protetta, che non le sarebbe più accaduto nulla.
«Ora aiutami a portare questi vassoi» le sorrise e Tullia ricambiò. 
Tullia era appena quattordicenne, aveva dei lunghi capelli biondi e gli occhi grandi castani illuminavano il suo viso. Proveniva dall'Aemilia, apparteneva ad una famiglia povera. Era la quarta di sei figli. Fu venduta per la prima volta durante la guerra civile a dei patrizi dell'Etruria, dai suoi genitori. Aveva dieci anni.
I suoi primi padroni approfittarono di lei, della sua purezza. Lei, per il trauma, rimosse tutto; difatti non ricordava nulla di quel periodo passato lontano da casa con degli estranei.
Dopo la battaglia di Azio venne venduta a Lucius Manlius.
«Tullia» urlò Lucius Manlius, «Vieni» continuò. A queste parole Sabina Pulchra si congedò e andò via. La seguì immediatamente la figlia.
Euphemia tremò. Guardò Tullia avanzare verso di lui, seduto a terra nel triclinium. Sperò volesse altro vino, non voleva infrangere la promessa fatta poche ore prima.
L'uomo si alzò e barcollando mise il braccio intorno al collo di Tullia.
«Vuoi vedere una cosa?» le chiese ridendo per il troppo vino. La ragazza non sapeva cosa rispondergli.
«Vieni» le disse. Portò il braccio sulla sua schiena e la condusse verso la sua stanza.
Euphemia voleva morire. Avrebbe preferito essere lei al posto di Tullia, non voleva tradirla. Ma stette al suo posto, in piedi, vicino al braciere che illuminava la stanza.
Una volta che anche Felix andò via, ripulì la stanza con l'aiuto di Marcus, l'archimagirus, ossia il sovrintendente di tutti gli schiavi presenti in casa.
Euphemia stimava quell'uomo, era riuscito a sopravvivere trent'anni di schiavitù e per circa venti di questi aveva lavorato in quella casa. Se Lucius fosse stato più buono, Marcus sarebbe già  stato liberato. Ma quell'uomo non conosceva la bontà, non era nella sua natura essere gentile e caritatevole. Per questo Euphemia aveva sperato di essere venduta, non avrebbe voluto passare l'eternità in quella casa. Questo, però, fino all'arrivo di Tullia, la quale trovava conforto in lei ed Euphemia non l'avrebbe mai lasciata sola. 

Spense il fuoco del forno e salutò Marcus dirigendosi poi nella sua stanza, accanto alla cucina. Si sedette sul suo letto, tolse i sandali usurati e si sdraiò. Vedeva la sua ombra proiettarsi sul muro alla sua destra a causa dell'unica candela accesa. La casa era silenziosa, la testa scoppiava.
Euphemia non riusciva a prendere sonno. L'idea che Tullia fosse da sola con quell'uomo faceva affiorare le lacrime, ma più volte le soffocò. Non avrebbe pianto, sarebbe stata forte. Per Tullia. 
Sentì un rumore, un altro ancora. La candela si era ormai consumata. Erano passi, trascinati e brevi, qualcuno forse stava andando in cucina. Ma quel suono si faceva sempre più vicino e forte.
Non si mosse, quasi non respirò per non farsi sentire, come a voler scomparire.
Pregò fosse un topo, o solo il frutto della sua immaginazione.
Il suono cessò, il buio nascondeva la verità.
"Non sei tu, non sei tu" sperò dentro di sé. La luce della candela fermò i suoi pensieri.
La sua ombra era ricomparsa, insieme a quella di Tullia. La ragazza sistemò la candela e guardò Euphemia con gli occhi lucidi. Questa balzò dal letto e la abbracciò forte, e la ragazza crollò in un pianto silenzioso.

«Mi dispiace, scusami» le ripeté più e più volte finché Tullia non smise di piangere.

«Cosa ti ha..» cominciò, ma si interruppe. Meglio non parlare, sarebbero state vane le parole.


EuphemiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora