In quell'ultimo dies Martis di Maius Euphemia, come soleva fare ogni tre giorni, si diresse al mercato. Il sole era ancora alto, era uscita con largo anticipo.
Percorse più volte il perimetro quadrato del mercato, temporeggiando. Osservava il mondo tra le varie botteghe mentre lei aspettava impaziente: c'erano alcuni bambini che rincorrevano una gallina, una donna che seduceva un uomo alzando la tunica e mettendo in mostra la sua gamba, un'altra negoziava il prezzo delle verdure. Era lì che avrebbe sempre voluto vivere, dove c'era la vita.
«Mi scusi, signorina» una voce alle sue spalle sovrastò il fracasso del mercato «va da qualche parte?»
Euphemia si girò riconoscendola. Sorrise dolcemente incontrando lo sguardo del suo interlocutore.
«Veramente stavo andando via» rispose stando al gioco.
«Non sarò mica io la causa? Ne sarei dispiaciuto» continuò avvicinandosi «Senza di lei il mercato è vuoto»
«Smettila, Maximus!» arrossì.
«Quanto mi hai aspettato?» chiese lui.
«Avrei dovuto aspettarti?» ironizzò, e Maximus non poté non alzare gli occhi al cielo.
«Vieni» la invitò facendole segno con la testa indicando il luogo dove potersi appartare.
Uscirono dall'area del mercato discretamente e si intrufolarono in un vicolo poco distante.
Appena i due si guardarono negli occhi, si avvinghiarono l'uno all'altra. Le mani di Euphemia erano attorno al collo di Maximus, mentre quelle di quest'ultimo cingevano la vita della ragazza.
Euphemia non poteva essere più felice, aveva aspettato sei giorni prima di poterlo rivedere, prima di poter toccare nuovamente la sua pelle. Difatti il giovane aveva dovuto sostituire il padre in casa, in quanto questi aveva dovuto fare un viaggio per un lutto nella sua famiglia.
Maximus odiava sostituirlo. Colloquiare con altri uomini e discutere di affari non erano cose che attraevano un sognatore come lui. Avrebbe preferito partire per mare, conoscere la Grecia, Alessandria d'Egitto e Cartagine, vedere con i propri occhi quello che avevo sentito dire per bocca d'altri.
«Sembravano non finire più i discorsi. Parlavano sempre delle stesse cose: denaro, flotte, politica. Se sento ancora il nome di Augusto, giuro che uccido chi lo nomina» affermò, quasi si fosse tolto dal cuore un macigno.
«Augusto!» esclamò Euphemia con aria di sfida.
«Ti odio» disse baciandola.
«Non avresti dovuto uccidere chi lo nominava?» gli chiese e lui sbuffò cingendole i fianchi con le sue braccia robuste.
Adorava quella ragazza e ogni volta che guardava i suoi occhi verdi si perdeva, come la prima volta che l'aveva notata, proprio al mercato. C'era tantissima gente ma, nonostante ciò, la intravide mentre comprava del pesce alla bottega di Furius. Il tempo gli sembrò fermarsi, così come il cuore. Avrebbe voluto avvicinarla, ma la propria estrazione sociale gli impedì di seguirla. Però il Fatum volle che lei, camminando frettolosamente, si imbattesse nel suo cammino spingendolo.
All'inizio fu abbastanza cattivo con Euphemia, la sua posizione glielo imponeva. Ma l'attimo dopo tornò sé stesso non potendo resistere allo sguardo della ragazza.
Da quel momento i due iniziarono a nascondersi, ad amarsi segretamente. Un cittadino romano non poteva intrattenere una relazione amorosa con una schiava, ed erano quindi costretti da settimane a vedersi in quel vicolo buio.
«Perché non possiamo dire a tutti che insieme stiamo bene?» la guardò furiosamente.
«Lo sai» gli strinse la mano «non possiamo fare niente»
«Sei tu che non vuoi fare niente!» esclamò lasciandole la mano. Gli occhi di Maximus erano rossi per la rabbia, quelli di Euphemia per le lacrime imminenti.
«Come io adorassi essere me stessa, come se non preferissi stare con te» ribatté trattenendo i singhiozzi.
Maximus si sedette su di una pietra con la testa fra le mani guardando il vuoto. Euphemia lo osservava. Vivere come se non si conoscessero aldilà del vicolo era difficile. Ma cosa avrebbe dovuto fare? Non aveva diritti, non avrebbe potuto rivendicare alcunché. Non poteva accusarla di qualcosa che non avrebbe mai potuto fare.
Avanzò verso di lui, lo accarezzò facendo scontrare la pelle della sua mano con quella della sua guancia. Il ragazzo alzò lo sguardo incrociandolo con quello di Euphemia, la quale gli sorrise.
«Ce la faremo» sussurrò giocherellando con i ricci neri di Maximus.
Poggiò la fronte sul ventre di Euphemia e la strinse forte a sé sperando che quel gesto gli avrebbe permesso di farla sua, che sarebbe bastato per poter affrontare il giudizio della gente.La stanza di Clodia era tra le più grandi della casa. Una finestra permetteva alla luce di entrare illuminando il letto spazioso e la cassettiera in legno sulla quale era inciso il suo nome. Il padre gliela aveva regalata quando fu ufficializzato il suo fidanzamento con Aemilius Arrius. Difatti con questo matrimonio avrebbe potuto migliorare la propria posizione puntando ad essere eguale alle grandi famiglie della poco lontana Roma.
Tullia bussò alla sua porta e Clodia le permise di entrare. Aveva indosso una bellissima tunica rosa pallido, i capelli scendevano sulle sue spalle liberi. Doveva partecipare al banchetto nella casa del suo promesso sposo.
«Pettinami» le ordinò sedendosi. Tullia prese il pettine con il quale eliminò i nodi tra i lunghi capelli castani.
«Di che colore volete il nastro?» chiese mentre raccoglieva i capelli in un'unica coda.
«Rosa» decise Clodia.
Con mani sapienti Tullia avvolse il nastro intorno alla coda mentre Clodia si osservava nello specchio di argento.
Quando Tullia ebbe finito, Clodia si alzò sistemando la tunica dallo scollo circolare.
«Come sto?» chiese alla sua ancella.
«Bene, siete bellissima» rispose.
«Ovvio, come sempre» commentò con superbia.
Tullia si congedò ed uscì. Non sopportava quella ragazza. Poteva essere la ragazza più bella di tutta Speluncae ma dentro era cattiva, presuntuosa e altezzosa.
Si diresse in cucina, sicura di trovare Euphemia. Ma una volta lì, lei non c'era. Il fuoco non era acceso, c'era solo la spesa poggiata sul tavolo.
Tullia ne fu sorpresa perché Euphemia avrebbe dovuto preparare la cena. Accese quindi il fuoco e lavò le verdure. Non vedendola arrivare, andò nella loro stanza con la speranza che fosse lì, ma non la trovò.
STAI LEGGENDO
Euphemia
Historical FictionNonostante Roma fiorì durante l'impero di Augusto, la sua decadenza sociale viveva ancora tra le sue strade ed Euphemia ne fu testimone e vittima. La libertà non poteva appartenerle; non le era concesso amare, non sarebbe potuta essere felice. Trop...